La Resurrezione.
Ora amici, cercheremo di capire
con l’aiuto degli Evangelisti, cosa è accaduto
dopo il famoso sabato, in cui
Gesù è rimasto rinchiuso nel sepolcro, i racconti
si differenziano tra di loro, per
questo ve li propongo tutti e quattro,
commentandoli in modo da capire
il loro stato d’animo, e magari anche il nostro.
Il dolore d superare.
(leggete il brano di
Luca 24,1-12).
Perché cercate tra i morti il
vivente?
Vero, troppe persone pensano a
Dio come a un cadavere, troppi cristiani si
avvicinano alla fede come si
entra in un cimitero; con gran rispetto e in
silenzio, lo sguardo raccolto e
meditabondo, ma col desiderio di uscirne il
più in fretta possibile.
L’angelo è visibilmente irritato
da quell’atteggiamento, come vedremo
anche in Matteo.
Gesù è vivo, inutile cercarlo
nella tomba; Gesù ormai ha superato ogni
dolore, Egli è altrove e
presente.
La sua morte dolorosa e violenta
è alle spalle, non solo superata, ma dimenticata.
Perché Gesù è morto?
Conosco molte persone devote a Gesù
in croce; la meditazione della passione,
nei secoli, ha suscitato grandi
conversioni, profonde riflessioni, anch’io quest’anno
come spero avrete letto, ho
voluto fare le mie riflessioni; nella croce troviamo la
rivelazione definitiva e
inequivocabile del vero volto di Dio.
Il cuore della
riflessione è;
perché mai Gesù è morto?
Qual’è la ragione
ultima della morte di Gesù?
I nostri peccati? Una congiura politica?
Una tragica
incomprensione?
Intorno a questa domanda ruota
tutta la nostra fede.
Gesù viene a svelare il
vero volto di Dio,
il volto del Padre.
Questo evento è l’ultimo tassello
di un’entusiasmante e originale storia
d’amore fra Dio e il suo popolo,
storia vissuta in prima persona da Israele,
tra alti e bassi.
Un Dio che si racconta, che entra
in relazione, che ama, che sostituisce
quell’immagine innata e oscura
della divinità che portiamo nell’inconscio.
Questa relazione vive momenti
esaltanti (da Abramo, attraverso Mosè e Davide,
fino ai profeti), e momenti
deprimenti, caratterizzati dalla fatica dell’uomo
a restare fedele all’immagine che
Dio svela di sé attraverso i profeti.
Stanco di questo, Dio diventa
uomo.
Gesù è il vero volto di Dio, il
raccontatore del Padre.
Lo racconta con
la sua vita, la sua serena parola, le sue vibranti provocazioni.
Gesù sceglie, all’inizio della
sua missione, nel deserto di Giuda, quale
Messia diventare.
Il demonio, con arguto buon
senso, lo invita a usare la forza, lo stupore,
il miracolo, l’alleanza col
potere, per essere efficace (Matteo 4,1).
Ha ragione, in fondo; se Gesù
avesse galleggiato nel vuoto sorretto da angeli,
non sarebbe forse stato
riconosciuto come Messia?
Invece no, Gesù sceglie di essere
un Messia di basso profilo, un Dio sottotono, mediocre.
Non userà la forza, né compirà
prodigi eclatanti, non userà le armi della
seduzione, rifiuterà i trucchi
del politico.
Perché Dio vuole essere amato per
ciò che è, perché “è”, e non per ciò che dà.
Gesù difende il Padre contro la
visione meschina e approssimativa che ne abbiamo.
Ma non bastano i miracoli
(ambigui), né la tenerezza (fragile), né la
predicazione (controversa) degli
anni di vita pubblica.
Gesù arriva alla fine dei suoi
intensi tre anni con un pugno di mosce in mano,
l’umanità non ha capito.
I suoi discepoli, preziosi e
amati, sono fermi alla contraddizione del potere e
della gloria e, inchiodati al
proprio (evidente) limite; i capi religiosi ne avvertono
la forza destabilizzante; la
folla segue il vento della moda.
Gesù non ha alcuna possibilità di
farcela, la sua scommessa è persa.
Non è servito, non è bastato, non
è sufficiente tutto l’amore che ha donato.
Forse aveva ragione l’avversario,
là nel deserto; troppo ingenuo questo
modo di operare.
Davvero Dio pensava di
trattare gli uomini alla pari?
Di aprire il loro cuore
col sorriso?
Di presentarsi
vulnerabile?
