sabato 4 aprile 2020

Il Vangelo di Domenica 5 Aprile 2020


Della Domenica delle Palme.
Prima lettura dal libro del profeta Isaìa (50,4-7)
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi
sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi
strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo
la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.
Parola di Dio.
Seconda lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippèsi (2,6-11)
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio
l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente
fino alla morte e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto
terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo Matteo (21,1-11) anno A. Forma breve.
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte
degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di
fronte a voi e subito troverete un'asina, legata, e con essa un puledro.
Slegateli e conduceteli da me.
E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma li
rimanderà indietro subito».
Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del
profeta: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su
un'asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma».I discepoli andarono
e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l'asina e il puledro,
misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.
La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri
tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada.
La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione
e diceva: «Chi è costui?».
E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazareth di Galilea».
Parola del Signore.
Meditazione personale sul Vangelo di oggi.
Gesù sale su di un asinello che si inerpica deciso sul fianco della collina,
sulla strada che costeggia le imponenti mura, per entrare nella città santa.
La gente lo riconosce, alcuni bambini gli corrono incontro, alcuni tagliano
rami di palma e di ulivo, qualcuno grida “osanna”.
Arriva il Messia, Gerusalemme, arriva il tuo re.
Arriva dal monte degli ulivi, perché di là sarebbe arrivata la salvezza,
cavalcando un puledro d’asina, come profetizzato da Zaccaria.
Re da burla, potente che non si prende sul serio, Gesù entra nella città
che uccide i profeti.
Me lo vedo, il Signore.
Siamo talmente abituati alla morte di Dio, talmente riempiti di riflessioni
e meditazioni, e stanche prediche sulla salvezza, da avere tutto chiaro,
tutto colto, tutto imparato.
Non ci serve null’altro.
Al più qualche emozione resa possibile dalle nuove tecniche, dalla
modernità e dai prodigi della tecnica, una cruenta passione come quella
di Gibson, ma nulla di più.
E assistiamo ancora una volta al dono di Dio come se fosse una cosa dovuta,
un evento banale, quasi abitudinario, presente ma debole, scontato ma inutile.
Peggio; ci fermiamo alla crosta, ascoltiamo e diciamo parole di cui non
conosciamo veramente il significato.
Gesù è morto per noi.
E nessuno sente il bisogno di salvezza.
Egli è morto per i nostri peccati.
E noi stiamo attenti a sottolineare i peccati degli altri.
Ha donato se stesso.
E non sappiamo che farcene di questo dono.
Avessimo il coraggio di tornare a quei giorni, di riviverli, di lasciarci
interrogare e scuotere!
Avessimo il coraggio di osare perforare i Vangeli, di toglierli dalla patina
di incenso che li avvolge per guardare negli occhi il Nazareno che ha
deciso di donarsi fino in fondo.
Lo spettacolo è pronto, tutti i protagonisti sono al loro posto.
Ha inizio la morte di Dio.
Gesù arriva alla fine dei suoi intensi tre anni con un pugno di mosche in
mano; l’umanità non ha capito.
I suoi discepoli, preziosi e amati, sono fermi alla contraddizione del potere
e della gloria e inchiodati al proprio (evidente) limite; i capi religiosi avvertono
la forza destabilizzante della sua predicazione; la folla segue il vento della moda.
Gesù non ha alcuna possibilità di farcela, la sua scommessa è persa.
Non è servito, non è bastato, non è sufficiente tutto l’amore che ha donato.
Forse aveva ragione l’avversario, là nel deserto; troppo ingenuo questo modo di operare.
Davvero Dio pensava di trattare con gli uomini alla pari?
Di aprire il loro cuore col sorriso?
Di presentarsi vulnerabile?
La scelta da fare, ormai, è una sola; andarsene, rinunciare, gettare la spugna.
Occuparsi-chissà-di un altro mondo. Oppure!
Oppure lasciarsi travolgere, sparire e morire.
Lasciare che le tenebre vincano, lasciare che le cose prendano la loro piega, osare.
Osare fino a morire appeso ad una croce, fino all’eccesso.
Altro è dire: “Dio vi ama!”, altro morire.
Altro dire: “Il Padre vi perdona!”, altro pendere, nudo, da un palo. E perdonare.
Una cosa è parlare, un’altra morire. Urlando.
Capiranno, gli uomini?
O Dio sarà uno dei tanti sconfitti della storia, dimenticati?
La posta in gioco è immensa; l’esistenza stessa di Dio.
Quanti crocefissi sono morti nella storia antica?
Cinquecentomila? Un milione?
Di quanti di loro ricordiamo il nome e la vita? Di nessuno.
Il rischio che Dio corre in questo gesto è quello di scomparire per sempre.
L’uomo avrebbe continuato ad immaginarsi Dio con un volto proiettando
in esso i propri desideri. O le proprie paure.
Gesù accetta, rischia, si dona.
Forse sarà tutto inutile, come insinua l’avversario nell’orto degli ulivi.
Forse.
L’agonia di Gesù, nell’orto degli ulivi, l’agonia che lo fa sudare sangue,
è tutta lì, in quella scelta.
Non nel dolore che Gesù deve affrontare, non nel senso di abbandono da
parte dei suoi, no.
Il dolore, inaudito, che Gesù prova, nasce dal dubbio dell’inutilità della
sua scelta definitiva.
L’avversario, che torna ora che è giunta l’ora, cerca di scoraggiarlo: “è tutto inutile”.
Inutile; non vedi che ti stanno venendo a prendere per arrestarti?
Inutile; i tuoi stanno dormendo, non hanno capito la gravità della situazione.
Inutile; l’uomo non cambierà mai.
Gesù accetta, corre il rischio, si dona. Morirà.
Lì, appeso alla croce, Dio è evidente, inequivocabile, non vi è alcuna
possibilità di ambiguità.
Il cuore della passione di Cristo è l’amore, non la violenza.
Gesù muore affidando al Padre il proprio cuore, e donando a noi lo Spirito.
Dio è evidente; osteso, mostrato, nudo.
Dio è così, amici; arreso.
A noi, ora, la prossima mossa. Siateci, ci chiede.
Un invito sommesso, a chi legge queste righe; siateci amici e io con voi.
Nella povertà delle nostre assemblee, ritagliando spazio e tempo ai nostri
mille pressanti impegni, anche se ora per colpa del virus sono limitati, siateci.
Dobbiamo esserci amici, anche se non possiamo andare in Chiesa a causa
del contagio, possiamo esserci nella intimità della nostra casa, possiamo
esserci chiusi in un delirante colloquio con il Signore, aiutarlo, essergli vicino,
nei suoi momenti di abbandono del Padre.
Sto cercando di aiutarvi in questi giorni, con le mie meditazioni, per essere
un tutt’uno con Lui e, prepararci alla sua e nostra risurrezione.   
Sette giorni che ci accompagneranno, spero, a ridire la nostra fede, a riscoprire
il dono, a cambiare la nostra vita riempita finalmente di amore e, io farò la
mia parte con le mie riflessioni, che da domani vi accompagneranno
fino alla Risurrezione..
Santa Domenica delle Palme amici, Fausto.