Della 4° Domenica di Quaresima.
Beato Amedeo IX di Savoia,
Duca, Terziario francescano.
Prima lettura.
Il popolo di Dio, entrato nella
terra promessa, celebra la Pasqua.
Dal libro di Giosuè (5,9a.10-12)
In quei giorni, il Signore disse a
Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi
l'infamia dell'Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala
e celebrarono la Pasqua al quattordici
del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i
prodotti della terra, àzzimi e frumento
abbrustolito in quello stesso giorno.
E a partire dal giorno seguente, come
ebbero mangiato i prodotti della terra,
la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero
più manna; quell'anno mangiarono
i frutti della terra di Canaan.
Parola di Dio.
Salmo Responsoriale dal Sal. 33
Ripetiamo: Gustate e vedete
com'è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato. R.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo
ascolta, lo salva da tutte le sue angosce. R.
Seconda Lettura.
Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo.
Dalla seconda lettera di san
Paolo apostolo ai Corinzi (5,17-21).
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova
creatura; le cose vecchie sono passate;
ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci
ha riconciliati con sé mediante Cristo
e ha affidato a noi il ministero
della riconciliazione.
Era Dio infatti che riconciliava a sé il
mondo in Cristo, non imputando agli
uomini le loro colpe e affidando a noi
la parola della riconciliazione.
In nome di Cristo, dunque, siamo
ambasciatori: per mezzo nostro è Dio
stesso che esorta.
Vi supplichiamo in nome di Cristo:
lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato,
Dio lo fece peccato in nostro favore,
perché in lui noi potessimo diventare
giustizia di Dio.
Parola di Dio.
Canto al Vangelo
Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli
dirò: Padre, ho peccato verso il
Cielo e davanti a te.
Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio!
Vangelo.
Questo tuo fratello era morto
ed è tornato in vita.
Dal Vangelo secondo
Luca (15,1-3.11-32) anno C.
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti
i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo.
I farisei e gli scribi mormoravano dicendo:
«Costui accoglie i peccatori e mangia
con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un
uomo aveva due figli.
Il più giovane dei due disse al padre:
"Padre, dammi la parte di patrimonio
che mi spetta".
Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane,
raccolte tutte le sue cose, partì per un paese
lontano e là sperperò il suo patrimonio
vivendo in modo dissoluto.
Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse
in quel paese una grande carestia ed egli
cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò a mettersi al servizio di uno
degli abitanti di quella regione, che lo
mandò nei suoi campi a pascolare i porci.
Avrebbe voluto saziarsi con le carrube
di cui si nutrivano i porci; ma nessuno
gli dava nulla.
Allora ritornò in sé e disse: "Quanti
salariati di mio padre hanno pane in
abbondanza e io qui muoio di fame!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti
a te; non sono più degno di essere
chiamato tuo figlio.
Trattami come uno dei tuoi salariati".
Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo
vide, ebbe compassione, gli corse incontro,
gli si gettò al collo e lo baciò.
Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato
verso il Cielo e davanti a te; non sono
più degno di essere chiamato tuo figlio".
Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate
qui il vestito più bello e fateglielo indossare,
mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi.
Prendete il vitello grasso, ammazzatelo,
mangiamo e facciamo festa, perché questo
mio figlio era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato".
E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi.
Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì
la musica e le danze; chiamò uno dei
servi e gli domandò che cosa fosse
tutto questo.
Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e
tuo padre ha fatto ammazzare il vitello
grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo".
Egli si indignò, e non voleva entrare.
Suo padre allora uscì a supplicarlo.
Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti
servo da tanti anni e non ho mai disobbedito
a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato
un capretto per far festa con i miei amici.
Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il
quale ha divorato le tue sostanze con le
prostitute, per lui hai ammazzato il
vitello grasso".
Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre
con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma
bisognava far festa e rallegrarsi, perché
questo tuo fratello era morto ed è tornato
in vita, era perduto ed è stato ritrovato"».
Parola del Signore.
Riflessione personale sul Vangelo di oggi.
Nel
deserto della Quaresima diventiamo
capaci
di accogliere la novità assoluta del
Vangelo,
del volto di Dio che emerge
dalla
rivelazione di Gesù.
Un
Dio bellissimo ci attende sul Tabor,
quando
riusciamo a lasciare la pianura
della
quotidianità e della mediocrità.
Un
Dio che non manda le disgrazie e
che
non teniamo buono sennò chissà
che
disgrazia ci colpisce.
Un
Dio che è un padre affettuoso che
ci
ama e ci rispetta.
Luca
costruisce il suo Vangelo intorno
a
tre parabole.
Concentra
in questi tre capolavori la
sintesi
del suo annuncio, la logica
stringente
della sua vita.
Una
di queste parabole, forse la più
conosciuta
del Vangelo, è quella
erroneamente
chiamata
del
‘figliol prodigo.