La scelta da fare, ormai, è una
sola; andarsene, rinunciare, gettare la spugna.
Occuparsi-chissà-di un altro
mondo. Oppure!
Oppure lasciarsi travolgere,
sparire, morire.
Lasciare che le tenebre vincano,
lasciare che le cose prendano la loro piega, osare.
Osare fino a morire appeso a una
croce, fino all’eccesso.
Altro è dire: “Dio vi ama!” altro è morire.
Altro dire: “Il Padre vi perdona!”, altro pendere, nudo, da un
palo.
Una cosa parlare, un’altra
morire. Urlando.
Una cosa predicare, un’altra
vivere fino in fondo ciò che si è predicato.
Capiranno gli uomini?
O Dio sarà uno dei tanti
sconfitti della storia, dimenticati?
La posta in gioco è immensa;
l’esistenza stessa di Dio.
Quanti crocifissi sono morti
nella storia antica? Tantissimi!
Di quanti di loro ricordiamo il
nome e la vita? Di
nessuno.
Il rischio che Dio corre in
quell’ultimo gesto, è quello di scomparire per sempre.
L’uomo avrebbe continuato a
immaginarsi Dio con un volto identico ai
propri desideri e alle proprie
paure.
Gesù accetta, rischia, si dona.
Forse sarà tutto inutile, come
insinua l’avversario nell’orto degli ulivi. Forse.
L’agonia di Gesù, nell’orto degli
ulivi, l’agonia che lo fa sudare sangue,
è tutta lì, in quella scelta.
Non nel dolore che Gesù deve
affrontare, non nel senso di abbandono
da parte dei suoi, no.
Francamente, conosco persone che
hanno sofferto molto più a lungo di Gesù.
Io credo che il dolore, inaudito,
che Gesù prova, nasca dal dubbio
dell’inutilità della sua scelta
definitiva.
L’avversario, che torna adesso
che è giunta l’ora, cerca di scoraggiarlo: “Tutto
inutile”.
Inutile; non vedi che ti stanno
venendo a prendere per arrestarti?
Inutile; i tuoi stanno dormendo,
non hanno capito la gravità della situazione.
Inutile; l’uomo non cambierà mai.
Gesù accetta, corre il rischio,
si dona. Morirà.
Lì, appeso alla croce, Dio è
evidente, inequivocabile, non vi è alcuna
possibilità di ambiguità.
Il cuore della passione di Cristo
è l’amore, non la violenza.
Gesù muore affidando al Padre il
proprio cuore, e donando a noi il suo Spirito.
Dio è evidente; osteso, mostrato,
nudo.
Dio è così, amici; arreso.
A noi, ora, la prossima mossa.
Ma Gesù, è ancora
morto?
Risorto, Gesù è vivo, le donne
sprecano il loro tempo nel cercare Gesù
per imbalsamarlo.
Meditare la passione può davvero
suscitare la fede.
La meditazione sull’amore che ne
emerge, sul volto di un Dio che muore
per amore, ha convertito più di
un cuore.
Ma, ahimè, non è questa la sola
ragione della nostra devozione al crocifisso.
Amiamo il crocifisso, ne siamo
coinvolti, turbati, perché tutti abbiamo una
ragione per essere tristi, tutti
abbiamo una sofferenza da condividere.
Ma condividere la gioia è un
altro paio di maniche!
Quando incontro qualcuno per
strada e mi chiede: “Come va?”, se dico: “Non
molto bene, ho avuto
una brutta influenza, sono stato dieci giorni a letto”,
abitualmente la risposta è: “Anche a me è successo! Sapessi!”.
Se invece rispondo: “Benissimo, è un periodo fantastico”, ricevo come
risposta
un affrettato sorriso.
È più difficile gioire per la
gioia di un altro, che soffrire per la sua sofferenza.
Perciò, molte volte, la nostra
devozione al Crocifisso è, in realtà, una devozione
alla nostra sofferenza proiettata
su Dio.
Non ce l’ho con gli ammalati, ci
mancherebbe, rispetto il loro dolore.
Parlo per tutti noi, di tutti gli
altri, di tutti coloro che si ostinano a cercare un
crocifisso, non il Risorto!
Se cerchiamo Gesù morto, amici,
sbagliamo indirizzo clamorosamente.
Mi chiedo se l’assenza di Dio,
che troppe volte lamentiamo, non sia legata
al fatto che cerchiamo un Dio
morto e non un vivente.
