sabato 22 ottobre 2022

Il Vangelo di Domenica 23 Ottobre 2022

 

Della 30° Domenica del Tempo Ordinario.

San Giovanni da Capestrano, sacerdote.

Prima Lettura

La preghiera del povero attraversa le nubi

Dal libro del Siràcide (35,15b-17.20-22a)

Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone.

Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell’oppresso.

Non trascura la supplica dell’orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento.

Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi.

La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata;

non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione

ai giusti e ristabilito l’equità.

Parola di Dio.

Seconda Lettura

Mi resta soltanto la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (4,6-8.16-18)

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento

che io lasci questa vita.

Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.

Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto,

mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che

hanno atteso con amore la sua manifestazione.

Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi

hanno abbandonato.

Nei loro confronti, non se ne tenga conto.

Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare

a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così

fui liberato dalla bocca del leone.

Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo

regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Parola di Dio

Vangelo

Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.

Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14) anno C.

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano

l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono

come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.

Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi

al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché

chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Parola del Signore.

Meditazione personale sul Vangelo di oggi.

Non si può pregare Dio e disprezzare il fratello.

Non ci si può rivolgere a Lui e giudicare il peccatore.

Non si può entrare nel tempio ed adorare il proprio ego spirituale.

Non si può stare al cospetto di Dio e non riconoscerlo e amarlo nel volto

del peccatore.

Non si può dirsi discepoli e augurare la morte ai profughi che annegano

nel nostro mare Mediterraneo.

Non scherziamo.

Siamo tutti lebbrosi e tutti chiediamo la compassione che troppo spesso

il mondo ci rifiuta.

La crisi che addenta l’occidente ha fatto una prima vittima; la speranza.

La lotta quotidiana (in questi tempi di guerra) per andare avanti rischia di

inaridire il nostro cuore, di renderlo indurito e rabbioso.

Come accade nella nostra Italia alle prese con il problema energetico,

è sempre più aggressiva.

Siamo tutti lebbrosi e Cristo ci guarisce.

Non andando al tempio, non rifugiandoci in una religiosità della cerimonia

e della devozione, ma andando direttamente a Cristo la Parola incarnata.

Allora diventiamo capaci di ringraziare (letteralmente eucaristizzare,

di scoprire in Cristo lo sposo dell’umanità).

Ma per tornare indietro, per convertirci, dobbiamo fare spazio nel cuore.

Riconoscere l’abisso che ci abita.

Ma non ditelo al fariseo.

I farisei erano devoti alla legge, cercavano di contrastare il generale

rilassamento del popolo di Israele, osservando con scrupolo ogni

piccolissima direttiva della legge di Dio.

Bella gente, poche storie.

Certo, il fariseo ci sembra arrogante ma, in realtà, è solo pieno di zelo.

L’elenco che il fariseo fa, di fronte a Dio, è corretto; per zelo il fariseo paga

la decima parte dei suoi introiti, non soltanto, come tutti, dello stipendio,

ma finanche delle erbe da tisana e delle spezie da cucina!

La legge prevede un giorno di digiuno all’anno, ma lui digiuna per due giorni

a settimana, anche per coloro che non digiunano.

Ogni buon parroco vorrebbe avere, tra i suoi parrocchiani, almeno un fariseo;

il decimo dello stipendio riempirebbe in fretta le casse della Parrocchia!

Qual è, allora il problema del fariseo?

Semplice, dice Gesù, è talmente pieno della sua nuova e scintillante identità

spirituale, talmente consapevole della sua bravura, talmente riempito del suo ego

(quello spirituale, il più difficile da superare), che Dio non sa proprio dove mettersi.

Non ha bisogno di essere salvato, non riconosce la lebbra ma ostenta davanti

a Dio il suo luccicante stato di buona salute spirituale.

Peggio; invece di confrontarsi con il progetto (splendido) che Dio ha su di lui

(e su ciascuno di noi), si confronta con chi fa peggio, con quel pubblicano, lì in

fondo, che non dovrebbe neanche permettersi di entrare in Chiesa.

Questo è il nocciolo della questione; avviene che ci mettiamo-sul serio!-alla

ricerca di Dio.

Desideriamo profondamente conoscerlo, diventare discepoli, ma non riusciamo

a creare uno spazio interiore sufficiente perché egli possa manifestarsi.

Con la testa e il cuore ingombri di preoccupazioni, di desideri, di pensieri,

concretamente non riusciamo a fargli spazio.

Oppure accade che, dopo un’esperienza fulminante, che so, un ritiro, un

pellegrinaggio, sentiamo forte la sua presenza, ma, una volta tornati a casa,

la nostra testa viene riempita dalle preoccupazioni di questo mondo.

Non è solo il problema dell’orgoglio.

È proprio una complicazione dell’esistere, una vita che non riesce ad uscir

fuori dal buco nero in cui si è infilata.

Diventerò (ancora più) antipatico a qualcuno, pazienza.

Ma devo necessariamente darvi, per deontologia professionale, alcuni

suggerimenti da pubblicano.

Se non riesco a ritagliare nella mia giornata un quarto d’ora di assoluto relax,

di vuoto mentale, magari dopo una bella corsetta, o una passeggiata nel parco,

se non faccio silenzio intorno (spengo la tivù, stacco il cellulare), se non

prevedo, almeno d’ogni tanto, una pausa di una giornata non passata, al solito,

in coda in autostrada per andare a riposare farò fatica a trovare un luogo in cui Dio sta.

Lo so, coppie che leggete, oggi resistere costa fatica; la giornata è stracolma di

impegni indispensabili per sopravvivere e i figli piccoli complicano ulteriormente

le cose.

Non abbiamo spazio per l’interiorità, questo è il problema.

Il pubblicano, invece, di spazio ne ha tanto.

Il denaro che ha guadagnato con disonestà, l’odio dei suoi concittadini

(è un collaborazionista!), l’impressione di avere fallito le sue scelte, creano

un vuoto dentro di lui, un vuoto che Dio saprà riempire.

Consapevole dei suoi limiti, li affida al Signore, chiede con verità e dolore,

che Dio lo perdoni. E così accade.

Esiste un modo di vivere e di essere discepoli pieno di arroganza e di ego

smisurato, pieno di certezze da sbattere in faccia agli altri (basta vedere il

livello dello scontro politico ed ideologico che viviamo e non solo!)

Esiste un modo di vivere e di essere discepoli colmo di ricerca e di umiltà,

di voglia di ascoltare e di capire, di continuare a cercare, pur avendo già

trovato il Signore.

Il Vangelo di oggi ci ammonisce a lasciare un pò di spazio al Signore, a non

presumere, a non pretendere, a non passare il tempo a elencare le nostre virtù.

Siamo tutti nudi difronte a Dio, tutti mendicanti, tutti peccatori.

Ci è impossibile giudicare, se non a partire dal limite, se non dall’ultimo

posto che il Figlio di Dio ha voluto abitare.

Ancora una volta, il Signore chiede a ciascuno di noi l’autenticità, la capacità

di presentarci di fronte a Lui senza ruoli, senza maschere, senza paranoie.

Dio non ha bisogno di bravi ragazzi che si presentano da Lui per avere una

pacca consolatoria sulle spalle, ma di figli che amano stare col padre,

nell’assoluta e (a volte) drammatica autenticità.

Questa è la condizione per ottenere, come il pubblicano, la conversione del cuore.

Certo, amici, se vogliamo essere davvero dei veri discepoli, diventiamo pubblicani,

gettiamo la maschera e affidiamoci a Lui con umiltà, santa Domenica Fausto.