sabato 19 novembre 2022

Il Vangelo di Domenica 20 Novembre 2022

 

Della 34° settimana del Tempo Ordinario.

Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo.

Prima Lettura

Unsero Davide re d’Israele.

Dal secondo libro di Samuèle (5,1-3)

In quei giorni. vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli

dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne.

Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele.

Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”».

Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse

con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.

Parola di Dio.

Seconda Lettura

Ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési (1,12-20)

Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla

sorte dei santi nella luce.

È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del

Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono

dei peccati.

Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché

in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle

invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.

Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.

Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.

Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.

Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui

ad avere il primato su tutte le cose.

È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di

lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il

sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che

stanno nei cieli.

Parola di Dio.

Vangelo

Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno.

Dal Vangelo secondo Luca (23,35-43) anno C.

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere;

i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri!

Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».

Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto

e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso».

Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo?

Salva te stesso e noi!».

L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che

sei condannato alla stessa pena?

Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre

azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».

E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».

Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Parola del Signore.

Meditazione personale sul Vangelo di oggi.

Sorrido ogni volta. Ogni anno. 
E mi piace sempre di più questo cristianesimo zoppicante ma felice,

pacioccone ma fedele.
Un popolo errante, spesso incoerente, spesso entusiasta, che da più di duemila

anni annuncia e attende.

E ogni anno, alla fine del tempo liturgico, prima di iniziare il percorso di

Avvento, celebra questa non-festa, la Solennità di Gesù Cristo re dell’Universo,

come pomposamente recita il Messale.
Era l’ora, finalmente, ci mancava.

Le istituzioni degli uomini vacillano, le ansie di cui Domenica scorsa stringono

il cuore di tutti, credenti o meno, non ci dispiacerebbe un bel finale della storia

con l’arrivo dei nostri, come nei film western degli anni Sessanta.
Cristo re. Ma dove?
Capiamoci bene allora, nessuna nostalgia monarchica, non scherziamo.

Ma una riflessione finale sulla fine, sul fine.

Stiamo per leggere un brano da vertigini con cui Luca si congeda.

Le ragioni per scoraggiarsi non mancano, e la fragile storia fatta di soprusi

e di violenza, continua a dettare legge.

Non è cambiato molto in questi duemila anni di cristianesimo, il Regno sembra

essere un bel progetto rimasto sulla carta, un afflato spirituale di qualche sognatore. 
Proclamare che Cristo è Re significa dire che Lui avrà l’ultima parola sulla

storia, su ogni storia, sulla mia storia personale.

Dire che Cristo è Re, significa non arrendersi all’evidenza della sconfitta di Dio

e dell’uomo, credere che il mondo non sta precipitando nel caos, ma nell’abbraccio

tenerissimo e gravido del Padre.

Dire che Cristo è Re, significa creare spazi di rappresentanza del Regno là dove

stiamo vivendo la nostra vocazione alla vita, piccoli spazi pubblicitari per dire

agli smarriti di cuore; ecco, Dio vi ama.
Oggi è la festa in cui le comunità guardano avanti, al di là e al di dentro dei

nostri limiti e dei nostri sforzi perché, sempre, il metro di giudizio del nostro

essere Chiesa è la realizzazione del Regno.

Peggio; la regalità di Gesù è una regalità che contraddice la nostra visione di Dio.
Perché questo Dio è più sconfitto di tutti gli sconfitti, fragile più di ogni fragilità.

Un Re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita

di un cartello per essere identificato. 
Ecco; questo è il nostro Dio, un Dio sconfitto. 
Non un Dio trionfante, non un Dio onnipotente, ma un Dio osteso, mostrato,

sfigurato, piagato, arreso, sconfitto. 
Una sconfitta che, per Lui, è un evidente gesto d’amore, un impressionante dono di sé.
Un Dio sconfitto per amore, un Dio che-inaspettatamente-manifesta la sua

grandezza nell’amore e nel perdono.

