Della 13° Domenica del Tempo Ordinario.
San Cirillo
d'Alessandria, vescovo e dottore della Chiesa.
Prima lettura.
Per l'invidia del
diavolo la morte è entrata nel mondo.
Dal libro della
Sapienza (1,13-15;2,23-24)
Dio non ha creato la
morte e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato
tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono
portatrici di
salvezza, in esse non c'è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è
immortale.
Sì, Dio ha creato
l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l'invidia del
diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza
coloro che le
appartengono.
Parola di Dio.
Seconda lettura.
La vostra
abbondanza supplisca all'indigenza dei fratelli poveri.
Dalla seconda lettera
di san Paolo apostolo ai Corìnzi (8,7.9.13-15)
Fratelli, come siete
ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni
zelo e nella carità
che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest'opera generosa.
Conoscete infatti la
grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto
povero per voi, perché
voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si tratta di
mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza.
Per il momento la
vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro
abbondanza supplisca
alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: "Colui
che raccolse molto non
abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno".
Parola di Dio.
Vangelo.
Fanciulla, io ti
dico: Àlzati!
Dal Vangelo secondo
Marco (5,21-43) anno B.
In quel tempo, essendo
Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò
attorno molta folla ed
egli stava lungo il mare.
E venne uno dei capi
della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si
gettò ai piedi e lo
supplicò con insistenza: "La mia figlioletta sta morendo: vieni a
imporle le mani,
perché sia salvata e viva".
Andò con lui.
Molta folla lo seguiva
e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che
aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto
per opera di molti
medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi
piuttosto peggiorando,
udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò
il suo mantello.
Diceva infatti:
"Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata".
E subito le si fermò
il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù,
essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla
folla dicendo:
"Chi ha toccato le mie vesti?".
I suoi discepoli gli
dissero: "Tu vedi la folla che si stringe intorno a te
e dici: "Chi mi
ha toccato?"".
Egli guardava attorno,
per vedere colei che aveva fatto questo.
E la donna, impaurita
e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò
davanti e gli disse
tutta la verità.
Ed egli le disse:
"Figlia, la tua fede ti ha salvata.
Va' in pace e sii
guarita dal tuo male".
Stava ancora parlando,
quando dalla casa del capo della sinagoga vennero
a dire: "Tua
figlia è morta.
Perché disturbi ancora
il Maestro?".
Ma Gesù, udito quanto
dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere,
soltanto abbi
fede!".
E non permise a
nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni,
fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del
capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente
che piangeva e urlava
forte.
Entrato, disse loro:
"Perché vi agitate e piangete?
La bambina non è
morta, ma dorme".
E lo deridevano.
Ma egli, cacciati
tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli
che erano con lui ed
entrò dove era la bambina.
Prese la mano della
bambina e le disse: "Talità kum", che significa: "Fanciulla,
io ti dico:
àlzati!".
E subito la fanciulla
si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni.
Essi furono presi da
grande stupore.
E raccomandò loro con
insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di
darle da mangiare.
Parola del Signore.
Meditazione personale
sul Vangelo di oggi.
La figlia di Giairo ha dodici
anni.
Da dodici anni l’emorroissa
soffre di perdite di sangue.
Dodici è il numero che richiama
Israele, la sposa, le dodici tribù che la compongono.
Marco ci dice che Israele si è
spenta, esangue, senza vita, abbandonata dai suoi
pastori che pascono se stessi, e
che Dio, in Cristo, le ridona vita.
Dodici è il numero della
totalità, come i mesi dell’anno.
Marco oggi ci parla di due
situazioni in cui descrive il massimo del dolore, la totalità della
disperazione, l’apoteosi della tragedia, quando la barca viene travolta dalla
tempesta.
La donna emorroissa non solo è
ammalata e ha girato senza risultato da tutti i più
famosi medici del paese senza
risultato; la sua condizione la rende impura, non
può toccare nessuno senza
renderlo impuro.
Non ha vita affettiva, né
rapporti sessuali, forse non ha famiglia né amicizie;
la sua condizione la rende sola.
Giairo è disperato; esiste un
dolore più devastante della morte di un figlio?
La donna si avvicina timidamente,
non vuol farsi notare.
Non osa chiedere nulla al
Maestro, come potrebbe?
Tanti anni di solitudine l’hanno
infine convinta di essere sbagliata, di essere
peccatrice, impura.
Le è proibito di toccare;
trasmetterebbe la sua impurità.
Decide di osare, di trasgredire
la legge; lo tocca.
Per incontrare Dio, a volte,
bisogna superare gli schemi religiosi, bisogna
trasgredire le regole.
Lo sfiora appena, accarezza il
mantello, certamente non se ne accorgerà.
Chi mi ha toccato?
