sabato 12 settembre 2020

Il Vangelo di Domenica 13 Settembre 2020


Della 24° Domenica del Tempo Ordinario.
San Giovanni Crisostomo, Vescovo e Dottore della Chiesa.
Prima lettura dal libro del Siracide (27,30-28,7)
Il rancore e l'ira sono un abominio, il peccatore li possiede.
Chi si vendica avrà la vendetta dal Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati.
Perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere
la guarigione al Signore?
Egli non ha misericordia per l'uomo suo simile, e osa pregare per i suoi peccati?
Egli, che è soltanto carne, conserva rancore; chi perdonerà i suoi peccati?
Ricordati della tua fine e smetti di odiare, ricordati della dissoluzione e della
morte e resta fedele ai comandamenti.
Ricordati dei comandamenti e non aver rancore verso il prossimo, ricordati
dell'alleanza con l'Altissimo e non far conto dell'offesa subita.
Parola di Dio.
Seconda lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (14,7-9)
Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché
se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore.
Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore
dei morti e dei vivi.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo Matteo (18,21-35) anno A.
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello
commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?
Fino a sette volte?».
E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli
doveva diecimila talenti.
Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto
lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito.
Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me
e ti restituirò ogni cosa".
Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari.
Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!".
Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me
e ti restituirò".
Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono
a riferire al loro padrone tutto l'accaduto.
Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti
ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato.
Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?".
Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito
tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore,
ciascuno al proprio fratello».
Parola del Signore.
Meditazione personale sul Vangelo di oggi.
Perdonare è una debolezza, dice il mondo violento intorno a noi.
È ridicolo ammettere di avere dei difetti, meglio nasconderli, negarli o ostentarli
come un trofeo, in un delirio di crescente malvagità e ipocrisia.
È da deboli perdonare, salvo poi vedere il giornalista chiedere alla madre affranta;
perdona l’assassino di suo figlio?
Andiamoci piano, per cortesia, il perdono è una cosa maledettamente seria.
Lo sa chi è stato ferito. Lo sa chi ha ferito.
Se domenica scorsa la liturgia ci introduceva alla pratica del perdono all’interno
della comunità, oggi la Parola osa di più e ci invita a riflettere sulla ragione
stessa del perdono.
Perché perdonare? E quante volte?
Storicamente, nella Bibbia, il grido orribile di Lamech, figlio di Caino, che minaccia
di uccidere settanta volte sette per uno screzio (Gn 4), è attenuato dalla legge del
taglione che pone almeno un freno alla rabbia , introducendo un criterio di
proporzionalità nella vendetta; occhio per occhio, dente per dente.
Nel Pentateuco già troviamo qualche accenno alla misericordia, sempre però
limitata ai fratelli di fede.
Al tempo di Gesù i rabbini suggerivano di perdonare fino a tre volte un torto
subito, per manifestare clemenza.
Pietro, nel Vangelo di oggi, vuole esagerare, proponendo di perdonare fino a sette volte.
Ma ha fatto male i suoi conti.
Immaginatevi che, alla fine della lettura di questo testo, il vostro vicino di casa
vi cerchi per chiedervi scusa; ieri sera, durante una cena con amici, ha alzato il
gomito e ha parlato male di voi e ora si sente mortificato.
Fate i generosi, dite che non è nulla, vi ringrazia.
Salvo poi tornare un’ora dopo dicendo che ha fatto la stessa cosa col portinaio
e che vi richiede scusa.
Che fate, lo perdonate? O non vi sentite presi per il naso?
La proposta di Pietro è generosa ed eroica, quella di Gesù folle, che capiamo
solo nella logica divina.
Siamo chiamati a perdonare sempre perché siamo perdonati sempre.
Il piccolo credito che abbiamo verso i fratelli non è nulla rispetto al debito
mostruoso che abbiamo contratto verso Dio.
E che Egli ha cancellato.
Il debito del servo è volutamente assurdo; un talento equivale a 36 chili d’oro.
Diecimila talenti è una cifra inimmaginabile.
Quel debito viene condonato, non il debito dell’altro servo che, pur dovendo una
cifra consistente al collega, circa duecento giornate lavorative, non ha di che pagare.
La reazione del padrone è feroce; sei chiamato a perdonare perché ti è stato
condonato molto di più.
Ecco la ragione del perdono cristiano; perdono chi mi ha offeso perché io per
primo sono un perdonato.
Non perdono perché l’altro migliori, o si converta, o si intenerisca.
A volte l’altro non sa nemmeno di essere stato perdonato e può disprezzare il mio gesto.
Non perdono perché l’altro cambi, ma perché io ho urgente bisogno di cambiare!
Il perdono mi situa in una posizione nuova, diversa, mi rende simile a quel Dio
che fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti.
Non perdoniamo perché siamo migliori e il perdono non è un’amnesia.
Dire perdono ma non dimentico fa sorridere.
Perdono perché scelgo di perdonare, perché voglio perdonare.
Vederti mi riapre le ferite, sto male come un cane, ma ho scelto la strada della libertà.
Per molte persone che hanno avuto la vita rovinata dalla superficialità e dalla
cattiveria altrui è già un grosso risultato non augurare la morte, ma la conversione
di chi mi ha ferito.
Ti perdono e prego che tu ti penta del male che mi hai fatto.
Non aspettiamo mai il perdono perfetto, quello angelico, straordinario.
Perdoniamo come riusciamo, al meglio delle nostre capacità e delle nostre forze.
Perdoniamo perché siamo perdonati, perché il perdono ci rende straordinariamente liberi.
Quanto è adulto e virile il perdono!
Quanto è forte e deciso!
Quanto è eroico e umano!
Abbiamo bisogno di donare e ricevere il perdono, di vivere da figli della riconciliazione.
Di accettare il perdono degli altri, senza rivendicazioni e ripicche.
Di chiedere perdono, ammettendo il nostro limite.
Le famiglie, le società, la Chiesa cambierebbero volto se vivessimo meglio il perdono!
Come ha intuito il grande Giovanni Paolo, riprendendo e ampliando Isaia;
non c’è pace senza giustizia.
Ma non c’è giustizia senza perdono.
Perdoniamo amici, ma prima dobbiamo perdonarci, altrimenti sarà difficile,
buona Domenica del perdono, Fausto.