Ottava di Pasqua.
Prima lettura dagli
Atti degli Apostoli (3,1-10)
In quei giorni, Pietro
e Giovanni salivano al tempio per la preghiera delle
tre del pomeriggio.
Qui di solito veniva
portato un uomo, storpio fin dalla nascita; lo ponevano
ogni giorno presso la
porta del tempio detta Bella, per chiedere l'elemosina
a coloro che entravano
nel tempio.
Costui, vedendo Pietro
e Giovanni che stavano per entrare nel tempio,
li pregava per avere
un'elemosina.
Allora, fissando lo
sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: «Guarda
verso di noi».
Ed egli si volse a
guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa.
Pietro gli disse: «Non
possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do:
nel nome di Gesù
Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!».
Lo prese per la mano
destra e lo sollevò.
Di colpo i suoi piedi
e le caviglie si rinvigorirono e, balzato in piedi, si mise
a camminare; ed entrò
con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.
Tutto il popolo lo
vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era colui
che sedeva a chiedere
l'elemosina alla porta Bella del tempio, e furono ricolmi
di meraviglia e
stupore per quello che gli era accaduto.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca
(24,13-35) anno pari.
Ed ecco, in quello
stesso giorno, [il primo della settimana,] due [dei discepoli]
erano in cammino per
un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri
da Gerusalemme, e
conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e
discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e
camminava con loro.
Ma i loro occhi erano
impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro:
«Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra
voi lungo il
cammino?».
Si fermarono, col
volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo
tu sei forestiero a
Gerusalemme!
Non sai ciò che vi è
accaduto in questi giorni?».
Domandò loro: «Che
cosa?».
Gli risposero: «Ciò
che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere
e in parole, davanti a
Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre
autorità lo hanno
consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.
Noi speravamo che egli
fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò,
sono passati tre
giorni da quando queste cose sono accadute.
Ma alcune donne, delle
nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla
tomba e, non avendo
trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche
una visione di angeli,
i quali affermano che egli è vivo.
Alcuni dei nostri sono
andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto
le donne, ma lui non
l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e
lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!
Non bisognava che il
Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
E, cominciando da Mosè
e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò
che si riferiva a lui.
Quando furono vicini
al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse
andare più lontano.
Ma essi insistettero:
«Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto».
Egli entrò per
rimanere con loro.
Quando fu a tavola con
loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò
e lo diede loro.
Allora si aprirono
loro gli occhi e lo riconobbero.
Ma egli sparì dalla
loro vista.
Ed essi dissero l’un
l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre
egli conversava con
noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza
indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono
riuniti gli Undici e
gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero
il Signore è risorto
ed è apparso a Simone!».
Ed essi narravano ciò
che era accaduto lungo la via e come l’avevano
riconosciuto nello
spezzare il pane.
Parola del Signore.
Meditazione personale
sul Vangelo di oggi.
Meditiamo ora, anzi sfogliamo la
stupenda pagine di Emmaus.
Vorrei qui invogliarvi a
contemplare un poeta, questo poeta è Gesù.
Gesù che tutto annota, di tutto
si commuove, di tutto fa tesoro: “Un giglio
nel campo, un tralcio nuovo sul
tronco della vite, i pulcini sotto le ali della
chioccia, una pecora che si
smarrisce, un agnello appena nato, il fico che
non fa frutto, le campagne
ricoperte di messi e di spighe bionde,
l’acqua viva dei torrenti.
Gesù conserva tutto nel cuore,
per restituircelo in parabole, in paragoni,
con un’efficacia e una attrattiva
misteriosa.
Perciò sarebbe giusto che tutti
noi spalancassimo l’animo alla sensibilità
di Gesù, alla sua capacità di
amare tutti noi, alla sua capacità di istruirci
attraverso le sua Parola.
Dobbiamo far sì che il nostro
ascolto delle sue parole non sia mai banale,
superficiale, ma intenso, sempre
fervido, che la lettura delle pagine Sacre
ci convertisse ogni volta, e ogni
volta ci faccia ardere il cuore come
ai pellegrini di Emmaus.
Ed ecco in quello stesso giorno
due di loro erano in cammino per un villaggio
distante circa sette miglia da
Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano
di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano
insieme, Gesù in persona si accostò e
camminava con loro.
