sabato 9 novembre 2019

Il Vangelo di Domenica 10 Novembre 2019


Quando leggerete questa pagina, io sarò già in viaggio, destinazione 
Santuario dell'Amore Misericordioso a Collevalenza (PG).
Faremo due giornate immersi nell'Amore, nella pace e nella Misericordia 
del Signore, il Santuario è il luogo ideale per riordinare il nostro 
cuore e la nostra mente, per prepararci al meglio al prossimo Natale.
Sicuramente, pregheremo, mediteremo, ci confronteremo, ma sopratutto 
faremo l'immersione in quell'acqua benedetta che il Signore ha voluto
 regalarci attraverso la Beata Madre Speranza, 
a martedì amici, quando ritorneremo. 

Della 32° Domenica del Tempo Ordinario.
1° Lettura dal secondo libro dei Maccabèi (7,1-2.9-14)
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre,
furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi?
Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini
dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue
leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente
la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho
queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo».
Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane,
che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti.
Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini,
quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te
non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
Parola di Dio.
2° Lettura dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicèsi (2,16-3,5)
Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati
e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti
i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia
glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi.
La fede infatti non è di tutti.
Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo
già lo facciate e continuerete a farlo.
Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca (20,27-38) anno C.
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi–i quali dicono che non
c’è risurrezione– e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto:
"Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello
prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello".
C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.
Da ultimo morì anche la donna.
La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie?
Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;
ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti,
non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono
uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto,
quando dice: "Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe".
Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Parola del Signore.
Riflessione personale sul Vangelo di oggi.
Il Levirato è una norma mosaica difficile da capire nella nostra sensibilità contemporanea.
Talmente forte era il senso di appartenenza al clan famigliare, in Israele, che un
cognato era tenuto a dare un figlio alla vedova del proprio fratello, se questi era
morto senza lasciare discendenza.
Il figlio nato dall’unione avrebbe preso il nome del defunto, garantendo una
discendenza alla famiglia.
Questa norma, ancora praticata in ambienti ultraortodossi in Israele, dà
l’occasione ai sadducei di mettere in difficoltà Gesù.
L’occasione-che novità-nasce da una discussione (benedette discussioni!
Sciacquarsi la bocca per ascoltare il proprio ego mentre si parla e fare sfoggio
di cultura, senza veramente mettersi in gioco, oggi come allora!) tra Gesù e
i sadducei che, a differenza dei farisei, rappresentavano l’ala aristocratica e
conservatrice d’Israele e che consideravano la dottrina della resurrezione dei
morti, cresciuta lentamente nella riflessione del popolo e definitivamente
formulata solo al tempo della rivolta Maccabaica, di cui si parla nella prima
lettura, un’inutile aggiunta alla dottrina di Mosé.
Così, incrociando la non condivisa teoria della resurrezione con la consuetudine
del Levirato pongono a Gesù un caso paradossale, la famosa storia della vedova
“ammazzamariti”.
Il caso è ridicolo; una donna resta vedova sette volte, viene data in moglie a
sette fratelli (sembra un musical!) ma non ottiene discendenza; una volta risorta,
di chi sarà moglie?
Gesù sposta la questione su di un altro piano, invita gli uditori ad alzare lo
sguardo da una visione che proietta nell’oltre morte, di fatto, le ansie e le attese
della vita terrena.
È una nuova dimensione quella che Gesù propone; la resurrezione, in cui Gesù
