Col cuore al Tabor.
Sul Tabor c’è sempre un’aria particolare che sembra
voler voltare pagine e pagine
di storia davanti al nostro sguardo attraverso le
scritture.
Poco tempo dopo il discorso delle Beatitudine, Gesù
sale con Pietro, Giacomo
e Giovanni sul Tabor per pregare.
E quì il velo dell’umanità di Cristo si solleva per lasciare
intravedere la sua
Divinità; la voce del Padre uscendo dalla nube
luminosa, mette il suo sigillo sulla
persona e sulla legge di Gesù: “Ecco il mio Figlio diletto ascoltatelo”.
Sul Tabor, l’umile Rabbì di Nazareth è solennemente
conformato dal Padre come
Figlio di Dio, come Messia, il Messia atteso dalla
legge dei Profeti.
Cristo è il punto di convergenza di tutta la legge
ebraica e di tutta la profezia ebraica.
La legge e la profezia che sono raffigurate nei due
personaggi che affiancano il
Signore; Mosè, il depositario dei Comandamenti; Elia,
il più grande dei Profeti
hanno il loro centro in Cristo.
Tutta l’antica alleanza punta a Cristo, trova il suo
appoggio in Lui, modello
abbagliante per una nuova umanità, via meravigliosa
per giungere alla salvezza.
Ascoltatelo!
È il verdetto che il Padre consegna agli apostoli.
Per noi credenti dunque, l’ascolto di Cristo non è
un’opzione; è un comandamento.
L’ascolto di Cristo è alla base di ogni cammino di
fede dei cristiani; senza ascolto
non si conosce Gesù, non si entra in comunione con
Lui, non si celebra l’Amore.
Il Comandamento che questa montagna riecheggerà per
sempre, noi lo vogliamo
riascoltare, lo vogliamo reincidere nei nostri cuori: “Questi è il Figlio mio
diletto, ascoltatelo!”.
“Circa otto giorni dopo i discorsi delle
Beatitudini, prese con se Pietro, Giovanni
e Giacomo e salì sul monte a pregare.
E mentre pregava, il suo volto cambiò
d’aspetto e la sua veste divenne
candida e sfolgorante”. (Luca 9.28-29)
Il tema della Trasfigurazione è un tema affascinante, ricco
di splendore, ricco di
bellezza, ricco di colori e di gloria.
Pensiamo, come mai la liturgia inserisce questa pagina
nel corso della Quaresima?
Anzi, proprio all’inizio del cammino quaresimale?
Come mai questo brano di bellezza e di gioia è stato
collocato qui, come un
preludio alla passione di Cristo?
È una collocazione che sembra strana, illogica; ma se
riflettiamo su alcuni particolari
del racconto evangelico, allora ne comprendiamo la
sapienza.
Gli evangelisti ci dicono difatti che Gesù, circa otto
giorni dopo aver predetto ai
discepoli che Egli avrebbe dovuto soffrire ed essere
condannato a morte, prese
con se Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul Tabor per
pregare.
E mentre pregava, il suo volto si trasfigurò e la sua
veste divenne candida e sfolgorante.
Ecco amici cos’è la preghiera, una trasformazione
sfolgorante del nostro cuore.
Ed ecco due uomini parlavano con Lui; erano Mosè ed
Elia, apparsi nella loro gloria;
e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento
a Gerusalemme.
Gerusalemme, cioè il luogo della passione e del
Golgota.
Dunque, anche Cristo ha vissuto la sua trasfigurazione
come preludio al suo Sacrificio.
E la voce del Padre, che conferma Gesù quale Figlio
diletto, cioè Messia, appare
come sigillo di divinità impresso su profezie di
sofferenza e di morte.
Per questo, la Chiesa e la liturgia inseriscono la garanzia
della trasfigurazione
nel tempo di Quaresima, quando siamo impegnati a
rivivere la passione di Cristo;
la trasfigurazione gloriosa di Gesù sul Tabor deve
essere una consolazione e una
preparazione alla Trasfigurazione dolorosa di Gesù nel
Getsemani.
Gli stupendi attimi vissuti sul Tabor, avrebbero
dovuto essere di sostegno agli
apostoli per l’ora della prova, l’ora della delusione
e dello sconforto.