Ma i loro occhi erano incapaci di
riconoscerlo.
Ed Egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi
durante il cammino?”.
Si fermarono col volto triste;
uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: “Tu solo
sei così forestiero in
Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto
in questi giorni?”. Domandò: “Che cosa?”.
Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta
potente
in opere e parole,
davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti
e i nostri capi lo
hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi
lo hanno crocifisso”. (Luca 24,13-20)
Penso che la pagina di Emmaus
tocchi in profondità ciascuno di noi.
È una delle pagine più belle di
San Luca.
Da tutto il racconto traspare che
il personaggio senza nome è l’autore
stesso del Vangelo, Gesù.
Lui e Cleopa sono i protagonisti
di questo episodio che ha sconvolto non soltanto
la mentalità dei due discepoli, ma
anche la mentalità degli apostoli, ma credo
che riesca a sconvolgere tutti
coloro che si fermano davanti a questa pagine.
Il Vangelo ci presenta una
strada, ci presenta due uomini che camminano
su questa strada, tristi,
avviliti, sfiduciati.
La strada di Emmaus parte da un
punto, quello delle speranze morte,
le speranze infrante.
Quella strada, la strada che va
verso Emmaus, è un pò la strada di ciascuno
di noi, è un pò la strada della
nostra civiltà, è un pò la strada della nostra
mentalità, la strada del mondo di
oggi che cammina all’insegna del
pessimismo, dell’amarezza, dello
scoraggiamento.
Noi speravamo che fosse Lui a
liberare Israele, dicono i due pellegrini.
Quanta amarezza in questa
espressione dei due che camminano!
E camminano tristi al tramonto
del giorno in cui è esplosa la Resurrezione.
È l’assurdità dei cristiani
spenti, che camminano sulle strade del mondo
portando la tristezza, mentre
Cristo è risorto, mentre Cristo è vivente.
Alcune donne ci hanno sconvolti; sono
venute a dirci di avere avuto anche
una visione di angeli, i quali
affermano che Egli è vivo.
Mentre Cristo è vivo due uomini
lo fuggono, si allontanano dal centro della
città per restare soli con la
loro delusione.
Ma Cristo cammina dietro a loro.
Loro, quasi non se ne accorgono.
Forse un’ombra si intreccia fra
le loro ombre, forse c’è un rumore di sassi
dietro i loro passi, ma loro non
se ne accorgono Finche Cristo prende
l’iniziativa: “Che discorsi sono questi che vi scambiate?”.
I due si fermano, tristi: “Tu solo vieni da Gerusalemme e non sai che cosa è successo?
Un uomo nel quale si
ponevano tutte le speranze e che anche noi
speravamo; è stato
crocifisso”.
Allora Gesù li riprende con
dolcezza.
E credo che questo sia un
profondo insegnamento per ciascuno di noi; li riprende
e con loro sfoglia, se vogliamo, le
pagine della Sacra Scrittura.
Cominciando da Mosè e dai
profeti, spiega tutto quello che riguarda il Messia
e la sua sofferenza: “Non bisognava che il cristo sopportasse queste sofferenze
per entrare nella sua
Gloria?”.
Il Rabbì di Nazareth è risorto
anche come Maestro.
Sulla strada che porta al
villaggio di Emmaus, i due disorientati pellegrini
ne sentono poco a poco
l’ineffabile calore e l’efficacia.
Qualcosa comincia lentamente a
disegnarsi nella mente dei due; e arrivano a Emmaus.
È il tramonto e la notte arriva
in fretta, è necessario fermarsi in questo piccolo
villaggio; ma lo straniero fa
come se dovesse proseguire.
Allora sgorga dal cuore di questi
discepoli una preghiera: “Resta con noi
Signore, perché si fa
sera!”.
E la sera si fa per tutti noi,
c’è su tutte le giornate umane una sera; c’è sulle
civiltà che muoiono, c’è sulla
storia che passa, c’è sulla vecchiaia che avanza,
sui capelli che imbiancano, sulle
sofferenze che incombono, come in questo
momento triste e doloroso.
Su ogni strada si fa sera, per
tutti.
Non esiste vita umana che non
abbia una sera; se non altro, la sera della
delusione, la sera dell’amarezza,
la sera dei limiti, la sera nella quale ci si
accorge che le creature non sono
che creature.
