sabato 22 marzo 2025

Il Vangelo di Domenica 23 Marzo 2025

 

Della 3° Domenica di Quaresima.

San Turibio di Mogrovejo, vescovo.

Prima lettura.

Io-Sono mi ha mandato a voi.

Dal libro dell'Èsodo (3,1-8.13-15).

In quei giorni, mentre Mosè stava

pascolando il gregge di Ietro, suo

suocero, sacerdote di Madian, condusse

il bestiame oltre il deserto e arrivò al

monte di Dio, l'Oreb.

L'angelo del Signore gli apparve in una

fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto.

Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per

il fuoco, ma quel roveto non si consumava.

Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a

osservare questo grande spettacolo:

perché il roveto non brucia?».

Il Signore vide che si era avvicinato per

guardare; Dio gridò a lui dal roveto:

«Mosè, Mosè!».

Rispose: «Eccomi!».

Riprese: «Non avvicinarti oltre!

Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo

sul quale tu stai è suolo santo!».

E disse: «Io sono il Dio di tuo padre,

il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio

di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto,

perché aveva paura di guardare verso Dio.

Il Signore disse: «Ho osservato la miseria

del mio popolo in Egitto e ho udito il suo

grido a causa dei suoi sovrintendenti:

conosco le sue sofferenze.

Sono sceso per liberarlo dal potere

dell'Egitto e per farlo salire da questa

terra verso una terra bella e spaziosa,

verso una terra dove scorrono latte e miele».

Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli

Israeliti e dico loro: "Il Dio dei vostri

padri mi ha mandato a voi".

Mi diranno: "Qual è il suo nome?".

E io che cosa risponderò loro?».

Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!».

E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: "Io

Sono mi ha mandato a voi"».

Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli

Israeliti: "Il Signore, Dio dei vostri padri,

Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di

Giacobbe mi ha mandato a voi".

Questo è il mio nome per sempre; questo

è il titolo con cui sarò ricordato di

generazione in generazione».

Parola di Dio.

 

Salmo Responsoriale dal Sal. 102

Ripetiamo: Il Signore ha pietà

del suo popolo.

 

Benedici il Signore, anima mia, quanto

è in me benedica il suo santo nome.

Benedici il Signore, anima mia, non

dimenticare tutti i suoi benefici. R.

 

Egli perdona tutte le tue colpe,

guarisce tutte le tue infermità,

salva dalla fossa la tua vita, ti

circonda di bontà e misericordia. R.

 

Il Signore compie cose giuste,

difende i diritti di tutti gli oppressi.

Ha fatto conoscere a Mosè le sue

vie, le sue opere ai figli d'Israele. R.

 

Misericordioso e pietoso è il Signore,

lento all'ira e grande nell'amore.

Perché quanto il cielo è alto sulla

terra, così la sua misericordia è

potente su quelli che lo temono. R.

 

Seconda Lettura.

La vita del popolo con Mosè nel deserto

è stata scritta per nostro ammonimento.

Dalla prima lettera di san Paolo

apostolo ai Corinzi (10,1-6.10-12).

Non voglio che ignoriate, fratelli, che

i nostri padri furono tutti sotto la nube,

tutti attraversarono il mare, tutti furono

battezzati in rapporto a Mosè nella nube

e nel mare, tutti mangiarono lo stesso

cibo spirituale, tutti bevvero la stessa

bevanda spirituale: bevevano infatti da

una roccia spirituale che li accompagnava,

e quella roccia era il Cristo.

Ma la maggior parte di loro non fu gradita

a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.

Ciò avvenne come esempio per noi,

perché non desiderassimo cose cattive,

come essi le desiderarono.

Non mormorate, come mormorarono

alcuni di loro, e caddero vittime dello

sterminatore.

Tutte queste cose però accaddero a loro

come esempio, e sono state scritte per

nostro ammonimento, di noi per i quali

è arrivata la fine dei tempi.

Quindi, chi crede di stare in piedi,

guardi di non cadere.

Parola di Dio.

 

Canto al Vangelo

Lode e onore a te, Signore Gesù.

 

Convertitevi, dice il Signore,

il regno dei cieli è vicino.

 

Lode e onore a te, Signore Gesù.

 

Vangelo.

Se non vi convertite,

perirete tutti allo stesso modo.