Ci rivolgiamo a Dio, nella
stragrande maggioranza delle volte, in caso
di necessità dolorose.
Quasi mai ascolto come preghiera
un: “Senti Dio, ho capito che la vita è un
tuo dono, mi sono
innamorato di Te, vedo tutto rosa, oggi mi sento finalmente
bene, vuoi gioire con
me?”.
Troppo spesso il Gesù in cui
crediamo è morto, e noi pensiamo di fargli un
piacere portandogli degli
unguenti per imbalsamarlo!
Gesù è morto quando lo teniamo
fuori dalla nostra vita, morto se resta chiuso
nei Tabernacoli delle Chiese
senza uscire in strada con noi, morto se la sua
Parola non spacca il mare di
ghiaccio che soffoca il nostro cuore.
Morto e sepolto quando la nostra
diventa una religione senza fede, un quieto
appartenere alla cultura
cristiana senza che il fuoco della sua presenza contagi
la nostra e l’altrui vita; morto
se la fede non cambia la economia, la nostra
politica; morto quando ci
arrocchiamo nelle nostre posizioni di “cattolici”
scordando il nostro essere
uomini.
Morto, amici, morto.
No, Gesù non è morto. È vivo.
Non “rianimato”,
non “vivo nel nostro pensiero”, no, veramente
risuscitato
e presente, che ci crediamo o no,
che ce ne accorgiamo o no.
Da questa consapevolezza nasce la
gioia cristiana.
La conversione alla
gioia.
La conversione al Risorto è
difficile, difficilissima.
Occorre allontanarsi dal proprio
dolore.
Condividere la gioia cristiana
significa superare il dolore che ci rende tristi.
Non c’è che un modo per superare
il dolore; non amarlo, non affezionarvisi.
La gioia cristiana è una
tristezza superata.
Ma, resistenze, dubbi, mancanza
di fede pesano sul nostro cuore.
Un’esperienza dolorosa
nell’infanzia, una serie di eventi che ci hanno
deluso, possono davvero impedirci
di entrare nella gioia cristiana, che
non è un’emozione, ma una scelta
consapevole.
Le donne, tornate dagli apostoli,
non sono credute, e le loro parole “parvero
ad essi come una
allucinazione”!
Siamo in buona compagnia, allora,
se anche gli apostoli hanno dovuto
convertirsi alla gioia!
Anche gli Apostoli hanno una fatica
immensa, per staccarsi definitivamente
dal loro dolore e dalla tragica
esperienza della croce e del loro fallimento!
E pensare che, per loro, Gesù si
farà vedere e li incoraggerà continuamente!
Se hanno tribolato loro, così
avvantaggiati!
Animo, cercatori di Dio, la più
difficile conversione (dopo quella dal Dio
che abbiamo nella testa al Dio di
Gesù) è proprio quella da una visione
crocifissa della fede a una
risorta!
Gli apostoli dubitano; solo
Pietro va a verificare; guarda, stupito,
e torna a casa meravigliato, ma
non convinto.
Il verbo usato nella lingua
originale, indica insieme stupore e domanda.
È già qualcosa, ma non è ancora
fede; non bastano, un sepolcro vuoto
e le bende per suscitare la fede.
Occorre un’esperienza personale
del Risorto.
E Pietro ne sa qualcosa!
La pietra che ci
impedisce di gioire. (leggete il brano di Matteo 28,1-8).
Il protagonista della scena di
Matteo, l’unico Evangelista che si mette a
descrivere (maldestramente)
l’indescrivibile con tanto di terremoto e l’angelo.
Adoro quest’angelo, è troppo
forte!
Come ve lo immaginate
quest’angelo amici?
Scende, ribalta la pietra che
chiude il sepolcro, si stende a prendere il sole
sulla pietra, esegue la sua
commissione, poi, con fare da prendere per il sedere,
dice: “io
ve l’ho detto”; come a dire: “Non venite a
lamentarvi con me, questo
dovevo dirvi e questo
vi ho detto, ora sono affari vostri!”.
Sperando di non far vacillare la
fede di nessuno, se vi dico che m’immagino
questo angelo diverso dalle
rappresentazioni della storia dell’arte.
Ma me lo vedo in jeans e
giubbotto di pelle, con un paio di occhiali da sole.
L’angelo con gli
occhiali da sole.
Questa trovata è uscita da una bambina,
che si stava preparando alla prima
comunione, una Domenica al Santuario
dell’Amore Misericordioso, erano
bambini di una parrocchia vicino a Roma
con il loro parroco, io dovevo
spiegargli il perché Gesù è sulla croce,
secondo Madre Speranza.