Non è un pò la strada
di tutti, la strada di Emmaus?
Nessuno di voi ha fatto
l’esperienza della tristezza, dell’amarezza, della speranza morta?
Nessuno di voi ha conosciuto
l’umidità delle lacrime nella notte che scendono?
Io si amici, tante e
tante volte!
E nessuno di voi vorrebbe
scoprire in questo momento l’urgenza di dire: “Resta
con noi”, a questo “Qualcuno”
che ci fa toccare i nostri limiti, che ci fa incrociare
le nostre solitudini?
E allora, diciamoglielo ora,
insieme, diciamolo qui a Lui, l’Unico, il
Necessario: “Rimani con noi, Signore!”.
Non perché oggi si è fatta sera,
ma perché si fa sempre sera in noi,
intorno a noi, nel nostro cuore e
nel cuore degli altri.
È una preghiera se vogliamo,
dolcemente interessata, d’altra parte è la
preghiera genuina che fiorisce
sulle labbra umane toccate dalla sera.
Ma Cristo ascolta anche questa
preghiera e rimane con noi.
Ce lo dice San Luca, il
pellegrino di Emmaus.
Cristo rimane e ci porta ad un
appuntamento; ci dà appuntamento ad una mensa.
La sua proposta, dopo averci
fatto comprendere il senso delle Scritture,
è il traguardo finale verso cui
le Scritture portano; la Cena dove si spezza
il Pane; l’Eucaristia.
Dice il Vangelo: “Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
Ma Lui scomparve alla
loro vista.
A questo punto c’è un gesto, ed è
l’ultimo gesto che questi due discepoli compiono.
Hanno imboccato questa strada
all’insegna della delusione, tornano indietro
su questa stessa strada
all’insegna dell’entusiasmo.
Ritornano a Gerusalemme per dire
a tutti che Cristo è veramente risuscitato,
che Cristo è vivo, che lo hanno
veduto e gli hanno parlato!
È questo che bisogna ripetere
tutti.
Quando uno ha scoperto Cristo non
può non correre, anche se è lontano come
era lontano il villaggio di Emmaus;
anche se è notte, deve correre, deve andare
dagli altri per dire: “Il nostro cuore ardeva mentre ci spiegava le Scritture e
lo abbiamo
riconosciuto allo spezzare del Pane”.
Corriamo anche noi verso gli
altri!
Quanti hanno bisogno di sentire
che c’è Gesù!
Molti sono ancora all’imbocco
della strada, molti sono ancora lontani da quella mensa.
E allora torniamo indietro a dir
loro: “C’è Gesù che cammina sulla strada,
c’è Gesù con te, con
me e con tutti noi”.
Non dare testimonianza agli altri
che Cristo è risorto; sarebbe un tradimento
a Cristo, sarebbe mettere ancora
una volta una pietra fredda sul sepolcro della
sua Risurrezione, sarebbe
soffocare la Risurrezione.
Se avete visto Gesù, se lo avete
scoperto, se Lui ha camminato con voi, se avete
sentito il vostro cuore ardere,
palpitare mentre Lui vi parlava, allora dovete
sentire il bisogno di dirlo agli
altri.
È questa la consegna
di Emmaus: “Noi speravamo che fosse Lui a liberare
Israele; con tutto ciò
sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
Alcuni dei nostri sono
andati al sepolcro e hanno trovato come avevano
detto le donne, ma Lui
non l’hanno visto”.
(Luca 24,21-24)
Abbiamo letto che i due
pellegrini di Emmaus sono fuggiti da Gerusalemme,
sono fuggiti dal prodigio della Risurrezione
senza volersi rendere conto
che la storia è trasformata.
Se ne tirano fuori perché sono
soli.
Abbiamo parlato più volte della
solitudine.
Esiste una solitudine che è la
più terribile, ed è la solitudine con noi stessi.
Questi uomini sono soli non
perché non abbiano nessuno vicino; sono soli
soprattutto perché sono vuoti
dentro, i loro orizzonti sono estremamente limitati.
Questa è la solitudine dei
discepoli sulla strada di Emmaus.
Aspettavano la restaurazione del Regno
di Israele e hanno avuto una disfatta.
