giovedì 9 aprile 2020

Venerdì 10 Aprile 2020 la Passione del Signore


Venerdì della settimana Santa.
Passione del Signore.
Prima lettura dal libro del profeta Isaìa (52,13-53-12)
Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente.
Come molti si stupirono di lui–tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo–, così si meraviglieranno di
lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un
fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito.
Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore
per poterci piacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne
avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri
dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi
siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua
strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello
condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge
per la sua posterità?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo
fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene
non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza,
vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché
ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre
egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli.
Parola di Dio.
Seconda lettura dalla lettera agli Ebrei (4,14-16; 5,7-9)
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso
i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.
Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle
nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi,
escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere
misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
[Cristo, infatti,] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche,
con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno
abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto,
divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
Parola di Dio.
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni (18,1-19,42)
-Catturarono Gesù e lo legarono.
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove
c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli.
Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era
trovato là con i suoi discepoli.
Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie
fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi.
Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse
loro: «Chi cercate?».
Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!».
Vi era con loro anche Giuda, il traditore.
Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra.
Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?».
Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io.
Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la
parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato».
Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del
sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro.
Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada
nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».
-Lo condussero prima da Anna.
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù,
lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa,
che era sommo sacerdote quell’anno.
Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo
uomo muoia per il popolo».
Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo.
Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel
cortile del sommo sacerdote.
Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta.
Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla
portinaia e fece entrare Pietro.
E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?».
Egli rispose: «Non lo sono».
Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo,
e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.
Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento.
Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella
sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto.
Perché interroghi me?
Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto».
Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù,
dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?».
Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male.
Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?».
Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.
-Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi.
Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?».
E lo negò e disse: «Non lo sono».
Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva
tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?».
Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.
-Il mio regno non è di questo mondo.
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio.
Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter
mangiare la Pasqua.
Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?».
Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato».
Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!».
Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno».
Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.
 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?».
Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?».
Pilato disse: «Sono forse io Giudeo?
La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me.
Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo
mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei;
ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?».
Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re.
Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza
alla verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».
E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna.
Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi:
volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?».
Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!».
Barabba era un brigante.
-Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare.
E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero
addosso un mantello di porpora.
Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!».
E gli davano schiaffi.
Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate
che non trovo in lui colpa alcuna».
Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora.
E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».
Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!».
Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa».
Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire,
perché si è fatto Figlio di Dio».
All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura.
Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?».
Ma Gesù non gli diede risposta.
Gli disse allora Pilato: «Non mi parli?
Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?».
Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse
stato dato dall’alto.
Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».
-Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà.
Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare!
Chiunque si fa re si mette contro Cesare».
Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale,
nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà.
Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno.
Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!».
Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!».
Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?».
Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare».
Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
-Lo crocifissero e con lui altri due.
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio,
in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno
dall’altra, e Gesù in mezzo.
Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù
il Nazareno, il re dei Giudei».
Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era
vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco.
I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei
Giudei”, “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”».
Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».
-Si sono divisi tra loro le mie vesti.
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro
Parti-una per ciascun soldato-, e la tunica.
Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo.
Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca».
Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla
mia tunica hanno gettato la sorte».
E i soldati fecero così.
-Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre
di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla
madre: «Donna, ecco tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!».
E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse
la Scrittura, disse: «Ho sete».
Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima
a una canna e gliela accostarono alla bocca.
Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!».
E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)
-E subito ne uscì sangue e acqua.
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce
durante il sabato-era infatti un giorno solenne quel sabato-, chiesero a Pilato che
fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via.
Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati
crocifissi insieme con lui.
Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma
uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il
vero, perché anche voi crediate.
Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato
alcun osso».
E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui
che hanno trafitto».
-Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi.
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto,
per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù.
Pilato lo concesse.
Allora egli andò e prese il corpo di Gesù.
Vi andò anche Nicodèmo-quello che in precedenza era andato da lui di notte-e portò
circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe.
Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi,
come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura.
Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro
nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto.
Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro
era vicino, posero Gesù.
Parola del Signore.
Meditazione personale sul Vangelo di oggi.
Silenzio.
La Chiesa tace, riunita attorno alla collina del Golgota.
