Della 25° Domenica del Tempo Ordinario.
Sant'Andrea Kim Taegon e Compagni, Martiri.
Prima lettura dal libro
del profeta Isaìa (55,6-9)
Cercate il Signore,
mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino.
L'empio abbandoni la
sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore
che avrà misericordia
di lui e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri
non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie.
Oracolo del Signore.
Quanto il cielo
sovrasta la terra, tanto le mie vie ovrastano le vostre vie, i miei
pensieri sovrastano i
vostri pensieri.
Parola di Dio.
Seconda lettura lettera
di san Paolo apostolo ai Filippési (1,20-27)
Fratelli, Cristo sarà
glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
Per me infatti il
vivere è Cristo e il morire un guadagno.
Ma se il vivere nel
corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere.
Sono stretto infatti
fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere
con Cristo, il che
sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo.
Comportatevi dunque in
modo degno del vangelo di Cristo.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo
Matteo (20,1-16) anno A.
In quel tempo, Gesù
disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli
è simile a un padrone
di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori
per la sua vigna.
Si accordò con loro
per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.
Uscito poi verso le
nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati,
e disse loro:
"Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò".
Ed essi andarono.
Uscì di nuovo verso
mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le
cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: "Perché
ve ne state qui tutto
il giorno senza far niente?".
Gli risposero:
"Perché nessuno ci ha presi a giornata".
Ed egli disse loro:
"Andate anche voi nella vigna".
Quando fu sera, il
padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori
e dai loro la paga,
incominciando dagli ultimi fino ai primi".
Venuti quelli delle
cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.
Quando arrivarono i
primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più.
Ma anch'essi
ricevettero ciascuno un denaro.
Nel ritirarlo, però,
mormoravano contro il padrone dicendo: "Questi ultimi hanno
lavorato un'ora
soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso
della giornata e il
caldo".
Ma il padrone,
rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, io non ti faccio torto.
Non hai forse
concordato con me per un denaro?
Prendi il tuo e
vattene.
Ma io voglio dare
anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie
cose quello che
voglio?
Oppure tu sei
invidioso perché io sono buono?".
Così gli ultimi
saranno primi e i primi, ultimi».
Parola del Signore.
Meditazione personale
sul Vangelo di oggi.
Brutta
storia, quella del perdono.
Una
riflessione acida, tesa, che ci scardina dentro.
È impegnativo, il perdono, serio, esige conversione radicale.
Eppure
sul perdono si gioca gran parte della credibilità del cristianesimo.
Il
perdono che scardina la violenza, che diventa profezia di un mondo nuovo,
che
ridisegna il volto dell’uomo, rendendolo finalmente a immagine di Dio,
restituendolo
al suo volto autentico.
La comunità cristiana, col suo modo di intessere relazioni, con la sua capacità
di
discutere (e litigare!) in maniera “altra”, con la sua capacità di prendersi a
cuore
il destino del fratello diventa anticipo del mondo nuovo. In teoria.
Dopo l’attentato alle torri gemelli il mondo continua a vivere
nell’inquietudine
e
nella violenza, incapace di convertirsi all’ovvio; solo nel perdono e
nell’accettazione
della diversità possiamo viver e una vita proficua per tutti.
In noi, in ognuno!, c’è un piccolo despota che vorrebbe tanto fare il dittatore
degli altri.
Reduci da due settimane di Parola di Dio urticante riprendiamo la scuola e,
con
essa, le attività parrocchiali.
Nella
logica del padrone della vigna, quello della parabola di oggi.
Nella logica della gratuità totale, che spiazza la logica meritocratica
È
incomprensibile l’atteggiamento del padrone della vigna.
Certo;
è molto affaccendato, la vigna è grande e ha bisogno di molti operai
per
riuscire a portare a termine la vendemmia.
Va
in strada presto, al mattino, per assumere i primi operai.
Quando
si accorge che non bastano torna ancora per cercare altri operai.
Stabilisce
con loro “quanto è giusto” come ricompensa.
