Santissimo Corpo e
Sangue di Cristo.
1° Lettura dal libro
della Gènesi (14,18-20)
2° Lettura dalla prima
lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (11,23-26)
Dal Vangelo secondo
Luca (9,11b-17) anno C.
In quel tempo, Gesù
prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire
quanti avevano bisogno
di cure.
Il giorno cominciava a
declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo:
«Congeda la folla
perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni,
per alloggiare e
trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi
stessi date loro da mangiare».
Ma essi risposero:
«Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che
non andiamo noi a
comprare viveri per tutta questa gente».
C’erano infatti circa
cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi
discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa».
Fecero così e li
fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque
pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi
la benedizione, li
spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a
sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Parola del Signore.
Riflessione personale
sul Vangelo di oggi.
Ed ecco il Corpus Domini, dunque.
Abbiamo celebrato la luce
sfolgorante della Pasqua, abbiamo invocato il fuoco
dello Spirito, abbiamo innalzato
la mente nel mistero di Dio Trinità; oggi
riscopriamo un altro aspetto
fondamentale della fede.
Proprio di scoperta non si può
parlare, abituati come siamo a celebrare
l’Eucaristia, asfaltati dalla
ritualità.
Come tutte le cose che riguardano
Dio, il rischio che incombe come un macigno
sulla nostra fede è la banalità,
l’abitudine, il “so già”.
Faccio fatica, a parlare del dono
di sé che Gesù ci ha fatto nel pane e nel vino.
Perché?
Frasi come: “Prendere messa”, che
riducono il Mistero, cristiani non praticanti
che si giustificano ogni volta
che vedono un prete: “Sa, verrei volentieri
a messa, ma proprio di domenica
la dovete fare?”: “Quelli che vanno a messa
le fanno poi peggio degli
altri!”, come se si potesse essere innamorati non
praticanti o come se la messa
servisse a far vedere a Dio quanto siamo buoni!
Abbiamo bisogno di digiunare,
credetemi, abbiamo bisogno di fermare le nostre
troppe messe semideserte, per
riprendere la Parola in mano e, come Paolo fa
scrivendo ai Corinzi, ridarci ciò
che abbiamo ricevuto.
L’Eucaristia, la Messa, è il
segno della presenza di Cristo che ci raduna ogni
settimana, è il Cristo di Dio che
fa memoriale della sua presenza, che si dona
nel segno semplice e sconvolgente
del pane e del vino.
Mi confidava un ateo: “Se
arriverò a credere che Dio si è fatto uomo, non avrò
problemi a credere che si può
fare pezzo di pane”.
Ma, come accade a una coppia un
pò stanca, che non sa più stupirsi e sta
insieme più per abitudine che per
nostalgia, vedo che la mia fede si appiattisce
e sbadiglia davanti a tanta
sconcertante grandezza.
Il momento cardine della nostra
settimana, l’Eucaristia, è, spesso ridotta a
cerimonia, a rito che mette a
posto la mia coscienza (ma rispetto a chi? A Dio?
Pensate davvero che Dio abbia
bisogno della nostra lode?).
L’incontro con Cristo pane è
spesso messo all’ultimo posto degli impegni
settimanali come se fosse il
cartellino del buon cristiano da timbrare per
essere “in regola” quando ci
presenteremo a Dio nel giorno della resa dei conti.
Pessimista? Mi auguro di sì,
spero di potermi scusare, di dire un giorno; ho
davanti a me gente che non vede
l’ora di incontrare Gesù presente nel Pane
e nella Parola.
Per ora non vedo grandi
cambiamenti né grande fede nelle nostre assemblee.
In questo deserto, che è la vita,
la folla ancora chiede pane, pane che è la pienezza
della felicità, che è il senso
della vita.
Gesù si consegna, domenica dopo
domenica, alle nostre comunità.
Avremo il coraggio di piegare il
cuore, oltre che le ginocchia, davanti a quel pane
e a quel vino che,
scandalosamente, professiamo essere la presenza concreta,
reale, misteriosa di Cristo?
Paolo ci dice che ogni volta che
compiamo questo gesto, secondo quanto
richiestoci dal Signore,
ripercorriamo la morte in croce di Cristo, il dramma
di Dio che si consegna per amore.
E, oggi come allora, il grido di
amore di Cristo verso il Padre rischia di restare
sospeso nell’aria, inascoltato.
Non da Dio, ma da noi discepoli.
Se, le nostre Messe, spesso
noiose, mancano certo di fantasia, ma soprattutto
di fede.
Se le nostre assemblee avessero
il coraggio di uscire dalla logica del dovere,
sarebbero trasformate
dall’incontro con Cristo.
Se le nostre Eucaristie, invece
di chiudersi in cinquanta sbrigativi minuti o anche
meno, uscissero dalle nostre
Chiese per entrare nelle nostre case ci farebbero
diventare, come Cristo, pane
spezzato, cibo donato a un mondo che muore d’inedia.
A Milano, un giorno Madre Teresa
di Calcutta disse: “Le nostre città muoiono di fame,
le vostre città muoiono di fame
d’amore”.
Abbiamo bisogno di riscoprire il
valore della sorgente che possediamo sotto casa,
abbiamo bisogno di dissetarci
alla Parola e al Pane.
Che il Signore ci conceda, almeno
un poco, di abbandonare le nostre consolidate
convinzioni per metterci in
gioco, ci conceda di diventare come gli apostoli, che
accettarono la sfida di
condividere quel pò che avevano, alcuni pani e alcuni pesci,
per mettere in gioco la loro
stessa vita.
Santa Domenica amici,
dedicata alla festa gioiosa delle nozze del Signore
con tutti noi, Fausto.