I
due figli protagonisti della parabola
hanno
una pessima idea di Dio. Entrambi.
Il
primo figlio, scapestrato, pensa che Dio
sia
un concorrente, un avversario; se c’è
io
non posso realizzarmi.
Dio
è un censore, un preside severo,
uno
che non mi aiuta.
Gli
chiedo il mio, quello che mi deve
(e
da quando un padre ‘deve’ l’eredità?),
quello
che mi spetta.
Chiedere
l’eredità significa augurare
la
morte.
E
il figlio va e conosce la vita.
Ha
molti amici, sperpera tutto il patrimonio.
Quando
finiscono i soldi gli amici se
ne
vanno, ovvio.
È
tutta qui la vita?
In
pochi mesi ha già conosciuto
tutto,
bruciato tutto?
Si
ritrova a pascolare i porci.
I
porci; l’animale impuro per eccellenza.
E
patisce la fame.
Rientra
in sé stesso e ragiona: “Sono
un
idiota.
In
casa di mio padre anche il più umile
dei
servi ha pane in abbondanza!
Ora
torno e mi trovo una scusa”!
Sì,
avete letto bene; contesto radicalmente
l’interpretazione
buonista del brano.
Il
figlio non è affatto pentito; è affamato
e
ancora pensa che il padre sia un
tontolone
da manipolare.
L’altro
figlio torna dal lavoro stanco
e
si offende della festa che il padre ha
fatto
in onore del figlio minore.
Come
dargli torto?
Il
suo cuore è piccolo ma la sua giustizia
grande;
sì, è vero, il Padre si comporta
ingiustamente
nei suoi confronti.
Giusto;
lui lavora da anni e non ha mai
osato
chiedere nulla.
Il
figlio maggiore pensa che Dio sia uno
da
tenere buono, che ora fatichiamo ed
obbediamo
ma che, alla fine, avremo il
premio,
ci verrà riconosciuta la fatica
che
abbiamo vissuto e tutte le Messe
che
ci siamo sciroppate.
Lui
è uno mortificato, senza grilli per la
testa,
lui è il bravo figlio che tutti
vorrebbero;
perché il padre si comporta
in
quel modo?
Bene,
fermatevi qui, ora.
Niente
bei finali, Luca si stoppa.
Non
dice se il primo figlio apprezzò il
gesto
del Padre e, finalmente, cambiò idea.
Né
dice se il fratello, inteneritosi,
entrò
a far festa.
No;
la parabola finisce aperta, senza
scontate
soluzioni, senza facili moralismi
e
finali da Principe Azzurro.
Puoi
stare col Padre senza vederlo, puoi
lavorare
con Lui senza gioirne, puoi
lasciare
che la tua fede diventi ossequio
rispettoso
senza che ti faccia esplodere
il
cuore di gioia.
Il
Vangelo ci dice ancora una volta che
Dio
ci considera adulti, che affida alle
nostre
mani le decisioni, che non si
sostituisce
alle nostre scelte.
E
ora, per favore, smettetela di guardare
questi
due idioti, così simili a noi.
Piccoli
e meschini, come noi.
E
guardate al Padre, per favore.
Io
vedo un Padre che lascia andare il
figlio
anche se sa che si farà del male
(l’avreste
lasciato andare?).
Vedo
un Padre che scruta l’orizzonte
ogni
giorno.
Vedo
un Padre che non rinfaccia né
chiede
ragione dei soldi spesi (“te
l’avevo
detto io!”), che non accusa, che
abbraccia,
che smorza le scuse (e non le
vuole),
che restituisce dignità, che fa festa.
Vedo
un Padre ingiusto, esagerato, che
ama
un figlio che gli augurava la morte
(dammi
l’eredità!) che vaneggiava nel
delirio
(mi spetta!), un Padre che sa che
questo
figlio ancora non è guarito dentro
ma
pazienta e fa già festa.
Vedo
un Padre che esce a pregare; lo
stizzito
fratello maggiore, che tenta di
giustificarsi,
di spiegare le sue buone ragioni.
Ecco;
vedo questo Padre che accetta la
libertà
dei figli, che pazienta, che indica,
che
stimola.
Lo
vedo e impallidisco.
Dunque;
Dio è così? Fino a qui?
Così
tanto?
Sì,
amici. Dio è questo e non altro.
Dio
è così e non diversamente.
E
il Dio in cui credo è finalmente questo?
Gesù
sta per morire per affermare questa
verità,
è disposto a farsi scannare pur di
non
rinnegare questa inattesa rivelazione.
Dio
è prodigo, scialacquone, sciupone;
non
il figlio.
Perché di esagerato, di eccessivo, in
questa storia, c’è solo l’amore di Dio.
Si, amici, Dio è così; pieno di Amore,
buona Domenica Fausto.