Dal Vangelo secondo Luca (13,1-9) anno C.

In quel tempo si presentarono alcuni a

riferire a Gesù il fatto di quei Galilei,

il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere

insieme a quello dei loro sacrifici.

Prendendo la parola, Gesù disse loro:

«Credete che quei Galilei fossero più

peccatori di tutti i Galilei, per aver

subito tale sorte?

No, io vi dico, ma se non vi convertite,

perirete tutti allo stesso modo.

O quelle diciotto persone, sulle quali

crollò la torre di Sìloe e le uccise,

credete che fossero più colpevoli di

tutti gli abitanti di Gerusalemme?

No, io vi dico, ma se non vi convertite,

perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale

aveva piantato un albero di fichi nella

sua vigna e venne a cercarvi frutti,

ma non ne trovò.

Allora disse al vignaiolo: "Ecco, sono

tre anni che vengo a cercare frutti su

quest'albero, ma non ne trovo.

Tàglialo dunque!

Perché deve sfruttare il terreno?".

Ma quello gli rispose: "Padrone, lascialo

ancora quest'anno, finché gli avrò

zappato attorno e avrò messo il concime.

Vedremo se porterà frutti per l'avvenire;

se no, lo taglierai"».

Parola del Signore.

Riflessione personale sul Vangelo di oggi.

Questo è il tempo dell’essenzialità;

quaranta giorni all’anno per seguire

Gesù e imitare il suo bisogno di silenzio

e preghiera, di verità e di scelta.

Le tentazioni che colpiscono Lui e noi

ci impediscono di leggere nelle pieghe

della nostra storia l’intervento di Dio.

Per quaranta giorni vogliamo guardarci

dentro alla luce della Parola per scoprire

se siamo contenti di ciò che siamo

diventati e se la nostra fede in Dio

è la stessa di Gesù.

L’obiettivo di questo percorso di

vivificazione è il Tabor, la bellezza di

Dio che ci fa dire ancora una volta,

insieme a Pietro: «Maestro, è bello

per noi restare qui».

In questi anni di annuncio del Vangelo

mi sono accorto di quante visioni distorte

o parziali di Dio io incontri.

La Quaresima è un tempo opportuno alla

conversione, un tempo favorevole per

abbandonare la brutta idea di Dio che

abbiamo ed abbracciare, infine, il volto

del Dio di Gesù.

“Cosa ho fatto di male per meritarmi

questo!”, “Che croce mi ha mandato Dio!”:

quante volte ho sentito pronunciare,

ed a volte ho pronunciato anch’io in un

momento di sconforto, queste lamentazioni,

queste imprecazioni verso Dio.

Il dolore è un tema delicato e faticoso

e tutti entriamo in crisi quando il

dolore ci colpisce.

Vorremmo delle risposte (ma è di risposte

che abbiamo bisogno?

No! Noi vogliamo non soffrire) ma Dio

tace e la Bibbia non ci aiuta molto.

La pagina di oggi è straordinaria e ci

indica un percorso di riflessione.

Gesù, citando due noti eventi di cronaca

dei suoi tempi, smonta una credenza

popolare molto diffusa allora (e oggi).

Un devoto medio pensava che le disgrazie,

come appunto il crollo della torre di Siloe,

punissero delle persone che-in qualche

modo-avessero commesso degli

orribili peccati.

Così come la malattia, o l’handicap,

la disgrazia era letta come un intervento

corrucciato di Dio che, dall’alto della

sua somma giustizia, scatenava la

sua ira divina.

E se un bambino nasceva malato?

Orribile ma coerente risposta;

i colpevoli erano i suoi genitori.

Nessuna pietà, quindi, per i malati,

né comprensione per le vittime della

repressione romana; se erano stati

uccisi era a causa dei loro peccati.

Oggi non siamo più così crudeli e

diretti, ma la sostanza non cambia.

Molte persone, nei momenti di dolore

e di sofferenza, se la prendono con Dio

che, evidentemente, non sa fare il

suo mestiere.

Ciò che Gesù dice è sorprendente,

sconcertante; la vita ha una sua

logica, una sua libertà.

La causa del crollo della torre di Siloe

è da imputarsi al calcolo delle strutture

errato, o al lucro compiuto dall’impresa

che ha usato materiali scadenti;

l’intervento crudele dei romani è causa

della loro politica di espansione che usa

la violenza come strumento di oppressione.