La donna sbianca, gli apostoli si
fermano nel tentativo di tenere a distanza la folla.
Non vedi Rabbì? Tutti ti toccano!
Ha ragione Gesù; in mille gli si
sono fatti vicini, ma una sola lo ha toccato.
Ha toccato il cuore di questo
Cristo di Dio, gli ha rubato la forza ed è guarita.
La malattia non è forse lo
squilibrio della nostra armonia interiore?
Il Signore si lascia derubare, la
sua forza dona guarigione e salvezza a questa
donna che si ritiene inadatta,
incapace, condannata.
Gesù ci guarisce nel profondo, ci
salva da ogni disarmonia.
Continua il suo cammino Gesù, gli
apostoli lo guardano straniti.
Gesù guarda la donna con un lungo
sguardo, come lo sguardo di Gesù che
sceglie i discepoli.
Gli altri, la folla, gli apostoli
stessi non sanno.
Lui, il Rabbì, e la donna sì,
sanno bene cosa è successo.
La spinge ad uscire dal suo
nascondimento, la mostra agli altri.
La sua guarigione è pubblica, la
sua purificazione compiuta, nessuno ora deve
tenerla lontana.
Come Israele, guarita nel
profondo. Come noi.
Il discepolo è guarito dalla
dissipazione interiore, in questo mondo che divora
ogni energia, che ruba il tempo e
il senso della vita, che ci spinge alla solitudine
in mezzo alla folla.
La gente esce fuori dalla casa di
Giairo urlando; la ragazza è morta.
Gesù insiste, entra, dice che
dorme. E viene deriso.
Come? Viene deriso?
Che gente è che prima urla e un
secondo dopo deride?
Che dolore finto è il loro se si
prendono la briga di denigrare l’affermazione del Nazareno?
Che cattivo gusto hanno queste
persone che passano dalla disperazione alla burla?
Ipocriti, finti, fasulli.
Dolore di facciata, malvagità a
malapena repressa, bieca esteriorità.
Gesù invece sa.
Lui che piangerà davanti
all’amico Lazzaro conosce, partecipa, si lascia coinvolgere.
Darà la vita per Lazzaro, per
noi, per me.
Il nostro Dio non è indifferente,
non finge di soffrire.
Qualche giorno fa Gesù diceva
agli apostoli impauriti; non avete ancora fede?
E, oggi, all’emorroissa Gesù dice;
va, la tua fede ti ha salvato e a Giairo; abbi fede.
Questa è la differenza
sostanziale tra gli apostoli che pure toccano Gesù senza
risultati e la donna ammalata,
questo il solco che si crea tra Giairo e i suoi parenti che
addirittura deridono il buonumore
a parer loro farneticante di Gesù; la fede.
La fede placa le tempeste
interiori, la fede ci guarisce dalle ferite interiori,
la fede ci risuscita.
Questa è la riflessione di Marco.
E la nostra, spero.
L’atteggiamento del cristiano di
fronte alla morte è la fede.
La morte è e resta il più
inquietane interrogativo del destino dell’uomo e, anche
sulla possibilità della reale
bontà di Dio.
Se Dio è buono, perché la morte?
Gesù è venuto a darci una buona
notizia anche sulla morte.
Come ci svela la splendida pagina
della Sapienza, il nostro è un Dio amante della vita.
Noi crediamo di essere stati
creati immortali, e di essere nelle mani di Dio.
Questa vita che viviamo, la
viviamo proiettata nel futuro come una pienezza.
Il dolore del distacco, della
morte, ci viene presentato da San Paolo come le necessarie
doglie di un parto che danno alla
luce una nuova creatura.
Questo Dio tenerissimo che
solleva la figlia di Giairo è colui che ha per noi un destino
di vita e di Risurrezione.
Basta? Non lo so, davvero.
Ai tanti Giairo cui muore la
figlia non so se basta.
Elemosiniamo certezza e salvezza,
la fede è solo una flebile fiamma per
attraversare il mare in tempesta.
Mi fido, amici, mi fido con tutta
la mia disperazione, e ai fratelli che leggono
queste parole addito il Figlio di
Dio che ci solleva dalla tenebra.
Infine consideriamo le tante
morti interiori da cui dobbiamo risorgere; la fanciulla,
segno di autenticità, di purezza,
spesso giace immobile nella nostra vita; troppe
le delusioni, le stanchezze, per
essere ancora ottimisti.
Da quale morte interiore dobbiamo
risorgere?
Solo, abbiamo fede, questo il
Signore Gesù ci chiede per una nuova vita in Lui.
Il Rabbì oggi ci dice; Talità
kum!
Si amici; alziamoci come quella
fanciulla, anche se la nostra anima è morta,
il Signore Gesù, la prenderà fra
le sue mani e la farà rivivere.
Santa Domenica della vera fede
nel Signore, Fausto.