Silenzio assoluto, tutto tace, le nostre Chiese sono vuote, spoglie, disadorne,
oggi nella Chiesa nessuno celebra l’Eucaristia, per guardare all’unica
Eucaristia che Dio celebra dalla Croce.
Croce di mistero, Croce di strazio, Croce di infamia.
Ma anche la Croce gloriosa, Croce piena di speranza, Croce che rivela, infine,
chi è veramente Dio.
Silenzio.
Entriamo nelle nostre Chiese spoglie cercando con lo sguardo l’immagine
dell’Appeso, che solennemente viene portata in processione e adorata.
Ecco Dio, eccolo, veramente.
Così distante il vero Dio dall’immagine piccina che di Lui ci siamo fatti
e continuiamo a farci.
Dio ha dato tutto, è osteso, donato e mostrato.
Un Dio che ama fino a morirne, un Dio che si lascia consegnare e appendere per
mostrare a tutti che il suo amore è autentico, senza condizioni, senza rimpianti.
Davanti alla Croce, misura dell’amore e della serietà di Dio, anche noi
proclamiamo; Dio grande, Dio forte, Dio immortale, abbi pietà di noi.
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il
tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua
volontà come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a
noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri
debitori, e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male. Amen.
Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto
del tuo seno, Gesù.
Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori,
adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, ora, e sempre,
nei secoli dei secoli. Amen.
Buon Venerdì Santo, Fausto.


Ecco amici, la seconda parte della riflessione sul Getsemani, dove ci inoltriamo più a fondo al dolore di Cristo.


Col Cuore al Getsemani 2° parte.
Ma Dio non chiama soltanto i grandi santi a soffrire con Lui, chiama innanzitutto
i sofferenti, chiama i desolati, gli ammalati, i moribondi, chiama coloro che
patiscono ingiustizie, delusioni, solitudini: “Non soffrite senza scopo,-Egli
vorrebbe dir loro-non soffrite senza lucerna accesa, offritemi le pene che vi
pesano sul cuore, che vi pesano sulle spalle, che vi pesano sul cammino; offritemi
la vostra rassegnazione alle prove che non potete sfuggire, ed io le gradirò,
le farò profumare e le presenterò al Padre che le considererà come un talento
trafficato, un talento moltiplicato”.
Gli uomini che non conoscono Cristo, o che lo rifiutano, portano la croce senza
offrirla e senza trasfigurarla; il più delle volte nella disperazione.
Ma noi cristiani (o almeno si spera) possiamo portare la nostra croce per amore
di Cristo, offrendola a Lui e trasfigurandola nella speranza della felicità eterna.
Tempo fa in un monastero di clausura, una suora anziana diceva: “Sono in
monastero da 52 anni, sono molto malata e soffro molto, ma non desidero
di morire, perché penso che allora cesserei di amare.
È proprio questo che serve alla Chiesa per salvare i fratelli; soffrire e amare.
Non l’ho chiesta io la mia sofferenza, perché dovrei chiederne la fine cessando
di salvare i peccatori?”.
Che meravigliosa intuizione ha avuto quella suora!
Che fede stupenda e luminosa!
Servire Dio con il dolore che non abbiamo chiesto, ma che ci è piombato addosso!
Le forze più vive della Chiesa di oggi e di sempre sono queste anime devote
e generose che trovano l’amore nel dolore.
Io credo che nel Calice dell’Altare, insieme al suo Sangue, il Signore ci fa bere
anche il suo Amore; quel Calice diventa come un filtro d’Amore; nutriti da
Cristo, si diventa innamorati anche noi; per chi accetta di berlo, il Calice
della passione, diventa Calice di gioia.
Allora, quando una grande prova si abbatte su di noi, non chiediamoci se quella
prova è giusta o ingiusta, non diciamo: “Perché a me? Perché questa croce?”.
Crediamo invece all’uso divino che Dio fa di quella sofferenza!
Noi sappiamo bene quante grazie strappano a Dio i santi con il loro fiat; allora
anche noi, di ogni prova non voluta facciamone un atto di fede e di generosità.
