Ecco Dio, mi ripeto
nella penombra della Chiesa.
Dove ammiro il bellissimo presepe
che rappresenta
la Nascita di Gesù Bambino e,
faccio un’ultima
considerazione prima di
rimetterlo in soffitta.
Dio non si è ancora stancato di
noi, se chiede di nascere.
Resto affascinato e stordito
dalla forza
dell’annuncio cristiano.
Dalla pretesa, tutta folle, a
pensarci bene, di un
Dio che ci cerca e ci ama al
punto da diventare
carne e sangue, sonno e fatica,
gioia e sofferenza.
Un Dio che impara a cantare con
gli amici, che
gioisce e si stupisce davanti
alla primavera
e ai giochi dei bambini.
Che conosce l’amarezza della
delusione, dell’uomo
che, giocando male la propria
libertà, preferisce
le tenebre alla luce.
Perché questo Dio diventa uomo
davvero, sul serio,
non per finta.
Non vuole privilegi, non usa
trucchi.
Perché l’amore si mette sempre
nei panni dell’altro.
Perché Dio corre un rischio
immenso diventando
uno di noi.
Mettendosi al nostro livello,
cercando di convincere
l’uomo di quale sia il suo vero volto.
Suo di Dio e suo dell’uomo.
È già tutta nel Natale questa
sfida.
Giovanni scrive il suo prologo
alla fine del suo
Vangelo, come se fosse un
riassunto di tutta la
sua predicazione.
Giovanni dice così: “La luce
splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l’hanno
accolta”.
Chiaro, forte, immediato e
devastante.
Non c’è molto da celebrare a
Natale,
ma da convertirci e pentirci.
Natale è un dramma; Dio viene e
l’uomo non c’è!
Pochi si accorgono, ancora meno
lo accolgono;
ecco perché i fratelli orientali
osano dire ciò che
noi, pudicamente, omettiamo;
nelle loro icone della
natività, il bambino è adagiato
in una tomba.
È già il mistero di
contraddizione, è già il Crocifisso
questo bambino.
Poche dolcezze e smancerie, pochi
sussulti davanti
a questo infante ma scelta,
schieramento e riflessione.
Ma c’è un’altra interpretazione
del brano, che contiene
una nuova sfumatura.
“La luce splende nelle tenebre e
le tenebre non l’hanno vinta”.
Bella storia.
In questa nuova traduzione si sottolinea
non il rifiuto
delle tenebre, ma l’ostinazione e
la forza della luce.
Dio insite, Dio non si dà per
vinto, Dio esagera, alza il
tiro, offre una soluzione, si
dona ancora e sempre.
Bello, bellissimo.
Se fossi Dio, mi sarei già
stufato da un pezzo
dell’umanità, credetemi.
E invece no, Dio insiste, Dio non
cede, Dio vince.
Amica che sei nelle tenebre della
depressione;
le tenebre non vincono.
Amico prete travolto dalla fatica
dell’apostolato
e dalla solitudine; le tenebre
non vincono.
Amici che cercate di portare un
minimo di logica
evangelica nella vostra vita
quotidiana, passando
per fessi; le tenebre non
vincono.
Discepoli che portate la logica
della pace e della
dignità umana, nelle discariche
del mondo
dimenticate da tutti; le tenebre
non vincono.
A chi accoglie la luce Dio dona
il potere di
diventare figlio di Dio, scrive
Giovanni il mistico.
Perciò, io sono figlio di Dio.
Non importa essere altro.
Né premio Nobel, né grandi star.
Sono già tutto ciò che potrei
desiderare.
Solo che corro dietro a mille
sogni e a mille
chimere, pur di ricevere
compiacimenti
e approvazione.
Ma sono già figlio.
Solo che non lo so; o non lo
vivo!
Natale è la presa di coscienza
della mia figliolanza,
della mia dignità, del fatto che
Dio si racconti
e che sia splendido.
Tutta la nostra vita, consiste
nel lasciare che
la luce ci abiti.
Nel non credere, che le tenebre
vincano noi e il mondo.
Prego ora, affidando tutti, e
tutti non riescono
a stare nella mia povera preghiera.
Penso a chi soffre, questa notte,
perché nessun angelo
gli ha ancora detto che Dio nasce
proprio per lui.
Prego per i tanti, che ogni
giorno, perdono il loro
tempo prezioso e vengono a
leggere il Vangelo
sulla mia pagina faceebok, e a
come Dio sia
stupefacente nel disegnare nuove
strade per
chi si affida a Lui.
Penso al nostro Paese così
litigioso, così affaticato
e deluso, che non ha più
speranza, che pensa di
essere davvero mediocre come
appare, e chiedo
al Signore un regalo; di
ricordarci da dove
proveniamo e verso chi andiamo,
tutti.
Penso alle persone che vivono nei
territori di guerre,
persone che non vedono la speranza
di una vita
normale a causa di personaggi
come Erode,
avidi e senza scrupoli.
Vedo il Bambino, nella penombra
della Chiesa.
E mi dico in che sorta di guaio
mi sono messo,
seguendo un Dio che, invece di risolvermi
i problemi, me ne crea bizzeffe.
Che mistero infinito, questo Dio
che si sveste
della sua divinità per
condividere ciò che siamo.
Noi che viviamo la nostra vita
come una pena.
E Dio, invece, che l’ha vissuta
come opportunità.
Vorrei stringerlo fra
le mie braccia, riempirlo
di baci questo Dio,
dire che lo amo, proprio
perché così
imprevedibile, perché così
misteriosamente
incontrabile e banale.
Ora possiamo metterlo
negli scatoloni fino
all’anno prossimo, il
presepe, ma Dio
cerchiamo di tenerlo
sempre accanto
a noi, nella nostra
quotidianità
e nella nostra vita,
Fausto.
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