Quando esce alle cinque del pomeriggio, un’ora prima della fine del lavoro,
vede
ancora alcuni bighellonare e li invita a lavorare.
Questo il problema vero: quanto è giusto?
Quando gli operai della prima ora vedono che gli operai sfaccendati prendono
la
stessa cifra, giustamente, insorgono.
Loro hanno faticato tutta la giornata, questi ultimi solo un’ora, ricevono lo
stesso
salario, che ingiustizia! In teoria.
La chiave della parabola sta nel loro modo di pensare.
Quando vedono dare agli operai dell’ultima ora un denaro pensano di ricevere di
più.
Quando ricevono il denaro pattuito non chiedono di più, esigono per gli altri
di meno.
Vigliacchi e paurosi.
Non
dicono quello che legittimamente desiderano, chiedono al padrone di dare
agli
altri di meno.
Meno di un denaro.
Un
denaro è il guadagno minimo giornaliero per poter dar da mangiare ad una
famiglia
ai tempi di Gesù.
Invece di esercitare un legittimo diritto (dacci di più, abbiamo lavorato tutto
il
giorno!), se la prendono con i deboli; chiedono di dar loro di meno.
Meno
di ciò che è indispensabile per vivere.
Forti con i deboli, deboli con il forte. Terribile.
Non pensiamo anche noi così?
Il
padrone è buono, non vuole fare l’elemosina a questi sfaccendati, non vuole
umiliarli,
vuol
dar loro un po di dignità, la possibilità di riscattarsi, di osare, di
rinascere.
Lo
fa con garbo, con gentilezza, con misericordia.
È buono il padrone, non sciocco; del suo denaro può fare quello che vuole.
Come salvare un peccatore gratuitamente.
Gesù se la prende con la logica del merito; Dio mi ama e mi premia perché
mi
comporto bene.
Così
pensavano i devoti del suo tempo. E del nostro.
Gesù dà una spallata alla logica umana che vede la giustizia come unico modo
di
relazionarsi fra le persone e con Dio.
È
importante la giustizia ma rischia di sfociare nell’arida contabilità dei
meriti.
Più del merito c’è la grazia, il dono, questo osa dire Gesù.
È una grossa soddisfazione quella di prendersi una laurea dopo anni di studio.
Ma
è una sorpresa indicibile il dono inaspettato dell’amato!
Così è Dio; ci sorprende con la sua grazia che supera la giustizia.
Ricordiamocelo, quando pesiamo la nostra fede sulla bilancia delle buone opere.
Quello che Gesù ha superato, troppo spesso noi cattolici lo recuperiamo
pensando
di fargli un piacere!
Gli
operai della prima non hanno colto con chi hanno a che fare.
Hanno ridotto la loro fede a fatica e sudore.
Peggio;
guardano con sospetto gli altri, quasi concorrenti dei loro privilegi.
Non è così per chi ha colto la luce del Vangelo.
Stupiti,
abbagliati dalla bontà del padrone, gioiamo per la grazia di poter
lavorare
nella vigna, gioiamo per la possibilità che altri fratelli che anche
all’ultimo
possano accogliere la grazia che ci ha trasformati.
La bontà di Dio contagi la nostra vita, in modo da rendere la nostra giornata
lavorativa,
sin d’ora, immagine di quella gioia che il Signore riverserà nei
nostri
cuori forgiati dalla fatica dell’amore.
Il
nostro Dio, mite e umile di cuore, che vivrà questa pagina dall’albero della
croce
accogliendo il buon ladrone, ci faccia uscire dalle ristrettezze di una
fede
“sindacale” per percepire, almeno un poco, quale braciere d’amore e di
bontà
è il suo cuore; impariamo dal Signore, che è mite e umile di cuore.
Quando
la smetteremo di usare la calcolatrice nel relazionarci fra di noi e con
Dio,
capiremo cosa significa diventare discepoli.
Il Regno è gratis, non fatevi fregare.
Certo amici, non dobbiamo spendere nulla per entrare
nel Regno è “gratis” serve
solo essere coerenti e
misericordiosi, niente di più, buona Domenica Fausto.