Comprenderemo così la straordinaria affermazione di San Paolo, quando scrive:
“A voi è stato concesso di patire con Cristo!”, come un privilegio; concesso!
È questa la forza, la gioia, la grazia che distingue i cristiani, perché credono
in un Dio sofferente.
L’uomo è sempre sofferente, ma il cristiano sofferente ha il privilegio di soffrire
con il suo Dio.
“Quello che dico a voi lo dico a tutti; vegliate!”. (Marco 13,37)
Quante volte il Signore dovette ripetere agli Apostoli in quella tragica notte: “Vegliate!”.
E quante volte anche noi ci facciamo ripetere: “Non sapete vegliare
neppure un’ora con Me?”.
Quando in una mattinata nebbiosa il sole si fa largo e rischiara la nebbia fino a
sconfiggerla e fa brillare le gocce di nebbia adagiate sugli alberi, dentro di noi
se ne va la tristezza e ritorna il sorriso.
Allora destiamoci, scrolliamoci di dosso la nebbia che ricopre i nostri occhi
e offusca la nostra mente!
Il Getsemani è il luogo dei nostri appuntamenti con il nostro Dio; e che sia
anche il luogo del nostro ravvedimento, il luogo dove ci svegliamo per
riparare alle nostre miserie!
Credo che il Getsemani, non sia solo un luogo della Terra Santa, ma è il
confessionale dove si piange il nostro sonno e dove ci si impegna a convertirci;
anzi più che a convertirci; ci si impegna ad una conversione costante; cioè ci
si impegna a un costante esame di coscienza, non dimenticando-cosa che
invece è tanto facile dimenticare-, di interrogarci sui nostri quotidiani peccati
di cristiani, cristiani in famiglia, cristiani nel lavoro, in parrocchia
e cristiani in cammino.
Per stimolarci a questa continua revisione interiore, dobbiamo continuamente
fare un esame di coscienza, perché c’è sempre la tentazione che si insinua in noi,
quando crediamo di essere cresciuti nella fede.
Ci crediamo pronti, sicuri, forti, vorremmo addirittura condividere la sua passione,
per poi traballare alla prima avvisaglia della sofferenza!
Ma la vera Passione del cristiano, cos’è!
1. La passione, la nostra passione, noi dobbiamo attenderla.
2. Noi sappiamo che deve venire.
3. Il sacrificio di noi stessi, noi l’aspettiamo.
4. Come un ceppo sul fuoco, così noi sappiamo di dover essere consumati.
5. Come un filo di lana reciso dalle forbici, così dobbiamo essere preparati.
6. Come un giovane animale che viene sgozzato, così dobbiamo essere uccisi.
7. La passione, la passione con la P. maiuscola. Noi l’attendiamo.
8. L’attendiamo ed essa non viene.
9. Vengono invece le passioni: “Le passioni, queste briciole di passione che hanno
lo scopo, Signore, di ucciderci lentamente per la tua gloria, senza la nostra gloria”.
10. Sin dal mattino ci vengono incontro; sono i nervi troppo tesi o troppo lenti;
è il latte che trabocca, l’autobus che passa affollato, i bambini che tutto scombinano;
è l’antipatia di chi lavora con noi; è il telefono impazzito; è coloro che amiamo
e non ci amano più, è la voglia di tacere e il dovere di parlare; è la voglia di
parlare e la necessità di tacere; è il volere uscire quando si è costretti a stare in
casa e il volere rimanere a casa quando bisogna uscire; è la persona a cui
vorremmo appoggiarci e che invece dobbiamo sorreggere; è il disgusto della
nostra fatica quotidiana, è il desiderio febbrile della nostra gioia quotidiana.
Così vengono le nostre passioni; in ranghi serrati o in fila indiana; e dimentichiamo
sempre di dirci che sono le passioni preparate per noi.
E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando un’occasione che ne valga la pena.
Perché abbiamo dimenticato che, come ci sono i rami che si inceneriscono nel
fuoco, così ci sono le tavole di legno che i passi lentamente logorano e che si
disfano in segatura.
