Ottava di Natale.
Santa Famiglia di
Gesù, Maria e Giuseppe.
San Giovanni,
Apostolo ed Evangelista.
Prima lettura dal libro
della Gènesi (15,1-6;21,1-3)
In quei giorni, fu
rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non
temere, Abram. Io sono
il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande».
Rispose Abram:
«Signore Dio, che cosa mi darai?
Io me ne vado senza
figli e l'erede della mia casa è Elièzer di Damasco».
Soggiunse Abram:
«Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico
sarà mio erede».
Ed ecco, gli fu
rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede,
ma uno nato da te sarà
il tuo erede».
Poi lo condusse fuori
e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci
a contarle» e
soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».
Egli credette al
Signore, che glielo accreditò come giustizia.
Il Signore visitò
Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso.
Sara concepì e partorì
ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio
aveva fissato.
Abramo chiamò Isacco
il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.
Parola di Dio.
Seconda lettura dalla
lettera agli Ebrei (11,8.11-12.17-19)
Fratelli, per fede,
Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che
doveva ricevere in
eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, anche Sara,
sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare
madre, perché ritenne
degno di fede colui che glielo aveva promesso.
Per questo da un uomo
solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una
discendenza numerosa
come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova
lungo la spiaggia del
mare e non si può contare.
Per fede, Abramo,
messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto
le promesse, offrì il
suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco
avrai una tua
discendenza».
Egli pensava infatti
che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per
questo lo riebbe anche
come simbolo.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo
Luca (2,22-40) anno B.
Quando furono compiuti
i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge
di Mosè, [Maria e
Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per
presentarlo al
Signore-come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio
primogenito sarà sacro
al Signore»-e per offrire in sacrificio una coppia di tortore
o due giovani colombi,
come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme
c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che
aspettava la
consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui.
Lo Spirito Santo gli
aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza
prima aver veduto il
Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito,
si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino
Gesù per fare ciò che
la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse
tra le braccia e
benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o
Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi
hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i
popoli: luce per
rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di
Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Simeone li benedisse e
a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta
e la risurrezione di
molti in Israele e come segno di contraddizione-e anche a te
una spada trafiggerà
l’anima-, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una
profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser.
Era molto avanzata in
età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo
matrimonio, era poi
rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni.
Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
Sopraggiunta
in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del
bambino a quanti
aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero
adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno
in Galilea, alla loro
città di Nàzaret.
Il bambino cresceva e
si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Parola del Signore.
Meditazione personale
sul Vangelo di oggi.
Festa della famiglia, recita la
liturgia.
Festa della famiglia concreta,
reale, da cui provengo e che ho formato.
E di questi tempi, stride e fa
riflettere questa festa, una quasi provocazione che
vola alto sopra le nostre beghe
politiche e sociali, ma soprattutto, sopra questa
crisi sanitaria provocata dalla
pandemia, che ridà spessore al nostro Natale.
Che ci piaccia o no, la famiglia
è e resta il cuore del nostro percorso di vita, della
nostra educazione, spesso è
all’origine di molta sofferenza, di qualche delusione e,
grazie al cielo, d’immensa gioia.
Fa sorridere che Dio abbia
sperimentare l’esperienza famigliare.
Fa riflettere che, per farlo,
abbia scelto una famiglia così sfortunata e complicata.
Stupisce che la Chiesa si ostini
a proporre questa famiglia come modello, dove la
coppia vive nell’astinenza, il
figlio è la presenza del Verbo di Dio, e i coniugi si
ritrovano a scappare a causa
dell’imprevista notorietà del neonato.
Non è nella diversità che
vogliamo seguire Maria e Giuseppe, ma nella loro
concretezza di coppia che vede la
propria vita ribaltata dall’azione di Dio e dal
delirio degli uomini, nella loro
capacità di mettersi da parte, sul serio, senza ricatti,
senza patemi, per inserirsi in un
progetto più grande, quello che Dio ha sul mondo.
Tutti abbiamo dei sogni, dei
desideri, alcuni istintivi, infantili, altri profondi e adulti.
Maria e Giuseppe, per conto loro,
avevano il progetto di stare insieme, di mettere
su famiglia; un buon lavoro
onesto da artigiano per il falegname, una vita dedita
all’organizzazione quotidiana per
la bella Maria.
Poi Dio ha avuto bisogno di loro,
e la loro vita, si è capovolta.
Durante la notte di Natale (perché
Gesù è nato di notte, ed è stato comprovato,
anche se alcuni preti dicono che
nessuno sa l’orario della sua nascita) siamo stati
travolti dal clima di tenerezza e
di consolazione che si respirava.
È bello e giusto che sia così,
bello immaginare gli angeli con l’arpa e i pastori in
ginocchio davanti alla
mangiatoia.
Ma l’indomani mattina di angeli
non c’era più nessuna traccia.
Mentre sono intento a schiacciare
i tasti per quello che sto scrivendo, rifletto su
come si era svegliato quella
mattina Giuseppe, ed ho capito che, ha fatto quello
che qualsiasi padre avrebbe fatto
alla nascita del proprio figlio, ne più ne meno;
questa è la certezza che il
Signore ha voluto venire a condividere le nostre vite.
Me lo vedevo, stropicciato dalla
notte, cercare di accendere il fuoco e poi chiedere
del latte di capra al vicino, e
mentalmente organizzare il rientro a casa senza danni
per il bambino.
