sabato 27 aprile 2019

Il Vangelo di Domenica 28 Aprile 2019


Della 2° Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia.
1° Lettura dagli Atti degli Apostoli (5,12-16)
2° Lettura dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (1,9-11a.12-13.17-19
Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-31) anno C.
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte
del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù,
stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».
Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco.
E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me,
anche io mando voi».
Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo.
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non
perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!».
Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto
il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco,
io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso.
Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!».
Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua
mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».
Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non
hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono
stati scritti in questo libro.
Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio,
e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Parola del Signore.
Riflessione personale sul Vangelo di oggi.
Maestro, poco fa volevano lapidarti e tu ora decidi di scendere a Gerusalemme
per Lazzaro?».
Andrea e Filippo sono esterrefatti.
Gesù tace, lo sguardo posato in terra, pensieroso.
Rabbì-interviene Pietro-hanno ragione, il clima è troppo teso per scendere in Giudea.
Non è proprio opportuno! Gesù sospira.
Occorre andare, sussurra il Nazareno.
Attimo di pesante silenzio, sguardi allibiti.
Poi è Tommaso a sciogliere la tensione: «Dai, andiamo a morire con Lui!».
E tutti scoppiano a ridere.
È la prima volta, nel vangelo di Giovanni, in cui Tommaso parla.
La notte precedente Tommaso l’ha passata nascondendosi sotto un vecchio
ulivo nella valle del Cedron.
Non sente i morsi della fame e neppure il freddo.
Negli occhi ha solo l’immagine di Gesù, il suo Gesù, straziato e sanguinante
pendere nudo dal patibolo mentre la folla lo insulta.
Per qualche istante Tommaso era rimasto impietrito, nascosto tra la folla dei curiosi.
Poi, se n’era andato per paura di essere riconosciuto.
Ora, sotto l’ulivo, tutto gli torna alla mente.
Sente paura e rabbia, una rabbia terribile, soffoca un urlo che gli spacca la testa.
Andiamo a morire con lui!
Idiota, pavido, vigliacco, mezzo uomo, infame, meschino, mille volte maledetto,
dannato, traditore.
L’alba lo raggiunge assopito e ancora intontito.
È l’umidità dell’aurora e il freddo del deserto a svegliarlo.
Che fare? Pensa agli altri; a Pietro, a Giovanni, a Giuda. Dove saranno?
D’improvviso gli torna alla mente la stanza al piano alto in cui avevano celebrato
la Pasqua, solo due giorni prima.
Un’eternità, ora. Forse gli altri sono là.
Il sabato è concluso, la gente riprende il lavoro.
Forse è meglio aspettare il calare della sera.
Vaga tutto il giorno tra Betania e il deserto di Giuda, svuotato, esausto, consumato.
Verso sera, prudentemente, rasentando i muri, sale a Sion per vedere se gli altri
si sono radunati.
Arriva alla porta e bussa con circospezione. Nulla. Silenzio.
Poi una voce «Chi è?»
Sono io, Natanaele, apri.
La porta si apre, per chiudersi subito dopo.
Tommaso, abbiamo visto il Signore! È vivo!
Tommaso guarda i volti euforici dei suoi compagni.
È sbalordito e incredulo.
È così, Tommaso!
È anche apparso a Cleopa e Zaccaria, nei pressi di Emmaus!
Tommaso indietreggia, non si lascia abbracciare dagli altri.
Tu, Andrea, tu, Simone, tu, Giovanni?
Voi mi venite a dire questo? Dove eravate?
Dovevamo morire con Lui! Siamo tutti fuggiti!
No, se non lo vedo, se non vedo le sue ferite io non crederò!
Il sorriso si spegne sul volto degli altri.
Ha ragione, Tommaso.
Ma non se va Tommaso.
Non si sente offeso se il messaggio della resurrezione è affidato alle nostre
fragilissime mani.
Non capisce ma resta, senza fondare una chiesa alternativa, senza sentirsi
migliore, senza andarsene.
E fa bene a restare.
Otto giorni dopo il Maestro torna, apposta per lui.
Eccolo, il Risorto.
Leggero, splendido, sereno.
Sorride, emana una forza travolgente.
Gli altri lo riconoscono e vibrano.
Tommaso, ancora ferito, lo guarda senza capirci nulla.
Viene verso di lui ora, il Signore, gli mostra le palme delle mani, trafitte.
Tommaso, so che hai molto sofferto.
Anch’io ho molto sofferto; guarda qui.
E Tommaso cede.
La rabbia, il dolore, la paura, lo smarrimento si sciolgono come neve al sole.
Si butta in ginocchio ora e bacia quelle ferite e piange e ride.
Mio Signore! Mio Dio!
San Tommaso, patrono di tutti gli entusiasti che buttano il cuore oltre l’ostacolo,
che ci credono a questo Cristo, aiuta quelli che hanno sperimentato sulla propria
pelle il fallimento della propria vita.
Dona loro di non lasciarsi travolgere dalla rabbia e dal dolore, ma di sapere che
il Maestro ama la loro generosità, come ha amato la tua.
San Tommaso, patrono di tutti gli scandalizzati dall’incoerenza della Chiesa,
aiuta chi è stato ferito dalla spada del giudizio clericale a non fermarsi alla
fragilità dei credenti, ma di fissare lo sguardo sullo splendore del risorto che
essi indegnamente professano.
San Tommaso, patrono dei crocefissi senza chiodi, che hai visto nel segno delle
palme del Signore, riflesso, lo squarcio che la sua morte aveva provocato nel tuo
cuore, aiuta a vedere che il dolore, ogni dolore, il nostro dolore è conosciuto da Dio.
San Tommaso, patrono dei discepoli, primo, tra i Dodici, ad avere professato la
divinità di Cristo, aiutaci a professare con franchezza la nostra fede nel volto
di Dio che è Gesù.
Santa Domenica della Misericordia a tutti voi amici, aiutati da S. Tommaso,
nostro gemello nella fede, Fausto.


