sabato 2 febbraio 2019

Il Vangelo di Domenica 3 Febbraio 2019


Della 4° Domenica del Tempo Ordinario.
1° Lettura dal libro del profeta Geremìa (1,4-5.17-19)
2° Lettura dalla prima lettera di san Paolo apostolo Corìnzi (13,4-13)
Dal Vangelo secondo Luca (4,21-30) anno C.
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta
questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia
che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».
Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico,
cura te stesso.
Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».
Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa,
quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in
tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova
a Sarèpta di Sidòne.
C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno
di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.
Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio
del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Parola del Signore.
Riflessione personale sul Vangelo di oggi.
Gesù inizia il ministero a casa sua, nella sinagoga di Nazareth.
Domenica scorsa abbiamo ascoltato nel racconto di Luca della lettura durante il
culto dello shabbat, da parte di Gesù, del profeta Isaia, lettura dei tempi messianici.
Isaia profetizza speranza, consolazione, ritorno dall’esilio, conversione, pace,
luce, una benedizione infinita sul popolo di Israele.
Gesù conclude dicendo: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura”.
È lui a portare quella buona notizia.
È lui la buona notizia. Fantastico, no?
A questo punto una buona sceneggiatura prevede musica intensa, il primissimo
piano su Gesù che si allarga sulla folla esterrefatta che gioisce e piange
e abbraccia Gesù.
Ma la vita non è (quasi) mai un film.
Gesù richiude il rotolo del profeta Isaia e la gente inizia a mormorare
a voce sempre più alta.
«Ma non è il figlio di Giuseppe? Il falegname? Sì, è lui!
Ho anche un bel comò che mi ha fatto suo padre!
Ma che gli prende? Si è montato la testa?»
Gesù interagisce, cita la Scrittura, spiega come sia difficile fare i profeti in
casa propria, che solo degli stranieri, come la vedova di Zarepta e Naaman
il Siro, hanno saputo riconoscere profeti grandi come Elia ed Eliseo.
E si scatena il putiferio.
All’iniziale sconcerto subentra l’offesa e la permalosità.
Ma come si permette?
Ma chi si crede di essere questo giovane presuntuoso?
Noi sapremmo riconoscere Elia o Eliseo!
Sapremmo accogliere il Messia, se Adonai lo inviasse!
Scomode verità.
Oggi parliamo di profeti inascoltati.
Oggi parliamo di come Dio sia venuto a parlare di sé e di come noi ci
rifiutiamo di ascoltarlo.
Le ragioni del rifiuto sono evidenti; Gesù è un Messia banale, poco spettacolare,
non corrisponde ai criteri minimi di serietà del profeta standard.
Accade così anche al nostro mondo disincantato e cinico; siamo talmente
impregnati di ciò che pensiamo essere il cristianesimo da non riconoscere
il vero volto di Dio.
Cosa c’entra la Chiesa con Dio?
E le tante questioni aperte in ambito etico col vangelo?
E la mia parrocchia con Gesù?
Molti fratelli e sorelle sono scandalizzati dal fatto che la parola grande di Dio
è consegnata alle fragili mani di discepoli spesso incoerenti.
Ci fermiamo al messaggero ignorando il messaggio.
Come vorrei gridare forte ai fratelli che non credono; andate al Gesù del vangelo!
Non al Gesù dell’abitudine o degli stereotipi simil-cattolici!
Andate alla sorgente, non lasciatevi fermare dalla incoerenza!
Il tesoro è custodito in fragili vasi di creta, la fontana è arrugginita ma l’acqua
che vi sgorga è pura e fresca.
Dio accetta il rischio di affidare alle nostre balbettanti parole la sua Parola.
Attenti, però, discepoli del Nazareno.
Questa pagina non è rivolta anzitutto a chi non crede, ai lontani, ai sedicenti atei.
È anzitutto rivolta a noi discepoli del Risorto, a noi che frequentiamo la
sinagoga, che ci sentiamo figli di Abramo.
Il mondo non è diviso in chi crede e in chi no, ma in chi ha il coraggio di accogliere
e chi è sclerotizzato sulle proprie convinzioni, anche su quelle belle e sante.
Se perdiamo il senso della Profezia, se non ci lasciamo scuotere dal Geremia
di turno, se non abbiamo il coraggio di ricordarci che, pur discepoli, siamo in
continua conversione, rischiamo di allontanare Gesù dalla nostra vita e dalla
Chiesa o, peggio, di buttarlo giù dal precipizio perché non la pensa come noi.
La Chiesa necessita di profezia e di profeti, di posizioni scomode e all’apparenza
irriguardose per mantenere vivo il carisma fecondo del vangelo.
È bello che ancora oggi ci siano dei cristiani che, sentendo di appartenere alla
Chiesa, compiono scelte di pace e di giustizia a volte estreme che richiamano
tutti, cristiani in primis, alla coerenza.
Guai a spegnere lo spirito della profezia!
A volte è la Chiesa intera a dover essere segno profetico nel mondo, come
Quando, finalmente, assume un netto rifiuto di ogni forma di violenza e di guerra,
fosse anche motivata da nobili ragioni (che quasi mai si rivelano del tutto nobili).
Nello stesso tempo bisogna distinguere i profeti dai rompiscatole.
In ogni comunità c’è il polemico che si sente un pochettino profeta, in ogni
presbiterio il prete che assume posizioni forti.
Gesù invita a mitigare la severità e la polemica mettendo al centro di ogni
relazione, sempre, il bene maggiore dell’amore.
Anche i profeti, insomma, devono stare attenti a non porsi fuori dalla norma
assoluta del vangelo come ci ricorda con forza san Paolo.
Amore che esige franchezza e richiamo, certo, ma pur sempre amore.
Santa Domenica, amici, Fausto.