sabato 10 settembre 2022

Il Vangelo di Domenica 11 Settembre 2022

 

Della 24° Domenica del Tempo Ordinario.

Santi Proto e Giacinto, martiri di Roma.

Prima Lettura

Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

Dal libro dell'Esòdo (32,7-11.13-14)

In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo,

che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito.

Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato!

Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli

hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti

ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”».

Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un

popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di

loro e li divori.

Di te invece farò una grande nazione».

Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si

accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra

d’Egitto con grande forza e con mano potente?

Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato

per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le

stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi

discendenti e la possederanno per sempre”».

Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

Parola di Dio.

Seconda Lettura

Cristo è venuto per salvare i peccatori.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (1,12-17)

Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro,

perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima

ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.

Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla

fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede

e alla carità che è in Cristo Gesù.

Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto

nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io.

Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto

in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di

esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.

Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei

secoli dei secoli. Amen.

Parola di Dio.

Vangelo

Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte.

Dal Vangelo secondo Luca (15,1-32) anno C.

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo.

I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori

e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde

una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta,

finché non la trova?

Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama

gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia

pecora, quella che si era perduta”.

Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte,

più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la

lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova?

E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con

me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.

Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore

che si converte».

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli.

Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio

che mi spetta”.

Ed egli divise tra loro le sue sostanze.

Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un

paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.

Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed

egli cominciò a trovarsi nel bisogno.

Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione,

che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci.

Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno

gli dava nulla.

Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in

abbondanza e io qui muoio di fame!

Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo

e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.

Trattami come uno dei tuoi salariati”.

Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse

incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono

più degno di essere chiamato tuo figlio”.

Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo

indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi.

Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché

questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi.

Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno

dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo.

Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello

grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”.

Egli si indignò, e non voleva entrare.

Suo padre allora uscì a supplicarlo.

Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai

disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far

festa con i miei amici.

Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze

con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”.

Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;

ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto

ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Parola del Signore.

Meditazione personale sul Vangelo di oggi.

Facciamoci bene i conti in tasca, amici, Gesù pretende di essere più grande

della più grande e intensa gioia che umanamente siamo in grado di provare.

Così, al discepolo che, ascoltando l’immensa sete di infinto che pulsa nel cuore,

e la nostalgia pungente del Tutto, Gesù propone un cammino verso una scoperta

inattesa; il vero volto di Dio.

Tutti abbiamo un’idea di Dio, per credergli o per rifiutarlo.

Tutti abbiamo una spontanea, inconscia, sorgiva idea di Dio, una specie

di religiosità connaturale nel nostro cuore.

Un’idea di Dio in cui credere. O non credere.

Mediamente, però, l’idea di Dio che abbiamo è approssimativa, e neppure

troppo simpatica.

Dio esiste, certo, per carità, è anche potente, ma incomprensibile nelle sue

discutibili scelte.

Andiamo, siamo onesti; non abbiamo mai pensato di fronte all’idiozia degli

uomini, che noi avremmo fatto meglio nel governare il mondo?

Che Dio dovrebbe almeno fermare le guerre?

Proteggere i deboli?

Che quella madre di famiglia divorata dal cancro è una clamorosa stupidaggine divina?

Che, insomma, se Dio c’è perlomeno è pigro o incomprensibile?

Quanta strada l’uomo ha fatto per convertire il proprio cuore!

La storia di Israele è la scoperta del vero volto di Dio, della misericordia,

il cuore stesso di Dio.

Nella splendida pagina dell’Esodo che abbiamo letto, Dio si accorge di essere

stato troppo fiducioso nei confronti di questo popolo di schiavi, e decide di

rinunciare e di ricominciare.

Mosè lo sfida e rifiuta di seguirlo; tra Dio e il popolo Mosè sceglie il popolo!

E Dio si stupisce a cambia idea.

Già il primo testamento intuisce ed elabora l’inaudito; Dio si confronta con

gli uomini, cambia idea, impara qualcosa dall’esperienza.

(Lo so, sono concetti teologicamente inesatti e fragili, ma che provengono

direttamente dalla Bibbia e rivelano la potenza del Dio di Israele.)