Poi andiamo a visitare il presepe, e
davanti alla Crocifissione, sepoltura e
Resurrezione di Gesù, chiedo che
qualcuno mi dia un’idea, di quello che
stavamo osservando.
Questa bimba mi spiega; vedo una grande
luce che emana Gesù dalla Croce,
non lo vedo disperato e moribondo, ma
vivo.
Ma una grande luce esce anche dal
sepolcro vuoto; è il segno che Gesù non
è più li dentro, perché la pietra era
stata ribaltata, altrimenti come faceva ad
uscire da solo Gesù, con tutte quelle
bende che gli avevano messo addosso.
E sulla pietra c’è un angelo, lo vedo
con i jeans e gli occhiali da sole.
Poi mi dice: “Quì
hanno sbagliato qualcosa, perché l’angelo per forza doveva
avere gli occhiali da sole”.
Sono rimasto perplesso; e lei fattasi
seria mi dice: “Comunque è vero,
gli occhiali da sole servivano.
Perché c’era un sacco di luce! Insomma,
un angelo scanzonato.
Non serve che vi dica che, l’ho presa in
braccio e l’ho stretta forte
con gli occhi lucidi.
Lo so, siamo abituati a vedere gli
angeli dei nostri grandi artisti, ma ci sono
anche gli angeli rapper, per capirci,
quelli che vanno in discoteca; (credo lo
sappiate che ognuno di noi ha il suo
angelo, compresi i nostri ragazzi, e allora
quando loro vanno in discoteca gli
angeli se ne stanno fuori al freddo?
No, entrano anche loro per seguirli da
vicino.
Osservate bene la scena.
Gli altri evangelisti ci raccontano che
la ragione dell’ansia delle donne è la
grossa pietra posta a sigillo del
sepolcro.
Come spostarla?
Una pietra grande, posta proprio per
evitare che Gesù uscisse.
Molti di noi abbiamo una pietra che
impedisce a Gesù di risuscitare, una pietra
che non riusciamo proprio a spostare, un
ostacolo insormontabile, una
considerazione che ci impedisce di
gioire, di convertirci alla gioia.
Qual è la tua pietra, qual è la vostra
pietra?
Quale il vostro dolore nascosto?
Forse un trauma subito da piccoli, forse
due genitori che non ti hanno amato
abbastanza, o troppo, forse lo scontro
con il tuo limite, una delusione
amorosa, un difetto insormontabile!
Insomma, quella cosa in cui passate il
tempo a dire: “Se fosse diverso, allora
sarei felice”, e che vi vela di
tristezza anche la gioia più autentica.
Guardatela bene la vostra pietra,
misuratene il peso, ammettete che rimuoverla
è al di sopra delle vostre forze.
Insomma, non facciamo come questo mondo
idiota in cui viviamo, che ci fa
credere che la pietra non esiste, o ce
la fa colorare o decorare coi fiocchi;
praticamente ce la nasconde, o ci vende
la soluzione del problema.
Non cercate, come viene istintivo, di
nascondervi agli altri, di mettervi davanti
qualche ficus benjamin per coprirvi.
No, amici, dobbiamo avere il coraggio di
chiamare per nome e cognome
l’origine della nostra insoddisfazione.
Nella fede occorre sempre partire dal
reale, dal concreto, anche quando è
difficile da accogliere e da accettare.
La pietra, dunque, è quella situazione
che ti sta sullo stomaco, quella fatica
che ti impedisce di gioire,
quell’ostacolo (reale), che reputi insormontabile.
Bene; l’angelo la ribalta e ci si stende
sopra a prendere il sole.
Non è fantastico? No, per niente! Scanzonato
di un angelo!
Arrivo lì, con faccia da venerdì santo
di circostanza, consapevole del mio limite,
triste da far paura; e lui si abbronza
disteso proprio sulla mia pietra.
E mi dice: “Scusa,
qual’era il problema che t’impediva di gioire?
Quella roba che ti bloccava e
ti faceva disperare?
Quella cosa che ti aveva per
sempre rovinato la vita?
Questa qui sotto? Sto sasso?
Ma dai!”.
Cos’è amici; che vi devo dire; anch’io
ho la mia pietra e sono sempre in perenne
conflitto con il mio angelo e, lui cosa
fa; se ne sta sempre seduto sulla mia pietra!