Ma in quell’ora purtroppo quegli apostoli privilegiati
e, noi con loro, hanno sentito
il peso della loro umanità, non hanno saputo
aggrapparsi alla garanzia del Tabor,
non hanno vegliato con Cristo, non hanno consolato la
sua agonia.
Anche noi, nonostante certi attimi di esaltazione e di
rapimento, corriamo il rischio
di dormire là, sotto gli ulivi, corriamo il rischio di
sentire la stanchezza, l’aridità,
il dubbio; corriamo il rischio di non contemplare
Cristo, di non rispondere ai suoi
inviti, alle sue attese, anche noi dopo la pagina del
Tabor, siamo incapaci di
accettare la pagina della croce.
Aggrappiamoci allora di più al messaggio della
trasfigurazione; prendiamo coraggio da lì.
Ricordiamo, nei momenti gioiosi, che verranno anche
momenti di tenebra.
E nei momenti di tenebra, siamo certi che ritornerà la
luce a redimere la nostra
sfiducia, la nostra incredulità, la nostra aridità.
Quando siamo tentati di perdere la speranza, pensiamo
a questo stupendo flash
del Tabor, che è anticipo, pegno e certezza della
gloria che ci attende.
E fu trasfigurato davanti a loro; il suo
volto brillò come il sole e le sue vesti
Divennero candide come la luce. (Matteo
17.2)
Cerchiamo il tuo volto, Signore!
Ecco, si può dire che abbiamo chiesto veramente ciò
che è essenziale al nostro
cammino di credenti; ciò che è essenziale al cammino
religioso di ogni uomo.
Ogni uomo cerca il volto di Dio; cerca la sua
presenza.
Anche Pietro, quando vide Gesù trasfigurato fu preso
da entusiasmo, non ebbe
altro pensiero che quello di aver trovato il volto che
cercava, il volto di Dio.
E sperò di costruire una tenda per
non perderlo più, per non separarsene più.
Ma Cristo non vuole che noi gli
facciamo una tenda, che lo limitiamo ad un luogo.
Cristo sa che la sua strada e il suo
posto non sono sul Tabor; sono nel cammino
feriale e quotidiano di ogni giorno, nel
grigiore dell’esistenza umana.
Non si è capito il Tabor se non si
capisce la discesa dal Tabor, la discesa di Gesù
sui ciotoli della nostra via
dolorosa.
Povero Pietro, non comprendesti neppure tu e noi con
te.
Quando il bagliore scompare e il
Cristo ordinario ridiscese con te sull’asfalto quotidiano,
tu dimenticasti l’esistenza di quel
volto luminoso, dimenticasti la sua divinità.
E più tardi tu non vedesti, nonostante
la luce della luna che inondava l’orto del
Getsemani, tu non vedesti che quel
volto bagnato dal sudore di sangue, era lo stesso
volto del Tabor; non riuscisti a
riconoscere lo splendore di quella nuova trasfigurazione.
Riportiamoci sul monte della
trasfigurazione amici e, poi discendiamo nell’orto
dell’agonia; il volto che brilla come
il sole sul Tabor e il volto che brilla per le
gocce di sangue nel Getsemani è
sempre il volto di un Dio che brucia d’amore per
gli uomini, fino a immolarsi per
loro.
Cristo è venuto nel tempo per darci il
bagliore della sua luce.
Che tempo magnifico è questo tempo
della nuova alleanza, il tempo in cui la luce
è data da Cristo che arde d’amore per
noi!
Noi cerchiamo il tuo volto Signore!
Ora sappiamo con quale luce d’amore
Tu illumini il nostro cammino di cristiani.
Mostraci il tuo volto Signore e, donaci la
tua salvezza.
Prendendo allora la parola, Pietro disse a
Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui,
facciamo tre tende, una per Te, una per Mosè
e una per Elia!”.
Non sapeva infatti che cosa dire, poiché
erano stati presi dallo spavento.
Poi si formò una nube che li avvolse
nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi
è il Figli mio prediletto ascoltatelo!” (Marco 9.5-7)
Siamo davanti all’avvenimento
centrale della vita pubblica di Cristo; la sua
Trasfigurazione, è un avvenimento
raccontato, oltre che da Matteo e da Luca,
anche dall’Evangelista Marco, che è
stato lo scrivano di Pietro, il principale
testimone oculare della
Trasfigurazione.