Aspettavano forse posti di
privilegio, magari nella reggia di questo Rabbì,
e invece sono stati testimoni
della croce.
Allora fuggono amareggiati, quasi
scandalizzati, e prendono la strada della
campagna, la strada
dell’evasione.
Perché quando c’è solitudine
dentro di noi, si evade.
Ci sono tante forme di evasione.
Ci sono le evasioni dal
frastuono, ci sono le evasioni dalle amicizie indesiderate;
ci sono le evasioni dalle unioni
difficile, ci sono le evasioni dalle unioni dove
il marito o il compagno, che
l’unica cosa che riesce a fare è alzare le mani sua
mogli o sulla sua compagna, ma
non per coccolarla, ma per picchiarla, ci sono
le evasioni dalle telenovele; ci
sono le evasioni dalla TV spazzatura,
ci sono tante evasioni.
Non c’è pienezza dentro di noi; e
allora si va questuando fuori, questo
qualcosa che ci manca dentro, si
cerca qualcosa, “per uso esterno”.
Noi andiamo sempre alla ricerca
di una medicina per uso esterno; non vogliamo
penare, far fatica dentro di noi,
e cerchiamo qualcosa che non ci faccia soffrire.
Non vorremmo far fatica a stare
svegli e chiediamo ad una compressa che ci
faccia dormire.
Non vorremmo fare il sacrificio
di essere genitori e chiediamo di diventare
assassini dei figli concepiti.
Non vorremmo sacrificarci per i
nostri figli, perché c’è di mezzo la carriera,
perché si vuole essere
indipendenti e allora bisogna per forza di cose lavorare
in due altrimenti i soldi non
bastano per i divertimenti, allora si chiede aiuto
agli asili nido, alle tate per i
figli che tante volte diventano le tate anche dei
papà dei bambini, per poi
dividere la famiglia, tutto per colpa dei figli,
quante colpe hanno questi figli!
Mi domando; ma non è che questa
epidemia ci serva per riscoprire l’amore;
l’amore per la nostra famiglia,
nostra moglie o marito, i nostri figli, i nostri
genitori, il prossimo ed alla
fine, per il Signore?
Sarebbe fantastico.
Sempre dall’esterno le nostre
evasioni, sempre all’esterno andiamo a elemosinare.
E così si cammina sulla strada
che è la strada del vuoto, della solitudine.
Credo che ognuno di noi abbia
sperimentato la solitudine delle evasioni da Dio.
Abbiamo puntato tutto sulla
felicità umana, sull’onestà umana, sulla legge
umana, sull’amore umano.
E invece quante cose sono
scomparse, o si sono infrante, o ci hanno lasciato!
Abbiamo creduto alle parole e le
parole sono morte, ci siamo attaccati
a qualcosa che non reggeva, e ci
siamo sentiti soli; mentre se vogliamo
c’è una presenza tutta per noi.
C’è una presenza continua che si
offre, che bussa ai cuori degli uomini,
specialmente quando i cuori degli
uomini avvertono le delusioni, i crolli.
Cristo però è sulla nostra strada
per risollevarci a sé e farci ardere il cuore.
Non dobbiamo perciò andare ad
elemosinare fuori, all’esterno, la medicina
che attende di riversarsi in noi,
di cambiare la nostra storia, di riscaldare
il nostro cammino, ce l’abbiamo a
portata di mano è lì assieme con noi
che cammina con noi è Cristo
Risorto.
Ed Egli disse loro: “Sciocchi
e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!
Non bisognava che il
Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare
nella sua gloria?”.
E cominciando da Mosè
e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture
ciò che si riferiva a
Lui.
Quando furono vicini
al villaggio dove erano diretti, Egli fece come se
dovesse andare più
lontano.
Ma essi insistettero: “Resta
con noi, perché si fa sera e il giorno già volge al declino”.
Egli entrò per
rimanere con loro.
Quando fu a tavola con
loro, prese il pane, disse la benedizione, o spezzò
e lo diede loro.
Allora si aprirono
loro gli occhi e lo riconobbero.
Ma Lui sparì dalla
loro vista. (Luca
24,25-31)
La sera della Pasqua, Gesù
Risorto apparve ai discepoli che erano rinchiusi
nel Cenacolo per paura dei
giudei.