Me lo vedevo, quel ragazzo
concreto diventato grande di colpo, cercare di far
fronte alle tante piccole
necessità di un neonato e di una puerpera.
Sorridevo, pensando,
ripercorrendo il difficile percorso della famiglia di Nazareth
costretta a scappare in Egitto.
Chissà quante volte Giuseppe si
sarà chiesto cosa stava succedendo!
Non era forse quello il Figlio di
Dio?
Ma dov’era Dio in tutto quello
che stava succedendo?
La prima riflessione in questa
festa deriva proprio dal tran tran quotidiano
Maria e Giuseppe vivono.
Siamo abituati a considerare il
tempo diviso in feriale e festivo.
Altro è lo scorrere ripetitivo e
noioso dei giorni, altro è l’evento cui ci prepariamo
con gioia intensa; altra la
fatica del lavoro, altra l’ebbrezza delle ferie estive.
Così nella fede, la Domenica, se
riusciamo, ritagliamo cinquanta minuti di messa
e poi, in settimana, siamo
travolti dagli impegni.
Nazareth c’insegna che Dio viene
ad abitare in casa, che nella quotidianità e nella
ripetitività dei gesti possiamo
realizzare il Regno, fare un’esperienza mistica,
crescere nella conoscenza di Dio.
Possiamo (sul serio!) elaborare
una teologia del pannolino, un trattato mistico dei
compiti dei figli, un percorso
spirituale della rateizzazione del mutuo.
La straordinaria novità del
cristianesimo è (appunto) la sua assoluta ordinarietà.
Coppie che avete un figlio
primogenito; la vostra fatica e le notti insonni,
il rapporto faticoso tra voi a
causa della stanchezza e le preoccupazioni, sono
le stesse di Maria e Giuseppe.
Amici che vivete problemi al
lavoro; anche Giuseppe ha passato notti agitate
prima di chiedere un mutuo, per
allargare la bottega da falegname, Dio gli ha
donato solo il Figlio da
mantenere.
Donne che avete consacrato la
vostra vita ai figli; anche Maria ha avuto un velo
di tristezza negli occhi quando
ha visto il suo primo capello bianco.
Dio ha deciso di abitare la
banalità, di colmare lo scorrere dei giorni.
Maria e Giuseppe vedono il
Mistero di Dio che gattona e bordeggia, che passa
le notti piangiucchiando per la
nascita di un dentino.
Mi sono chiesto cento volte
quanta fede hanno dovuto avere questi genitori per
dirsi che quel bambino, identico
a tutti i bambini, era davvero il Figlio di Dio.
Giuseppe spesso guardava, alla
fine della giornata, la sua verginale sposa, imbarazzato
per l’immensità della sua fede,
sentendosi un poco inadatto a tanta meravigliosa tenacia.
Maria, quando portava il caffè a
metà mattinata a Giuseppe con i capelli ricci pieni di
trucioli, benediceva in cuor suo
il Signore per averle dato un compagno così
semplice e vero.
La Santa famiglia c’invita a
guardare gli altri membri della famiglia con uno sguardo
di fede e di luce, scovando il
Mistero nascosto nelle persone che pensiamo statiche
e immutabili.
Non so dire molto altro della
famiglia.
Ma so dire qualcosa di più
sull’amore.
In questi anni ho incontrato
tante persone che mi hanno confidato le loro pene.
Sono assolutamente certo della
verità del Vangelo riguardo al profondo desiderio
che ogni essere umano porta con
sé di essere amato e di amare.
Ma quanto è difficile realizzare
questo amore!
Tutti vorremmo l’amore per la
vita e poter amare con intensità e forza.
Ma ci scontriamo con i nostri e
gli altrui limiti, con le vicissitudini della vita,
come Maria e Giuseppe.
Ho incontrato coppie che vivono
con intensità “dieci” la loro storia.
Ma mi sono accorto che sono molto
di più le coppie che non realizzano il massimo,
dando al loro rapporto molto meno
di “dieci”.
E ho incontrato persone che
vivono il loro amore ampiamente al di sotto della
sufficienza, persone sole che si
dichiarano “non classificate”.
Ma ho conosciuto, anche solo
virtualmente, coppie che si sono amate veramente,
ma che il destino crudele a causa
della malattia, ha diviso almeno qui sulla terra,
ma quella che è rimasta sola o
solo, magari con il suo bambino, sta ancora amando
con intensità il suo lui o la sua
lei, sappiate che anche Maria e Giuseppe, hanno
vissuto il vostro stesso dolore,
(Giuseppe infatti è morto ancora giovane).
Desideriamo talmente amare da
accettare situazioni strane, incomplete, che portano
in sé una forte componente di
dolore.
La buona notizia, amici, è che Dio
lo sa, e ci ama.
A molti solo l’amore di Dio non
basta o desiderano vederlo espresso nel volto di un
compagno o di un figlio.
La buona notizia è che, con il
Natale, con l’incarnazione, anche Dio ora conosce il
desiderio umanissimo di amare e
di essere amato.
Certo amici, lasciamo
che dicano quello che vogliono i nostri benpensanti politici,
che vogliono levare la
paternità e la maternità, molto probabilmente loro, non sono
nati in una vera
famiglia e non hanno mai saputo cosa vuol dire amare ed essere amati
da dei veri genitori.
Noi cristiani invece,
lo sappiamo eccome, perché ce lo ha insegnato la Santa Famiglia
di Nazareth, Gesù
Giuseppe e Maria, buona festa della Santa Famiglia, Fausto.