Che cosa è stato, questo fatto
eccezionale?
Si potrebbe dire che fu uno spiraglio,
un flash, che è bastato a illuminare Pietro
sulla divinità di Cristo; tanto che
nella sua umanità di uomo semplice e impulsivo
disse a Gesù: “È bello per noi stare qui. Facciamo tre
tende”.
Ognuno di noi forse saremo tentati di
dire; fortunato Pietro!
Fortunati quei tre apostoli che hanno
potuto, sia pure per un istante, contemplare
il volto di Dio, la luce di Dio, il
mistero di Dio!
Ma questa è davvero una tentazione: “Vedere Dio!”.
Come se fosse sufficiente per la
nostra fede vedere Dio.
Tanto è sufficiente vedere Dio, che
questi poveri apostoli testimoni fortunati sul
Tabor, sono gli stessi apostoli che
dormiranno nella notte dell’agonia; sono proprio
quelli che deluderanno Gesù; loro,
che avevano avuto il privilegio di vedere!
Allora è questo il messaggio del
Tabor; dobbiamo ricordare ciò che il Padre dice
dalla nube che splende sopra Gesù; non
dice; guardatelo, dice; ascoltatelo!
C’è una profonda differenza tra il
vedere e l’ascoltare; il vedere Dio; non appartiene
alla sfera della nostra esperienza
terrena, al nostro cammino quotidiano; il vedere Dio;
è il nostro futuro, è il nostro destino; è
il domani, quando la
nostra visione sarà
veramente una visione beatifica per
tutta l’eternità.
Il cammino terreno dei cristiani non
è un cammino di estasi, di visioni; è un cammino
di ascolto; perché la fede non è
legata alla visione; la fede è legata alla Parola di Dio,
che non è per essere veduta ma è per
essere ascoltata.
Capite amici, perché mi piace leggere
il Vangelo e commentarlo!
Nei momenti di stanchezza, di mutismo
dell’anima e del cuore, non saremo in grado
di emozionarci, di estasiarci, ma
saremo sempre in grado di ascoltare la Parola di Gesù,
di osservarla, di realizzarla nella
nostra fatica quotidiana.
L’ascolto può sempre essere strumento
per la trasfigurazione di questo nostro tempo,
di questa nostra esistenza che scorre
veloce, ora per ora, giorno per giorno.
Non fermiamo la nostra nostalgia sui
momenti emotivi, sui momenti di entusiasmo,
simili all’entusiasmo di Pietro sul Tabor.
La nostra salvezza, la nostra
missione, il nostro compito sulla terra, non è quello di
vedere, ma di “vivere” la trasfigurazione, la nostra
trasfigurazione.
E subito guardandosi attorno, non videro più
nessuno, se non Gesù solo. (Marco
9.8).
È un episodio fra i più belli del
Vangelo, la Trasfigurazione
del Signore.
Ma sul Tabor Gesù si trasfigura solo
per il bagliore di pochi istanti, poi,
lo splendore si spegne.
Lo splendore di un attimo doveva
insegnare agli apostoli, e quindi a noi, che la
nostra strada non è fatta di
festività, di poesia, ma di ferialità e di quotidianità.
La fede non si misura sui momenti di
eroismo, ma sull’eroismo di tutti i momenti,
come quello che stiamo vivendo in
questo momento.
Si è credenti non perché si va in Chiesa e alla
Messa.
Si è credenti quando si vive la Messa.
Nei nodi cruciali e nel cuore del
nostro vivere quotidiano, c’è una tentazione che
si infiltra, che si insinua in tutti
noi; quella di illuderci che la nostra fede possa
respirare soltanto nell’emotività,
nell’astrattezza; che possa occupare soltanto un
momento della nostra giornata o della
nostra settimana.
Vi dico che, non è così.
La fede è concretezza di ogni
istante, è concretezza dura, difficile, che impegna
tutta la nostra capacità di coerenza.
Se di fronte a valori come la fedeltà, la
lealtà, la giustizia, il sacrificio, l’onestà,
noi cerchiamo compromessi, magari a costo
di macchiarci la coscienza,
allora la nostra non è vera fede.
Ognuno di noi è ateo se non mette Dio
sempre al primo posto; perché Dio
deve essere il Primo, l’Assoluto.