Questa apparizione è molto
importante per tutto ciò che il Signore dice
e promette alla sua piccola
Chiesa.
Ma è estremamente commovente
anche il fatto che a Gesù non sia bastato
incoraggiare gli Apostoli nel Cenacolo,
ma che alla stessa ora Egli abbia
voluto ricercare anche due
pecorelle smarrite, abbia voluto raccattare due
dracme cadute, due anime disperse
sui ciotoli di una strada.
Gesù fa tesoro di ogni anima.
E per due sole anime Egli prende
la strada di Emmaus e sfoglia le Scritture.
Quì vorrei sottolineare una cosa
significativa.
Cristo spiega le Scritture, è
vero, ma i discepoli hanno soltanto bisogno di capirne
il senso, di saperle
interpretare; non sembra che i due ignorino i testi Sacri.
Vuol dire che non sono come i
cristiani di oggi, che hanno fermato la loro
educazione religiosa alla prima
Comunione, crescendo nel corpo e
rimanendo piccoli nell’anima.
Esiste una specie di squilibrio
di cui noi tutti siamo vittime e protagonisti.
È lo squilibrio tra il nostro
sviluppo fisico e il nostro sviluppo religioso.
Dal punto di vista religioso
siamo purtroppo dei neonati immaturi.
Crediamo di sapere qualche cosa e
non sappiamo nulla.
Quanta ignoranza!
Come sarebbe importante anche per
noi ricominciare da Mosè e approfondire la Scrittura!
Ricordiamoci che la
fede non è un sentimento.
Ricordiamoci che la
fede non è una tradizione.
Ricordiamoci che la
fede è una conquista.
Quando dico che non è un
sentimento, dico che non è un palpito del cuore.
Quando dico che non è una
tradizione, dico che non è un’abitudine.
E quando dico che è una
conquista, dico che si tratta di far sì che la nostra
intelligenza sia partecipe della
nostra fede.
Si tratta di nutrire la fede non
solo con il cuore, ma anche con la mente.
Quando ci tocchiamo la fronte
facendo il segno di croce, quasi carichiamo
questo legno della croce sul
nostro corpo, come per dire; la mia fede nasce
qui, dalla mia fronte, dalla mia
intelligenza; poi diventerà fede che pulsa e
che riscalda il cuore; e poi
diventerà luce operativa attraverso le mie braccia.
Soltanto dopo aver scoperto il
Signore come Maestro, noi sentiremo che Lui
diventa per noi l’insostituibile,
diventa per noi il rapporto irrinunciabile;
e questo rapporto avrà bisogno di
sfogarsi in preghiera.
E non mi dite che non sapete
pregare!
La preghiera non è una formula.
Ognuno prega come ama; e nella
misura in cui uno ama, uno prega.
Perché la preghiera è un rapporto
personale con questo “Tu”, che è Dio;
un rapporto irripetibile.
Non serve una scuola di
preghiera, come non serve una scuola di amore;
ognuno ha un rapporto diverso con
l’altro.
La meravigliosa sinfonia del
paradiso, sarà ascoltare questo linguaggio
diverso di ogni cuore con il suo
Dio, di ogni anima con Cristo.
Resta con noi, perché si fa
sera!, pregarono i due pellegrini di Emmaus.
Ognuno ha la sua preghiera, come
ognuno ha la propria anima, come
ognuno ha la sua ora di Emmaus.
Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre
conversava con noi lungo
il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.
E partirono senza indugio e
fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono
riuniti gli Undici e gli altri
che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero
il Signore è Risorto
ed è apparso a Simone”.
Essi poi riferirono ciò che era
accaduto lungo la via e come lo avevano
riconosciuto nello spezzare il
pane. (Luca 24,32-35)
I due pellegrini di Emmaus
tornarono a Gerusalemme per raccontare ogni
cosa agli Undici e a quelli che
stavano riuniti con loro.
Il Vangelo di Luca si
chiude qui.
Però vorrei invece, concludere
con uno spunto particolare: “Allora ritornarono
a Gerusalemme dal monte degli
Ulivi.
Entrati in città
salirono al piano superiore dove abitavano.
C’erano Pietro,
Giovanni, Giacomo e Andrea.