Perché abbiamo dimenticato che ci sono fili di lana tagliati netti dalle forbici
e ci sono fili di maglia che l’usura quotidiana lentamente consuma.
Perché abbiamo dimenticato che ogni martirio è Passione.
Da questa pagina sapiente impariamo a verificare la nostra maturità di cristiani;
impariamo ad esaminarci, a svegliarci, a “vegliare”, come ci chiede
Cristo nel Getsemani.
Che ciascuno di noi si sforzi di vivere le passioni di ogni giorno, le proprie
passioni ogni giorno.
Ed essi addolorati profondamente, incominciarono ciascuno
a domandargli: “Sono forse io, Signore?”.
Ed Egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà”.
Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”.
Gli rispose: “Tu l’hai detto”. (Matteo  26022-25)
Preso il boccone, egli subito uscì, ed era notte. (Giovanni 13,30)

“Quello che bacerò è Lui, arrestatelo!”.
E subito si avvicinò a Gesù e disse: “Salve Rabbì”. E lo baciò.
E Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui!”.
Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. (Matteo 26,48-50)
Vogliamo riflettere sul tragico epilogo del giovedì Santo; il tradimento di Giuda.
Si sono fatti sempre tanti discorsi, tanti romanzi su questa figura impenetrabile e misteriosa.
Ma noi ora cercheremo di fare un discorso diverso dal solito, cioè di attenerci
soltanto al Vangelo.
Anche Giuda è un “chiamato”, anche lui è stato scelto da Gesù quando là sulla
collina della Galilea-come dice il Vangelo-il Maestro ha costituito i suoi discepoli,
affinché andassero a predicare, avessero potere di guarire le infermità
e di cacciare i demoni.
Giuda restò con il Signore fino all’ultima cena, fin quando, preso il boccone,
uscì dal Cenacolo.
È come se con quella fuga, Giuda quasi non reggesse allo sguardo doloroso di
Cristo fisso nel suo, come se avesse detto: “Sì, sono io il traditore”.
Cos’era passato fra il primo “sì” di Giuda in Galilea, e il suo ultimo “si” nell’ultima cena?
Nel racconto evangelico di una cena precedente, la cena di Betania quando
la Maddalena versò unguento prezioso (il nardo) sui piedi di Gesù, suscitando
il rimprovero di Giuda, perché l’olio poteva essere venduto per darne il ricavato
ai poveri Giovanni dà un giudizio duro sul compagno: “Questo lo disse non
perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e siccome teneva la cassa,
prendeva quello che gli mettevano dentro”.
Secondo Marco, fu proprio dopo quella cena che Giuda decise di consegnare
Cristo ai sommi sacerdoti.
La stessa cosa ci dice Matteo, che precisa il premio del tradimento; trenta monete
d’argento, il prezzo fissato dalla legge per la vita di uno schiavo.
Ma stiamo attenti; queste notizie e questi giudizi sono stati scritti decenni dopo i fatti.
In realtà alla mensa nel Cenacolo, quando Gesù annuncia che uno di loro lo tradirà,
nessuno pensa a Giuda, nessuno dubita di lui.
Anzi, gli Evangelisti concordano nel dire che, rattristati, tutti cominciarono
a chiedersi a vicenda “chi di essi avrebbe fatto ciò”.
Dunque soltanto Gesù, in virtù dei suoi poteri divini, soprannaturali, sapeva
tutto del tradimento e del traditore.
Cos’è che motivò il distacco di Giuda dal Rabbì a cui si era promesso in Galilea?
Fu l’avidità del denaro?
Ma quei miseri trenta denari, non sembrano il prezzo giusto di una trattativa
interessata; sembrano quasi uno spregio in più, per il valore del Rabbì!
Forse un dato importante per capire Giuda è il fatto che lui è l’unico giudeo
nel gruppo degli Apostoli, tutti uomini della Galilea; questa cittadinanza ha
certamente pesato nello svolgimento del dramma.