Ho visto fratelli e sorelle portarsi nel
cuore delle ferite insanabili, dei crateri;
ho visto fantasmi orribili girovagare
nel loro inconscio; ho visto fratelli e sorelle
incapaci di guarire e di gioire, persi
nel delirio dell’eroina o della violenza; e poi
li ho visti ribaltati, loro e le loro
pietre. E rinascere.
Non è facile; per rinascere bisogna
muoversi, salire al sepolcro delle proprie
paure e del proprio passato, senza
illusioni, sapendo che, comunque,
le cicatrici della paura resteranno
appiccicate all’anima.
Ma rinascere è possibile.
È possibile perchè la potenza della risurrezione
può davvero contagiare
e guarire una vita.
La tua, la mia, la vostra. Se
volete. Io ve l’ho detto!
Il messaggio dell’angelo è analogo agli
altri evangelisti: “Gesù è vivo,
piantatela di piangere, riferite
agli altri di darsi una sveglia”.
Poi la conclusione: “Io ve
l’ho detto”.
Probabilmente, Dio Padre ha mandato per
quest’annuncio uno degli angeli
più esperti del mestiere; perciò
l’angelo è così pessimista!
Frequentare gli umani provoca, negli
angeli, una reazione nervosa, suscitata dalla
risposta ottusa e dal dubbio di noi
uomini, atteggiamenti che fanno fatica a capire.
Solo per restare nell’ambito del
Vangelo, pensate al povero Zaccaria, papà di
Giovanni Battista, che a causa di un
leggerissimo ritardo nella risposta (andatevi
a leggere Luca 1,5-25), si è ritrovato
muto per nove mesi.
Quindi, se vi capitasse di incrociare un
angelo nella vita, imparate da
Maria (Luca
1,26-38), per non correre il rischio di fare brutte figure, e per
non suscitare una rispostaccia da parte
dell’angelo.
Dicevamo; l’angelo è abbastanza abituato
ad avere a che fare con noi umani,
conosce i nostri limiti, la mancanza di
fede, il dubbio e le lentezze nella risposta.
Perciò, dopo avere fatto la sua bella
commissione, l’angelo declina ogni
responsabilità riguardo all’atteggiamento
delle donne.
Questo spesso accade, nella
vita, a me per primo!
Dio ci indica la strada, condivide i
suoi sogni, ci mette a parte dei suoi progetti
e noi niente, nulla, encefalo piatto,
incredulità a mille!
Insomma; anche Dio fa quel
che può.
Avendo avuto la geniale e discutibile
idea di crearci liberi, Egli si trova il più
delle volte, di fronte ad una risposta
contorta e dubbiosa.
Che sia questo malfunzionamento della
comunicazione all’origine di tante
incomprensioni con Dio?
Se le donne fossero state zitte (poco
probabile) o i destinatari del messaggio,
emeriti maschilisti (come dice due volte
Luca), non avessero dato loro retta,
che cosa avrebbe potuto fare di più,
Dio?
Scoop giornalistico! (andate
a leggere il brano di Matteo 28,9-15).
Ovvio, scontato, dovuto.
Figuriamoci se non dovevano intorbidire
le acque già così torbide.
Gesù vivo? Ma siete scemi?
Andiamo, uomini del luminoso ventunesimo
secolo, che andate massicciamente
dai cartomanti e leggete l’oroscopo, ma
considerate pie leggende tutto ciò
che riguarda Dio!
Gesù non è risorto. Nooo?
Rianimato (il freddo della roccia pare),
rubato dagli apostoli (può essere; se li
beccano li ammazzano, sono tutti dei
conigli, li vedete combattere coi soldati
per riprendersi un cadavere?, io
sinceramente no, ripresosi e andato in giro in
India a fare il guru, visto l’aria che
tira in Palestina, vivo, sì, ma nei nostri
ricordi e nelle nostre nostalgie.
Insomma; se volete smontare il
cristianesimo, negate la risurrezione.
Potete farlo, lo fanno in molti, lo
hanno fatto un quarto d’ora dopo la risurrezione.
Matteo, che scrive questa pagina forse
trent’anni dopo gli eventi, dice che
quella diceria si era diffusa fino a
quei tempi.
Tenerissimo, Matteo!
La diceria si è diffusa fino ad oggi, e
lo resterà nei secoli!
Perché la risurrezione è questione di
fede, non è evidente, mettiamocelo in testa.
Se credete, credete alla testimonianza
degli apostoli, delle donne, di chi c’era
e ha trovato una tomba vuota, nulla di
più.