Tutti questi erano
assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune
donne e con Maria, la
Madre di Gesù”. (Dagli estratti degli Atti degli Apostoli)
Dunque, si può dedurre
che la presenza di Maria fra gli Undici non si è mai
interrotta in
Gerusalemme, dal Golgota in poi.
La comunione con Maria è stata
certamente il dolce grembo della Chiesa nascente.
Maria ha portato nel suo grembo
la Chiesa come portò in sé Gesù concepito.
Maria è Madre di Dio e Madre della
Chiesa.
Allora perché non pensare che Lei
fosse nel Cenacolo anche quella sera di
Pasqua, quando i due viandanti
trafelati e commossi arrivarono da Emmaus?
Sì, Maria era là, mentre i due
riferirono ogni cosa, la loro tristezza iniziale
e poi l’esplosione della loro
gioia per aver incontrato e riconosciuto Gesù.
Mi pare particolarmente toccante
immaginare Maria che ascolta il racconto
dei due pellegrini e partecipa al
loro entusiasmo, alla loro gioia, al loro stupore.
Si è detto che la strada di Emmaus
è la strada di tutti gli uomini, è la strada
di tutti noi, la strada dove Gesù
si accompagna a noi.
Ora vorrei aggiungere che sulla
nostra strada, sul percorso dei nostri dolori
e delle nostre gioie, c’è sempre
la presenza dolcissima di Maria.
Non pensate che Maria partecipi
soltanto al nostro pianto, alle tristezze che
tutti incontriamo, Maria
partecipa anche alle nostre gioie.
Allora, la maternità di Maria è
una maternità capace di godere dolcemente
con coloro che godono.
Maria non attende le occasioni
della sofferenza per avanzare verso di noi,
non attende i momenti dolorosi
per farsi vicina.
Essa ci offre la sua materna
partecipazione, la sua celeste tenerezza, anche
nei momenti della nostra gioia.
Essa implora l’intervento del suo
Divino Figliolo non solo quando spera di
evitarci la croce, ma anche
quando spera di ottenerci una gioia.
Essa è non solo la; “Consolatrice degli afflitti”, ma è anche la; “Causa
della nostra gioia”, è Colei che
chiede al Signore di trasformare l’acqua
in vino affinché la nostra festa
sia piena.
Maria è la Madre di tutti i
miracoli di Gesù sulla nostra strada.
E come là, nel Cenacolo, Essa
brilla sulle tristezze e sulle gioie della Chiesa
nascente, possa Essa altrettanto
brillare sul nostro cammino di fedeli!
Concludendo, si è detto che viene
per tutti l’ora del buio interiore,
del dubbio e della delusione
amara.
È questa l’ora di Emmaus ed è
l’ora in cui Cristo, con dolcezza e tenerezza,
ci accompagna suscitando in noi
il desiderio e la nostalgia di comprenderlo,
il bisogno di sentirci ardere il
cuore.
Anche noi abbiamo bisogno che la
nostra mente si apra, perché anche noi
siamo stolti e tardi di cuore.
Anche noi stentiamo ad accogliere
pienamente la parola di Dio e a farla nostra.
Facciamo un esempio, quanti di
noi possono dire di essere riusciti a leggere
e a capire tutto il Vangelo, e
sentirsi in armonia con quello che si è letto.
Spesso invece non è così.
Anche nel Vangelo ci sono pagine
che non siamo riusciti a fare nostre del tutto.
Perché? Perché siamo tardi di
cuore!
Tardi a capire Gesù che ci rivela
il Padre.
Ogni pagina del Vangelo trabocca
di amore, ma noi non ce ne accorgiamo,
non ne facciamo tesoro.
Per fare un esempio; prendiamo la
parabola della vigna.
A voler essere sinceri, un pò di
ragione gliela diamo a quei poveri operai
della prima ora, scontenti di
vedersi retribuire come quelli dell’ultima ora;
“Stolti e tardi di
cuore, potrebbe dire anche a noi Gesù”.
E siamo davvero duri di cuore,
altrimenti ci sarebbe facile comprendere il
cuore del padrone della vigna; ai
tempi della parabola, la paga giornaliera
di un operaio dei campi bastava
appena a sfamare le necessità di una famiglia;
il padrone della vigna volle
promettere il giusto agli operai della prima ora,
ma volle andare incontro anche a
quei poveri disgraziati che non avevano
trovato nessun lavoro per quel
giorno.
