sabato 23 novembre 2019

Il Vangelo di Domenica 24 Novembre 2019


Della 34° Domenica del Tempo Ordinario.
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.
1° Lettura dal secondo libro di Samuèle (5,1-3)
In quei giorni. vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli
dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne.
Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele.
Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”».
Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse
con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.
Parola di Dio.
2° Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi (1,12-20)
Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla
sorte dei santi nella luce.
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del
Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono
dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché
in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle
invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia
lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui
e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue
della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca (23,35-43) anno C.
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere;
i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri!
Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e
dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso».
Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo?
Salva te stesso e noi!».
L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che
sei condannato alla stessa pena?
Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le
nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Parola del Signore.
Riflessione personale sul Vangelo di oggi.
Questa è l’ultima Domenica dell’anno Liturgico, gli amici ambrosiani,
invece, hanno già iniziato l’avvento.
Insieme, comunque, celebriamo la vera follia del cristianesimo, la non-festa
che, se presa sul serio, ci farebbe tutti mettere in ginocchio ad adorare
l’infinita misura di Dio.
Oggi celebriamo la regalità di Cristo o, come recita pomposamente la dicitura
sul Messale, la Solennità di Gesù Cristo re dell’Universo.
Era ora, finalmente, ci mancava.
Le istituzioni degli uomini vacillano, le ansie di cui domenica scorsa stringono
il cuore di tutti, credenti o meno, non ci dispiacerebbe un bel finale della storia
con l’arrivo dei nostri, come nei film western degli anni Sessanta.
Cristo re. Ma dove?
Le ragioni per scoraggiarsi non mancano, e la fragile storia fatta di armi e di
violenza, continua a dettare legge.
Non è cambiato molto in questi più di duemila anni di cristianesimo, il Regno sembra
essere un bel progetto rimasto sulla carta, un pensiero spirituale di qualche sognatore.
La festa di oggi, invece, è una provocazione alla nostra tiepida fede, che sfida la
nostra fragile contemporaneità, il nostro cristianesimo miope, fatto di piccoli progetti.
Cristo è re, significa dire che Lui avrà l’ultima parola sulla storia, su ogni storia,
sulla mia, sulla vostra, storia personale.
Dire che Cristo è re, significa non arrendersi all’evidenza della sconfitta di Dio
e dell’uomo, credere che il mondo non sta precipitando nel caos, ma nell’abbraccio
tenerissimo e gravido del Padre.
Dire che Cristo è re, significa creare spazi di rappresentanza del Regno là dove
stiamo vivendo la nostra vocazione alla vita, piccoli spazi pubblicitari per dire
agli smarriti di cuore; ecco, Dio vi ama.
Oggi è la festa in cui le comunità guardano avanti, al di là e al di dentro dei
nostri limiti e dei nostri sforzi perché, sempre, il metro di giudizio del nostro
essere Chiesa è la realizzazione del Regno.
La regalità di Gesù è una regalità che contraddice la nostra visione di Dio.
Perché questo Dio è più sconfitto di tutti gli sconfitti, fragile più di ogni fragilità.
Un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita
di un cartello per essere identificato.
Ecco; questo è il nostro Dio, un Dio sconfitto.
Non un Dio trionfante, non un Dio onnipotente, ma un Dio osteso, mostrato,
sfigurato, piagato, arreso, sconfitto.
Una sconfitta che, per Lui, è un evidente gesto d’amore, un impressionante dono di sé.
Un Dio sconfitto per amore, un Dio che-inaspettatamente-manifesta la sua grandezza
nell’amore e nel perdono.
Dio-Lui sì-si mette in gioco, si scopre, si svela, si consegna.
Dio non è nascosto, misterioso; è evidente, provocatoriamente evidente; appeso
ad una croce, apparentemente sconfitto, gioca il tutto per tutto per piegare la
durezza dell’uomo.
Gesù è venuto a dire, Dio, a raccontarlo.
Lui, figlio del Padre ci dona e ci dice veramente chi è Dio.
E l’uomo replica. “No, grazie”.
Forse preferiamo un Dio un pò severo e scostante, sommo egoista bastante
a se stesso, potente, da convincere e da tenere buono.
Forse l’idea pagana di dio che ci facciamo ci soddisfa maggiormente perché
ci assomiglia di più, non ci costringe a conversione, ci chiede superstizione;
non piega i nostri affetti, solo li solletica.
La chiave di lettura del Vangelo di oggi è tutta in quell’inquietante affermazione
della folla a Gesù: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”.
Frase che Luca fa dire anche ai sacerdoti e ai soldati pagani, tutti concordano
nel ritenere un segno di debolezza il dover dipendere dagli altri.
Il potente, così come ce lo immaginiamo, è colui che salva se stesso, può
permettersi di pensare solo a sé, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza avere
bisogno degli altri.
Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere, il più potente dei potenti, che
può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno, beato Lui!
Per dimostrare di essere veramente Dio, Gesù deve mostrarsi egoista perché,
nel nostro piccolo mondo, Dio è il Sommo egoista bastante a se stesso, beato
nella sua perfetta solitudine.
Dio diventa la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri, è ciò
che ammiriamo nell’uomo politico riuscito, ricco e sicuro, allora cerchiamo
di sedurlo, di blandirlo, di corromperlo.
No, il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me per fortuna.
Dio si auto-realizza donandosi, relazionandosi, aprendosi a me, a tutti noi.
I due ladroni-infine-sono la sintesi del diventare discepoli.
Il primo sfida Dio, lo mette alla prova, se esisti fa che accada questo, liberami
da questa sofferenza, salva te stesso (di nuovo!) e noi, e me naturalmente.
Concepisce Dio come un re di cui essere suddito.
Ma a certe condizioni, ottenendo in cambio ciò che desidera, una redenzione in extremis.
Non ammette le sue responsabilità, non è adulto nel rileggere la sua vita, tenta il colpo.
Non è amorevole la sua richiesta, trasuda piccolezza ed egoismo.
Come-spesso-la nostra fede.
Cosa ci guadagno se credo?
L’altro ladro, invece, è solo stupito.
Non sa capacitarsi di ciò che accade, Dio è lì che condivide con lui la sofferenza.
Una sofferenza conseguenza delle sue scelte, la sua.
Innocente e pura quella di Dio.
Ecco l’icona del discepolo, colui che si accorge che il vero volto di Dio è la
compassione e che il vero volto dell’uomo è la tenerezza e il perdono.
Nella sofferenza possiamo cadere nella disperazione o ai piedi della croce e
confessare; davvero quest’uomo è il Figlio di Dio.
Per i cardiopatici, conclusione da non leggere
Che re, sbilenco, amici.
Un re che indica un altro modo di vivere, che contraddice il nostro “salvare noi
stessi” per salvare gli altri o-meglio-per lasciarci salvare da Lui.
Siamo onesti, amici; lo vogliamo davvero un Dio così?
Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli?
È questo, davvero, il Dio che vorremmo?
Di quale Dio vogliamo essere discepoli?
Di quale re vogliamo essere sudditi?
Non date risposte affrettate, per favore, altrimenti ci tocca convertirci.
Io amici, posso rispondere, ora, perché, sono già convertito al Dio di Gesù; e voi?
Spero veramente che siate già convertiti anche voi, se avete qualche dubbio,
fate come me, fidatevi di questo Re dell’Universo, ne vale la pena,
Santa Domenica amici, del Dio di Gesù, Re dell’Universo, Fausto.