E come ho fatto la settimana scorsa con Giuda, anche oggi ho voluto scrivere una lettera al mio amico Tommaso.


Lettera al mio amico Tommaso, l’incredulo.
Per ricordare l’amico Tommaso, il re dei credenti.
Caro Tommaso, fa strano scriverti una lettera, ma ho deciso, dopo tanti anni,
di schierarmi formalmente e solennemente dalla tua parte.
Mi spiego meglio; ogni anno, dopo l'ebbrezza della festa di Pasqua, puntualmente
ti ritroviamo col Vangelo che ti riguarda; il motivo è semplice, san Giovanni ci
dice che il fatto, o meglio, il fattaccio, è accaduto otto giorni dopo l'apparizione
di Gesù a porte chiuse nel Cenacolo alla sera di Pasqua.
Ora; sono stufo di vederti descritto come un incredulo, su di te abbiamo addirittura 
composto un proverbio "Tommaso che non ci crede se non ci mette il naso" e zac,
sei arrivato fino a noi con la falsa nomea di incredulo.
Ed in questo, ti assomiglio parecchio.
E' il nostro consueto modo di leggere il Vangelo, col cervello in stand-by,
ascoltando come se fosse una pia ed edificante favoletta, senza la voglia di 
approfondire ciò che dovrebbe nutrire la nostra vita e la nostra fede.
Eppure, Tommaso, leggendo bene il racconto di Giovanni, si capisce subito
che tu al Rabbì ci avevi creduto, fin troppo.
Dalle tue parole durissime, ferite, si intuisce dell'amarezza che ti aveva sconvolto
il cuore all'indomani della croce!
Incredulo? Andiamo!
Piuttosto credulone, con l'entusiasmo che ti contraddistingueva tra i dodici.
Sai, Tommaso, mi sono riconosciuto molte volte in te, ti ho visto nel volto di molti 
fratelli scoraggiati e delusi dopo aver dato l'anima ad un sogno, ad un progetto.
Più voli in alto e più-cadendo-ti fai del male.
La croce, per te inattesa, aveva inchiodato il tuo Maestro e la tua vita, messo
fine al tuo sogno realizzato.
E ti vedo-sbalordito e attonito-che ascolti i tuoi compagni.
Le tue ferite sanguinano copiosamente e questi-gioiosi-ti raccontano di averlo
visto vivo, risorto.
Giovanni, che c'era, ha scritto solo la prima parte di ciò che hai detto; la frase
durissima del "non crederò" e-per pudore, Giovanni è cortese e delicato-non ha 
riportato le tue altre frasi, dette con la voce rotta dalla rabbia e dalla voglia
di piangere.
Io però me le sono immaginate: "Tu Pietro? e tu Andrea? e tu Giacomo?
Voi mi dite che Lui è vivo?
Siamo scappati tutti, come conigli; come faccio a credervi?".
Tommaso; hai ragione.
Incontro spesse volte cristiani come te, feriti dalla pessima testimonianza di
noi discepoli, scandalizzati dal baratro che mettiamo tra la nostra fede e la
nostra vita, increduli al Vangelo a causa della nostra piccolezza.
Ma-e questo è stupefacente-Giovanni ci dice che otto giorni dopo tu eri ancora con loro.
Cavolo, Tommi, quanto ti vuole bene il Signore!
Non li hai mollati come alle volte vedo fare, non ti sei sentito superiore,
migliore o a parte.
Hai voluto condividere la tua amarezza con loro.
E finalmente è accaduto, apposta per te è venuto il Maestro; vedi come ti ama?
Le sue piaghe, il suo costato ostesi, aperti, mostrati, e quella frase bellissima
(non un rimprovero ma un gesto d'amore): "Tommaso so che hai sofferto tanto.
Guarda; anch'io ho sofferto tanto", ti hanno fatto arrendere, hai lasciato la diga
del pianto rompere gli argini, ti sei lasciato travolgere dall'amore e dalla fede,
ti sei buttato in ginocchio e tu, per primo, hai osato dire ciò che nessuno prima
aveva osato neppure pensare; Gesù è Dio.
Senti, Tommaso, io ti voglio un sacco di bene e ringrazio te e il nostro comune
Signore per come ti ha trattato.
Non credo sia un caso il fatto che il tuo amico Giovanni ti abbia soprannominato 
"didimo", cioè gemello; davvero mi assomigli.
Voglio affidarti, caro mio gemello, tutti quelli che-come te-non si sono ancora
arresi al Signore; io per primo, ma anche tutti quelli, insomma, bastonati
come te e come me.
E anche gli scandalizzati da noi cristiani; che guardino al Cristo piuttosto che
ai suoi fragili discepoli.
Ciao amico e fratello; uomo dalla grande fede cristallina!
Santa Domenica della Misericordia a tutti voi amici, che come me, magari
assomigliate al nostro fratello Tommaso, Fausto.