Si può pensare infatti che l’Iscariota fosse materialmente e psicologicamente
vicino all’ambiente dei Giudei di Gerusalemme, cioè agli intrighi politici e
religiosi che avevano il loro focolaio nella cerchia dei sommi sacerdoti,
degli anziani, degli scribi, dei farisei; tutta gente che sognava l’arrivo di
un capo, di un re capace di scuotere il giogo di Roma.
E il Rabbì di Nazareth, sembrò certamente il personaggio ideale per questo ruolo.
Intanto, era della stirpe di Davide, la stirpe destinata a regnare su Israele,
secondo le profezie; era giovane, radioso, religioso, irreprensibile, era un grande
taumaturgo, sempre assediato dalle folle, ascoltato dal popolo; era sapiente,
era un Rabbì straordinario come non se ne erano mai visti.
All’inizio perciò, Giuda può avere riversato sinceramente su Gesù tutto il suo
entusiasmo; e più Cristo diveniva popolare, più giustificava le speranze
riposte in Lui.
Ma poco a poco però, Gesù cominciava a deludere i suoi sostenitori; sempre
più spesso questo Rabbì predica contro gli scribi e i farisei: “Guai a voi, scribi
e farisei ipocriti, che imponete la decima, ma avete trascurato le parti più
importanti della legge; la giustizia, le misericordia e la fedeltà. Guai a voi!”.
Nel Vangelo di San Matteo ci sono splendidi brani sulle ammonizioni di Gesù,
ammonizioni preziose anche per raddrizzare la nostra mentalità, non sempre
lontana da quella farisaica.
Ogni giorno di più il Signore manifestava la sua indifferenza e il suo disprezzo
per i regni di questo mondo, per la gloria di questo mondo: “Io non sono venuto
per essere servito ma per servire”, diceva.
Non solo, cominciò anche a profetizzare la sua passione e la sua morte in croce,
mandando in frantumi i sogni di chi guardava a Lui come al trionfatore.
Quel Rabbì cominciava allora a far paura al potere religioso di Gerusalemme;
il suo ascendente sulla folla non è più gradito, anzi diventa pericoloso.
Dopo la clamorosa resurrezione di Lazzaro, la misura appare colma.
È impressionante il realismo della congiura narrata dal Vangelo: “E che
facciamo-si chiedono gli scribi-, mentre quest’uomo fa tanti miracoli?
Se lo lasciamo fare così ci screditerà e, i Romani distruggeranno il nostro
luogo santo e la nostra nazione”.
E Caifa, il sommo sacerdote aggiunse: “Voi non capite e non riflettete come
sia di nostro interesse che muoia un solo uomo per il popolo e non
perisca l’intera nazione”.
Gli Evangelisti narrano che Giuda uscì dal Cenacolo dopo aver già trattato il tradimento.
E ci chiediamo, fu Giuda ad accostare per primo il potere, o fu il potere che
accostò Giuda, indovinando la sua disponibilità a tradire?
Oppure, come è più probabile, il rapporto tra costoro era di più antica data?
Domande inutili.
Gli Evangelisti ci dicono solo che, all’uscita del Getsemani il traditore si fece
incontro a Gesù guidando i soldati con le armi e le lucerne per illuminare il
bacio del tradimento.
Ci dicono che poi Giuda si pentì di aver tradito sangue innocente e volle annullare
quel fatto scellerato, ma non riuscendovi, s’impiccò ad un albero e si uccise.
Quale fu la colpa più grave di Giuda; il tradimento o il disperato suicidio?
Diciamo piuttosto che la colpa più grave di Giuda fu una colpa “a monte”,
a monte del tradimento e della disperazione.
Giuda fu colpevole di essere stato scelto e amato da Cristo, di essere vissuto
tanto tempo con Lui, al calore della stessa mensa, sotto lo sguardo di quelle
pupille, nel fascino di ore e ore trascorse in preghiera e in ardenti colloqui
con Lui e, ciò nonostante di non avergli creduto!
Di non avere creduto che Egli fosse il Figlio di Dio, come Egli asseriva di
essere; lo credette soltanto un uomo, sia pure giusto, sia pure innocente.
È significativo l’aggettivo “innocente”, usato da Giuda quando confessò
il suo peccato: “Ho tradito sangue innocente”.