Ma, alla fine del percorso di Israele, nonostante tutto, l’uomo-ahimè-ancora

non capisce.

E Dio decide di venire a spiegarsi. Definitivamente.

Dio è misericordia dice Luca; Dio è misericordia anticipa il suo maestro Paolo

nella seconda lettura.

La misericordia esprime l’onnipotenza di Dio, l’amore infinito, tenero ed

adulto, carezzevole ed esigente.

Manifesta pienamente il volto di Dio.

Ma allora perché continuiamo a pensare a Dio come a un vigile, un giudice,

un severo preside?

Perché ci ostiniamo a tenerlo ben lontano dalle nostre vite relegandolo nelle

chiese e nei ritagli di tempo che dedichiamo alla religione?

La nostra triste fede pensa alla vita in Cristo come ad un pegno da pagare

all’onnipotenza di Dio, non come ad un incontro di pienezza e di festa!

Occorre convertirci alla tenerezza di Dio, occorre osare e pensare ciò che

Lui è venuto a testimoniarci.

Le parabole ascoltate gettano una spallata definitiva alla nostra mediocre

visione di Dio per spalancare la nostra fede alla dimensione del cuore di Dio.

Parabole dette per convertire i giusti, coloro che pensavano, come insegnavano

i rabbini, che Dio gioisce per la salvezza del giusto e la perdizione del peccatore.

Gesù, invece, ribalta completamene la prospettiva; Dio gioisce per la

conversione del peccatore e del giusto!

Convertirsi significa passare dalla nostra prospettiva a quella inaudita

di Dio e questo significa fare come Lui.

Noi diciamo: “Ti amo perché sei amabile, te lo meriti, perché sei buono”.

Dio dice: “Ti amo con ostinazione e senza scoraggiarmi perché so che il

mio amore ti renderà buono”.

C'è una bella differenza!

In fondo in fondo costruiamo una vita di fede orientata intorno ai nostri meriti.

Nessuno si merita l’amore di Dio.

Il suo amore è assolutamente gratuito, libero, pieno.

Dio non ci ama perché siamo buoni, ma amandoci senza misura ci rende buoni,

aprendoci alla speranza.

La cura meticolosa con cui il pastore insegue la pecora lontana è il segno di

questo amore di Dio per chi sperimenta di essersi “perso”.

Noi, invece, passiamo il tempo a pettinare le pecore rimaste nell’ovile.

Felice colpa!

L'esperienza del peccato, che è questo “perdersi”, diventa occasione per un

incontro più duraturo e autentico con questo Dio che ci perseguita con il suo amore.

Ben lontano dall’avere una visione poetica o approssimativa del peccato, Luca

sa che l’esperienza di sofferenza interiore che è il peccato, questo smarrimento,

questa lontananza da Dio e da noi stessi, può diventare un incontro che salva,

che ci aiuta a ripartire con maggiore autenticità e coraggio.

La nostra fede non si fonda sulle nostre capacità, sulle nostre devozioni, sui

nostri sforzi, ma sull’ostinazione di Dio che ci cerca.

Prendere coscienza di questo significa aprirsi alla festa, partecipare, come la donna

che ritrova la moneta perduta, alla festa che Dio fa per chi si lascia incontrare.

I giusti, quelli che si sentono a posto, col notes dei meriti completo, non potranno

mai, purtroppo, sperimentare la gioia di essere caricati sulle spalle del Pastore.

Come il figlio maggiore della parabola del Figliol Prodigo “non entrano” in questa

prospettiva, in questa mentalità.

Chiusi nelle loro poche certezze, non possono allargare il cuore nella gioia del Padre.

Quando, finalmente, le nostre comunità capiranno il Vangelo della misericordia

e, con semplicità, lo faranno diventare metro di giudizio del loro agire, la Chiesa

tornerà a diventare faro che illumina il cammino degli uomini.

Che il Dio della misericordia ci aiuti!

Anzi, sarebbe meglio dire: “Facciamoci incontrare dalla misericordia di Dio”,

Santa Domenica Fausto.