Dio-Lui sì-si mette in gioco, si scopre, si svela, si consegna. 
Dio non è nascosto, misterioso; è evidente, provocatoriamente evidente;

appeso ad una croce, apparentemente sconfitto, gioca il tutto per tutto per

piegare la durezza dell’uomo. 
Gesù è venuto a dire Dio, a raccontarlo.

Lui, figlio del Padre ci dona e ci dice veramente chi è Dio.

E l’uomo replica. “No, grazie”.

Forse preferiamo un Dio un pò severo e scostante, sommo egoista bastante

a se stesso, potente da convincere e da tenere buono. 
Forse l’idea pagana di dio che ci facciamo ci soddisfa maggiormente perché

ci assomiglia di più, non ci costringe a conversione, ci chiede superstizione;

non piega i nostri affetti, solo li solletica.

La chiave di lettura del Vangelo di oggi è tutta in quell’inquietante affermazione

della folla a Gesù: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”.

Frase che Luca fa dire anche ai sacerdoti e ai soldati pagani; tutti concordano

nel ritenere un segno di debolezza il dover dipendere dagli altri.
Il potente, così come ce lo immaginiamo, è colui che salva se stesso, può

permettersi di pensare solo a sé, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza

avere bisogno degli altri. 
Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere, il più potente dei potenti,

che può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno, beato Lui!

Per dimostrare di essere veramente Dio, Gesù deve mostrarsi egoista perché,

nel nostro mondo piccino, Dio è il Sommo egoista bastante a se stesso, beato

nella sua perfetta solitudine.

Dio diventa la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri, è ciò

che ammiriamo nell’uomo politico riuscito, ricco e sicuro, allora cerchiamo

di sedurlo, di blandirlo, di corromperlo. 
No, il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me. 
Dio si auto-realizza donandosi, relazionandosi, aprendosi a me e a tutti noi.

I due ladroni sono la sintesi del diventare discepoli.

Il primo sfida Dio, lo mette alla prova; se esisti fa che accada questo, liberami

da questa sofferenza, salva te stesso (di nuovo!) e noi, e me.

Concepisce Dio come un re di cui essere suddito. 
Ma a certe condizioni, ottenendo in cambio ciò che desidera; una

redenzione in extremis.

Non ammette le sue responsabilità, non è adulto nel rileggere la sua vita,

tenta il colpo.

Non è amorevole la sua richiesta; trasuda piccineria ed egoismo.

Come-spesso-la nostra fede.

Cosa ci guadagno se credo?
L’altro ladro, invece, è solo stupito.

Non sa capacitarsi di ciò che accade; Dio è lì che condivide con lui la sofferenza.

Una sofferenza conseguenza delle sue scelte, la sua.

Innocente e pura quella di Dio.

Ecco l’icona del discepolo; colui che si accorge che il vero volto di Dio è la

compassione e che il vero volto dell’uomo è la tenerezza e il perdono.

Nella sofferenza possiamo cadere nella disperazione o ai piedi della croce

e confessare; davvero quest’uomo è il Figlio di Dio.

Per i cardiopatici; conclusione da non leggere.
Che Re, sbilenco, amici.

Un Re che indica un altro modo di vivere, che contraddice il nostro “salvare

noi stessi” per salvare gli altri o-meglio-per lasciarci salvare da Lui.
Siamo onesti, amici; lo vogliamo davvero un Dio così?

Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli?

È questo, davvero, il Dio che vorremmo?

Di quale Dio vogliamo essere discepoli?

Di quale Re vogliamo essere sudditi?
Non date risposte affrettate, per favore, altrimenti ci tocca convertirci.

Certo, amici, la conversione è una cosa seria, ed io l’ho avuta proprio

contemplando una Croce, quella dell’Amore Misericordioso e proprio lì mi

sono detto: “Questo è proprio il Dio che voglio; il Dio di Gesù,

santa Domenica del nostro Re dell’Universo, Fausto.