Ecco, quella parabola
la dovrebbero leggerla per bene i nostri governanti,
ora che siamo nella
stessa situazione di quei disgraziati che il padrone della
vigna gli diede il
salario anche se avevano lavorato una sola ora!
Chi avrebbe sfamato quelle bocche
se il padrone, invece di averne pietà,
li avesse pagati solo con una
miseria?
Egli fu benevolo con tutti coloro
che aveva trovato sulla sua strada,
sia i fortunati della prima ora
che gli sfortunati dell’ultima ora.
Fu ugualmente buono con tutti,
perché essi avevano tutti uguale dignità
e uguale diritto ad essere
sfamati.
E noi, stolti di cuore, siamo
così cattivi da giudicare ingiusto che gli
sfortunati vengano sfamati come
noi?
Siamo così cattivi da giudicare
giusto che mentre noi ci sfamiamo,
gli altri restino affamati?
No, noi non sappiamo cos’è amare
ne cos’è essere giusti.
Un altro esempio.
Pensiamo al fratello maggiore del
figliol prodigo, pensiamo ai rimproveri
che lui rivolge al padre: “Non c’erano stati vitelli grassi e feste per lui”.
Per la verità, credo che questi
rimproveri sarebbero usciti anche dalla nostra
bocca se fossimo stati al posto
di quel figlio maggiore.
Duri di cuore davvero anche noi.
Perché noi non soffriamo nel
vedere un’anima perdersi e abbruttirsi nel peccato,
non soffriamo per un’anima che si
rovina nella corruzione e nel vizio; non ci
sentiamo feriti quando un fratello
ferisce Dio, quando pecca contro Dio.
Se avessimo sofferto quanto
soffrì il padre per quel figlio traviato, per quella
coscienza distrutta, per quella
purezza infangata, avremmo fatto festa con
il padre, con la stessa gioia di
lui!
Avremmo gioito anche noi per il
ritorno del fratello prodigo, avremmo esultato
anche noi ad ascoltare quella
confessione, quel pentimento: “Padre, ho
peccato contro il
cielo e contro di te; non sono più degno”.
Ma noi siamo tanto cattivi da
pensare ai vitelli grassi quando c’è un’anima
che si salva!
Noi non sappiamo amare, amiamo di
più quelle cose che si devono amare di
meno e amiamo di meno le anime,
che invece a Dio premono più di tutto.
E gli esempi potrebbero
continuare.
Preghiamo allora, che Gesù non
scompaia in noi, come scomparve alla vista
dei due discepoli di Emmaus, che
Gesù resti con noi oltre il declino; che resti
con noi perché non si faccia sera
nella nostra anima, che resti con noi per
educarci alla sapienza del cuore;
che resti con noi, Lui, che ha preso un volto
per mostrarci il volto del Padre,
Lui che ci ha parlato per farci intendere la
Parola del Padre, Lui che si è
squarciato il cuore per farci intravedere il cuore
del Padre, Lui che ha avuto un
solo desiderio, sempre presente, riportare tutto
e tutti al Padre, nel seno del
Padre suo e nostro.
Rimani con noi, Signore! Non
tramontare!
E sarà la nostra conversione alla
gioia!
Amiamo amici,
prendiamo esempio dal Signore e da Maria, magari anche
noi possiamo aiutare
chi soffre con la nostra vicinanza, Fausto.
E visto il successo che
hanno avuto queste mie meditazioni, pensavo di mettere
anche le mie
riflessioni, che a causa delle nostre sofferenze, mi hanno portato
ad amare quella
bellissima Parabola di Gesù: “Il figliol prodigo”, perciò,
datemi qualche giorno
di tempo e poi le metterò sulla mia pagina, intanto preghiamo.
Padre nostro che sei
nei cieli, sia santificato il
tuo nome, venga il tuo
regno, sia fatta la tua
volontà come in cielo
così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a
noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri
debitori, e non ci
indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
Amen.
Ave, o Maria, piena di
grazia, il Signore è con te.
Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto
Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto
del tuo seno, Gesù.
Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori,
adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori,
adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel
principio, ora, e sempre,
nei secoli dei secoli.
Amen.
Buona giornata, Fausto.