La nostra fede ha da misurarsi con la
fede di Abramo, che mette Dio al primo
posto, anche quando Dio lo conduce al
martirio, lo prova fino al martirio di padre,
richiedendogli il figlio che gli ha
donato.
Sulla vetta del Tabor, gli apostoli
hanno avuto il dono di scoprire il volto della
divinità di Gesù; di contemplarlo
glorioso e splendente tra Mosè ed Elia; hanno
sentito che era bello stare lì,
estasiati in quella luce.
Ma poi, improvvisamente, si sono
trovati con Gesù solo, il Gesù di tutti i giorni,
con i piedi impolverati come i loro.
E mentre scendevano giù dal monte, Gesù
parlava loro della sua Passione
e della sua Morte.
La nube splendente è stata uno
sprazzo, un lampo; e subito è ricominciato il
grigiore di una strada dura e
difficile, che portava al Golgota e al
Calvario.
Anche il nostro cammino deve
prevedere la via dolorosa.
Non è una cosa facile per noi
accettare il nostro calvario; ma non basta recitare
il Credo la Domenica e dire con le
labbra: “Credo in Dio Padre
Onnipotente”.
È nella lotta quotidiana, nelle
scelte feriali, nelle croci immancabili, e io ne ho avute
tante, che dobbiamo saper dire: “Credo in Dio, il Primo, l’Unico,
l’Assoluto”.
Il Signore ci aiuti ad esaminare la
nostra fede e a trasfigurare i nostri istanti.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di
non raccontare a nessuno ciò che
avevano visto, se non dopo che il Figlio
dell’uomo fosse risuscitato dai morti.
Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi
però che cosa volesse dire
risuscitare dai morti. (Marco 9.9-10)
Nella Trasfigurazione del Tabor, vi sono
raffigurate quattro trasfigurazioni del
Signore; la trasfigurazione della sua
Incarnazione, la trasfigurazione della sua
Morte, la trasfigurazione della sua
Risurrezione, la trasfigurazione dell’Eucaristia.
Ma per completare il quadro manca la
trasfigurazione dei cristiani, quella di noi tutti.
Perciò diamoci da fare, completiamo
il quadro, facciamo della nostra vita tutta
una trasfigurazione e al termine
della nostra esistenza, quando avverrà la nostra
ultima trasfigurazione ci ricorderemo
del Tabor; perché allora ognuno di noi dovrà
rispondere alla chiamata, alla
trasfigurazione per l’eternità.
Sono certo che tutti noi ci animeremo
per una trasfigurazione, o almeno lo spero,
non è possibile ricalcare le orme di
Cristo, senza ritornare trasformati.
Dal pellegrinaggio spirituale sul
Tabor, dobbiamo scendere trasfigurati.
Sarebbe bello che ciascuno di noi nel
leggere questa meditazione sentisse la voce
del Padre che ci chiama ad ascoltare
ancora più intensamente.
Perché quando torneremo nella nostra
quotidianità, possiamo dire a tutti che
l’abbiamo trovato, “il Signore”, che l’abbiamo incontrato, che l’abbiamo ascoltato.
Scendendo dal Tabor, Gesù proibì agli
apostoli di parlare del fatto straordinario
di cui erano stati testimoni.
Ma a noi, a più di duemila anni di
distanza, a noi come battezzati, a noi come credenti
nella Risurrezione, noi: “Non possiamo tacere!”.
Quando un cristiano tace, è perché
non è trasfigurato.
È per questo amici, che non riescono
a farmi tacere, magari criticare, ma tacere no.
Se crede nella trasfigurazione di
Cristo, il cristiano è un testimone di Cristo, che
comunica Cristo, è un cristiano che
parla, con la voce, con l’esempio, con la vita.
Questo è l’impegno che ci proponiamo,
se abbiamo capito tutto questo,
ci prendiamo l’impegno di parlarne a
tutti!
Ecco amici, ora il nostro Tabor è qui nelle
nostre case, dove per colpa del virus
siamo costretti a restare chiusi, dove
possiamo trovare Dio e dialogare con Lui in
un dialogo fraterno, come hanno fatto gli
Apostoli, come faccio io tutti i giorni.
Buon dialogo e buona lettura a tutti Fausto.