Perché dimostra che neppure al termine della tragedia Giuda arrivò a chiamare
Cristo col nome di Signore, di Messia, di Figlio di Dio.
Io penso che il Signore avesse chiesto a Giuda: “E tu chi dici che Io sia?”.
Giuda non avrebbe mai risposto come rispose Pietro, ispirato dal
Padre: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente”.
Se Giuda avesse avuto la fragilità di Pietro, ma anche la vibrante fede di lui,
avrebbe capito che neppure il suicidio pacifica, come pacifica il perdono di
Dio; e sarebbe tornato, come tornò Pietro, in seno ai dodici.
Giuda morì disperato!
Non aveva capito che il perdono di Cristo era il perdono di Dio, non aveva
accolto il Dio della misericordia.
Eppure, al momento dell’arresto, Gesù lo aveva ancora chiamato “amico”;
non per patetica bontà, ma per fargli capire che, nonostante il tradimento
consumato, il traditore era ancora in tempo per approfittare di un Dio “amico”,
per approfittare di un Dio del perdono; Gesù volle invitare Giuda a varcare in
extremis la soglia che dal “Dio dell’ira”, immette al “Dio dell’amore”.
Ma Giuda non accolse neppure quell’ultimo invito, perché non aveva accolto
la rivelazione di Cristo, non aveva accolto Cristo.
La colpa più grave di Giuda, è quella che nell’ultima Cena, Gesù stesso annunciò
il tradimento: “Colui che mangia con Me, ha levato contro di Me il suo calcagno.
Ve lo dico fin d’ora prima che accada, perché quando sarà avvenuto crediate che io sono.
In verità in verità vi dico; chi accoglie Me, accoglie Colui che Mi ha mandato”.
Non credo che ci sia un giudizio più giusto di questo giudizio del Signore sul
peccato di Giuda; Giuda non ha accolto Gesù, perché non era del Padre.
Quale zona buia aveva quest’uomo dentro di se?
Quale ombra, quale tenebra, ancora prima del tradimento, gli impediva
di “avere parte” con il Padre e quindi con il Figlio?
Solo Dio ha visto in quel cuore.
C’è una domanda che spesso mi sento rivolgere: “Si sarà salvato Giuda
o sarà stato condannato in eterno?”.
È una domanda che mi pare una tentazione, la tentazione di togliere a Dio
i suoi veli, i suoi misteri.
Noi sappiamo che la giustizia di Dio è misericordiosa e, che la sua misericordia
è giusta, ma non sappiamo discernere il punto esatto in cui la giustizia divina
si salda alla misericordia divina.
Non affanniamoci stoltamente a risolvere gli enigmi divini; commetteremmo il
peccato di Giuda, quello di considerare Dio come un semplice uomo, senza mistero.
Chi non sa godere del mistero di Dio, è qualcuno che sta già perdendo la fede;
e nel Getsemani noi dobbiamo andare invece per rinsaldare la nostra fede!
Dobbiamo essere orgogliosi della nostra religione “rivelata da Cristo”.
Dobbiamo essere entusiasti e grati per la fede che ci è stata donata; la fede
nella misericordia che ci salva dalla disperazione; la fede nel perdono che
ci addolcisce nell’umiltà; la fede nella vita eterna che ridimensiona i drammi
della vita presente; la fede in Colui che ha detto di Se stesso: “Io sono il Salvatore”.
Ora capisco Signore, cosa vuol dire avere fede, in particolare in questo momento
tragico per colpa di questo demonio invisibile, che ti attacca alle spalle e non
riesci a difenderti e, che, solo la fede può aiutarti a non impazzire.
Perciò, Signore, voglio in questa notte tragica, essere vicino a Te come, Tu sei
vicino a tutti quelli che soffrono, condividere il tuo dolore, come Tu condividi
il nostro dolore e, vogliamo pregare insieme a Te che ti stai preparando a salire
sul Golgota e, noi saremo lì con Te sotto alla Croce.
A domani amici, vi do appuntamento sulla collina della sofferenza
e della Croce assieme a Gesù.
Buona lettura e meditazione, Fausto.