Gesù è davvero risorto, che ce ne
accorgiamo o no, che lo vogliamo o no,
che lo crediamo o no.
Il problema non è Lui. Siamo
noi, e la nostra poca fede.
È un percorso, certo, e invito tutti a
farlo.
Convertiti dall’evidenza?
D’altronde è l’evidenza che converte,
non la prova, non il miracolo.
Gesù ha sempre usato con parsimonia il
miracolo, conoscendone l’implicita
ambiguità, e quando lo ha usato era
sempre come sigillo di una Parola detta,
come una conferma autorevole di una
buona notizia o buona novella.
Ricordate la resurrezione di Lazzaro (Giovanni 11,1-44)?
Davanti all’evento strepitoso della
resurrezione di un uomo palesemente morto
e un pò decomposto, davanti al miracolo
dei miracoli, testimoniato da centinaia
di testimoni esterrefatti, alcuni si
pigliano la briga di farsi quattro chilometri di
strada da Betania a Gerusalemme, per
andare a denunciare Gesù.
No, non è vero che necessitiamo di
prove, di evidenza.
La vita è solo in parte evidenza.
La vita è mistero.
Mistero l’amore, il dolore, la noia, la
rabbia, mistero la gioia, l’amicizia, lo stupore.
Esiste sempre una dimensione che ci
sfugge, pur possedendola.
Come se ci trovassimo a nuotare in un
oceano; vi siamo immersi, ne siamo
attorniati, eppure ci sfugge nella sua
immensità, nella sua pienezza!
È la fede, la porta di questa
dimensione.
Perciò, a parte il tentativo maldestro
di Matteo, i discepoli si guardano bene
dal descrivere l’evento della risurrezione.
C’è il dopo, fatto di segni, che
coinvolgono l’intelligenza, che interrogano,
che suscitano la fede, ma che non sono
evidenti.
Non è di prove che abbiamo bisogno, ma
di fede, e di testimoni credibili,
che vivono quel Risorto, che-dicono-ha
loro incendiato il cuore.
Siamo sinceri; il nostro approccio alla
fede è nell’ordine dell’emotività,
se va bene, e il più delle volte del
pregiudizio.
Occorre ribadirlo; la fede cristiana non
è frutto della ragione, è e resta
esperienza misteriosa e personale.
Ma, è ragionevole.
Abituati alle soluzioni spicce, a
prendere il riassunto dell’editorialista di turno,
non abbiamo più il coraggio della
ricerca, la fatica dello scrutare, non abbiamo
più tempo per riflettere, indagare,
leggere e ascoltare.
Dobbiamo produrre e consumare.
E così perdiamo la tenerezza di Dio.
Dio è accessibile, evidente, incontrabile.
Ma non è banale, non scontato, non
infantile.
Incontrare Dio richiede intelligenza,
fatica, disponibilità, ragionevolezza.
Ci vuole un cuore trasparente per
poterlo vedere, un desiderio limpido per
poterne assaporare l’immensità.
Animo amici! Coraggio,
cercatori di Dio.
Oggi essere discepolo richiede la fatica
della ricerca, l’ardire della conoscenza.
Non accontentiamoci del “sentito dire”, non andiamo dietro alla massa
beota dei pregiudizi, informiamoci,
chiediamo e leggiamo, dedichiamo tempo
ad approfondire l’aspetto storico e
ragionevole della nostra fede; studiamoli
questi Vangeli, non con la curiosità del
turista, ma con la passione dell’esploratore.
Il nostro mondo ha bisogno di cristiani
motivati, preparati, uomini di fede e di
cultura che vadano al sepolcro di
persona, senza dar retta ai soldati di ventura,
o ai profeti di sventura.
Certo amici, bisogna andare
al sepolcro e sbattere la testa su quella pietra per
capire, come ho fatto io, poi
mi sono anche incavolato, perché, il mio angelo
si è messo a sfottermi e,
solo dopo tanto tempo ho capito che aveva ragione,
per questo sono qui oggi a
scrivervi queste cose.
Scusate però, se infastidisco
il vostro dolore, ma è l’unico modo pratico per
convertirsi alla gioia, anche
in questi tempi di paura, di dolore e di dubbi,
convertiamoci alla gioia,
perché tutto finirà e se avremo capito il segnale che
il Signore ci ha dato in
questo tempo, ritorneremo a vivere serenamente, ad
abbracciarci e ad amarci più
di prima, Santa Pasqua nel Signore Risorto Fausto.