crede, non è la continuazione dei rapporti terreni, ma una nuova dimensione,
una pienezza iniziata e mai conclusa, che non annienta gli affetti (nel regno ci
riconosceremo, ma saremo tutti nel Tutto!), che contraddice la visione attuale
della reincarnazione (siamo unici davanti a Dio, non riciclabili, e la vita non è
una punizione da cui fuggire, ma un’opportunità in cui riconoscerci!), e ci spinge
ad avere fiducia in un Dio dinamico e vivo, non imbalsamato!
La scorsa settimana abbiamo celebrato la memoria dei nostri cari defunti, ahimé
sovrapposta e confusa con la splendida e gioiosa Solennità dei Santi.
Il nostro tempo tende a dimenticare e a banalizzare la morte, ogni giorno ci
vengono proposte decine di morti, vere o finte, dagli schermi televisivi ma,
in realtà, riflettiamo sulla morte solo quando ci tocca sulla pelle.
La tradizione di Hallowen, prepotentemente sbarcata in Europa e
diventata-ovviamente-fonte di business, è una tradizione antecedente alla
cristianità e che la cristianità ha “battezzato”, facendo coincidere la festa
celtica della fine dell’estate, con la riflessione sulla fine della vita.
La demonizzazione di tale festa non va esasperata, anche se il suo successo
rivela che la nostra catechesi e predicazione sulla morte e sulla resurrezione
risulta inadeguata e povera di linguaggi significativi e comprensibili.
Gesù crede fermamente nella resurrezione dai morti.
La Scrittura ha lungamente riflettuto sulla morte, giungendo alla dottrina
dell’immortalità.
Siamo stati creati immortali, il nostro corpo, da custodire e preservare, conserva
una parte più spirituale, interiore, che i cristiani chiamano “anima”.
L’anima è la sorgente del pensiero, la custode dei sentimenti, la dimora della
mia e nostra identità e diversità.
L’anima sopravvive alla morte e raggiunge Dio, per presentarsi al suo cospetto.
Dio non ha che un desiderio; la nostra felicità, la nostra pienezza.
Ma ci lascia liberi di scegliere.
Questa vita, che ci è data per scoprire la nostra chiamata, per scovare il tesoro
nascosto nel campo, può essere giocata nella consapevolezza e nell’amore di
Dio, o nella dimenticanza.
Di fronte a Dio, se vorremo, ci verrà dato un tempo per imparare ad amare,
il purgatorio, o verremo abbracciati e ricolmati dalla totalità di Dio, il paradiso,
o-Dio non voglia-saremo liberi di rifiutare la luce, quello che noi chiamiamo
“inferno”, il luogo dove si tiene lontano Dio.
Al ritorno del Messia, nella pienezza dei tempi, ritroveremo i nostri corpi
trasfigurati, che ora conserviamo con dignità in luoghi chiamati “dormitorio”,
in greco “cimiteri”.
L’eternità è già iniziata, posso vivere e gioire di questa dignità, riconoscerla
e svilupparla, o mortificarla sotto una coltre di polvere e preoccupazioni .
Siamo immortali, non aspettiamo di tirare le cuoia per pensare all’eternità
che è già qui e ora!
Il Dio di Gesù è il Dio dei viventi, non dei morti.
Io credo nel Dio dei vivi? E io, sono vivo?
Credo nel Dio dei vivi solo se la fede è ricerca, non stanca abitudine, doloroso
e irrequieto desiderio, non noioso dovere, slancio e preghiera, non rito e superstizione.
È vivo-Dio-se mi lascio incontrare come Zaccheo, convertire come Paolo, che,
dopo il suo incontro con Cristo, ci dice che nulla è più come prima.
Credo in un Dio vivo se accolgo la Parola che mi sconquassa, m’interroga,
mi dona risposte.
Credo nel Dio dei vivi se ascolto quanti mi parlano (bene) di Lui, quanti-per Lui-amano.
Un sacco di gente crede al Dio dei vivi e lavora e soffre perché tutti abbiano vita,
ovunque siano, chiunque siano.
Schiere di testimoni stanno dietro e avanti a noi.
Come la madre della prima lettura che incoraggia i figli al martirio piuttosto
che abiurare la propria fede, come i tanti (troppi) martiri cristiani di oggi vittime
di false ideologie religiose (vediamo le stragi di cristiani nei paesi islamici!),
come chi opera per la pace nel quotidiano e nella fatica.
Sono vivo (lo sono?) se ho imparato ad andare dentro, se non mi lascio ingannare
dalle sirene che mi promettono ogni felicità se possiedo, appaio, recito, produco,
guadagno, seduco eccetera, se so perdonare, se so cercare, se ho capito che questa
vita ha un trucco da scoprire, un “di più” nascosto nelle pieghe della storia,
della mia storia, della nostra storia.
Vogliamo anche noi diventare discepoli di un Dio vivo?
Vogliamo-finalmente-vivere da vivi?
Certamente amici, vivere da vivi non è difficile, basta fidarci del Dio di Gesù,
santa Domenica, Fausto.