Non esiste un intervento diretto e puntuale

di Dio, le cose possiedono una loro

autonomia e noi possiamo conoscerne

le leggi.

Gesù ristabilisce le responsabilità;

gran parte del dolore che viviamo

ce lo siamo creato.

La croce ce la danno gli altri o ce la

diamo noi stessi con uno sguardo

contorto e mondano della realtà.

Ho scoperto, dopo molti anni, che molti

passano la vita a piallare e carteggiare

la propria croce, attribuendone a Dio

la responsabilità.

Dio fa quel che può; anche Lui si ferma

di fronte alla nostra ostinazione e

durezza di cuore.

Dio è limitato, quindi?

No, ma ferma la sua mano e ci lascia

liberi, perché vuole dei figli,

non dei sudditi.

E, conclude Gesù, noi discepoli siamo

chiamati a leggere questi eventi disastrosi

come un monito che la vita, ‘non Dio’,

ci fa; sotto la torre crollata potremmo

esserci noi.

Come è successo poco tempo fa a Firenze,

dove ci sono stati 5 morti per il crollo di

una trave, è stata colpa di Dio?; no, la colpa

è degli architetti progettisti dei lavori,

che hanno sbagliato i calcoli di

progettazione; è chiaro il concetto?

Il tempo è serenamente fugace, amici,

tragicamente breve, approfittiamo di

questi giorni come giorni di salvezza

e di conversione, non aspettiamo,

non temporeggiamo.

Oggi il Signore passa e ci salva, oggi

siamo chiamati a usare bene la nostra

libertà ed andare a vedere il grande

prodigio del roveto ardente, di un Dio

che conosce il nostro nome e la

nostra condizione.

A Mosé che tentenna nell’andare a parlare

di Dio al popolo, Jawhé racconta di sé,

dice il suo nome, e si svela come un Dio

che conosce le sofferenze del popolo.

Se anche la nostra vita attraversa

momenti di fatica, Dio non è lontano

ed interviene, chiedendo a qualcuno

di agire in nome suo.

Dio non guarda indifferente alle tragedie

del mondo, ma chiede a noi, come a

Mosé, di renderlo presente accanto

a chi soffre.

Al popolo che aspetta liberazione Dio

manda un pastore pauroso, Mosé,

come liberatore.

Quando chiediamo a Dio di liberaci dal

dolore, il Signore ci invita a non coltivare

il dolore, a sradicarne le radici e a

diventare noi il volto solidale e sorridente

di Dio per il popolo.

I cristiani, ingenui, continuano, bene

o male, a farsi prossimi là dove c’è

dolore e ingiustizia.

Siamo noi il sorriso di Dio, il balsamo

che Dio dona all’umanità per superare

ogni dolore e crescere in una più vera

umanità basata sulla giustizia e

sul perdono.

Di questo siamo testimoni.

La vita è un’opportunità da cogliere per

scoprire chi è Dio e chi siamo noi e il

deserto è il luogo in cui esercitiamo

la nostra libertà.

Non esiste una vita più o meno semplice,

ma ogni vita è un soffio breve che siamo

chiamati a vivere con intensità e gioia.

Gesù ci svela il volto di un Dio che

pazienta, che insiste perché il fico

produca frutti.

La conversione, il cambiare atteggiamento,

il ri-orientare la nostra vita è il frutto

che ci è chiesto.

Fermiamoci davanti agli eventi tristi della

vita senza incolpare Dio, né scuotere la

testa e tirare innanzi, ma guardiamoli

come un monito che la vita stessa ci

rivolge per giocare bene la nostra partita.

Dio-da parte sua-è un Dio che conosce,

che interviene, ma che rispetta,

trattandoci da adulti, le nostre scelte,

anche se catastrofiche e schiavizzanti.

Ricordiamoci sempre, amici, che se sulla

mia strada trovo il cartello con il limite

di velocità ai 50 Km orari, ma io continuo

a viaggiare a 100 Km orari e mi ritirano

la patente, non è stato Dio a volerlo,

ma è stata una nostra scelta quella di non

rispettare il limite, e Dio ci ha lasciato

fare in quanto adulti e intelligenti,

buona Domenica Fausto.