sabato 21 gennaio 2023

Il Vangelo di Domenica 22 Gennaio 2023

 

Della 3° Domenica del Tempo Ordinario.

San Vincenzo di Saragozza, diacono e martire.

Prima Lettura

Nella Galilea delle genti, il popolo vide

una grande luce.

Dal libro del profeta Isaìa (8,23b-9,3)

In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon

e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa

la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.

Il popolo che camminava nelle tenebre

ha visto una grande luce;

su coloro che abitavano in terra tenebrosa

una luce rifulse.

Hai moltiplicato la gioia,

hai aumentato la letizia.

Gioiscono davanti a te

come si gioisce quando si miete

e come si esulta quando si divide la preda.

Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,

la sbarra sulle sue spalle,

e il bastone del suo aguzzino,

come nel giorno di Mádian.

Parola di Dio.

 

Salmo Responsoriale Dal Sal 26 (27)

Ripetiamo. Il Signore è mia luce e mia salvezza.

 

Il Signore è mia luce e mia salvezza:

di chi avrò timore?

Il Signore è difesa della mia vita:

di chi avrò paura? R.

 

Una cosa ho chiesto al Signore,

questa sola io cerco:

abitare nella casa del Signore

tutti i giorni della mia vita,

per contemplare la bellezza del Signore

e ammirare il suo santuario. R.

 

Sono certo di contemplare la bontà del Signore

nella terra dei viventi.

Spera nel Signore, sii forte,

si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. R.

 

Seconda Lettura

Siate tutti unanimi nel parlare, perché non

vi siano divisioni tra voi.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo

ai Corìnzi (1,10-13.17)

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore

nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel

parlare, perché non vi siano divisioni tra voi,

ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.

Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato

segnalato dai familiari di Cloe che tra voi

vi sono discordie.

Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io

sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io

invece di Cefa», «E io di Cristo».

È forse diviso il Cristo?

Paolo è stato forse crocifisso per voi?

O siete stati battezzati nel nome di Paolo?

Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare,

ma ad annunciare il Vangelo, non con

sapienza di parola, perché non venga

resa vana la croce di Cristo.

Parola di Dio.

 

Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

 

Gesù predicava il vangelo del Regno

e guariva ogni sorta di infermità nel popolo. (Cf. Mt 4,23)

 

Alleluia.

 

Vangelo

Venne a Cafàrnao perchè si compisse ciò che

era stato detto per mezzo del profeta Isaìa

Dal Vangelo secondo Matteo (4,12-23) anno A.

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato,

si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare

a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon

e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto

per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra

di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande

luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di

morte una luce è sorta».

Da allora Gesù cominciò a predicare e a

dire: «Convertitevi, perché il regno dei

cieli è vicino».

Mentre camminava lungo il mare di Galilea,

vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro,

e Andrea suo fratello, che gettavano le reti

in mare; erano infatti pescatori.

E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò

pescatori di uomini».

Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.

Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo,

figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che

nella barca, insieme a Zebedeo loro padre,

riparavano le loro reti, e li chiamò.

Ed essi subito lasciarono la barca e il loro

padre e lo seguirono.

Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando

nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo

del Regno e guarendo ogni sorta di malattie

e di infermità nel popolo.

Parola del Signore.

Meditazione personale sul Vangelo di oggi.

L’inizio della predicazione di Gesù è legata ad un

evento drammatico; l’arresto di Giovanni il battezzatore.

Gesù torna sui suoi passi, ma decide di non andare

più a Nazareth, il piccolo borgo che lo ha visto crescere.

È cambiato, Gesù, il battesimo gli ha dato maggiore

consapevolezza della propria missione.

Si trasferisce a Cafarnao, piccola cittadina sul mare di

Tiberiade, posta al confine fra due regioni, un cittadina

importante, con la guarnigione romana, con la sinagoga,

con gli esattori del pedaggio.

Una città che diventerà il cuore dell’apostolato

del Signore in Galilea.

Non sempre gli eventi negativi sono tali.

A volte momenti difficili ci aprono prospettive che

mai ci saremmo immaginati.

Così nella storia della Chiesa, così nella storia

personale di ognuno di noi.

Dio scrive diritto sulle righe storte.

Gesù, costretto a tornare in Galilea, avrà l’opportunità

di iniziare a predicare dai confini, dagli ultimi, dai perdenti.

Da Zabulon e Neftali, le prime due tribù di Israele

a cadere sotto la dominazione assira, molti secoli prima.

Galilea delle genti.

Nel 733 a.C. le due tribù di Zabulon e Neftali erano

state brutalmente annesse all’impero assiro.

Abbandonate al loro destino, nei secoli avevano

conosciuto vicende alterne, ma una cosa era certa;

la Galilea era diventata il luogo della promiscuità,

del meticciato, della fede approssimativa.

I galilei erano guardati con disprezzo dai puri di

Gerusalemme, nulla di buono poteva venire da

quelle città contaminate.

Al tempo di Gesù da quei territori proveniva il

movimento estremista degli zeloti, al punto

che “Galileo” era sinonimo di “terrorista”.

Esattamente da quel luogo Gesù inizia

la sua predicazione.

Dio è sempre così, preferisce i discoli ai bravi ragazzi,

invita i primi della classe ad uscire e sporcarsi le mani,

obbliga chi lo segue ad andare verso le inquiete frontiere

della storia, piuttosto che serrare i recinti delle false

certezze della fede.

Dio è così, ama il rischio, vuole sporcarsi

le mani, parte ad annunciare il Regno là

dove nessuno lo aspetta.

Né lo desidera.

E così può e deve diventare la comunità cristiana,

capace di uscire dalle chiese per ridare Dio al popolo,

per condividere con esso il cammino.

E così possiamo diventare noi, a imitazione del Maestro,

noi che viviamo nella città, nei luoghi in cui del

cristianesimo sono rimaste pallide tracce culturali,

fra le persone che credono di credere, che vivono

lontane da Dio, pur desiderando conoscere il senso

senza saperlo.

Così siamo noi, meticci, imbastarditi, fragili perché

figli di questo tempo, discepoli sì, ma più nel desiderio

che nella coerenza di vita.

A loro e a noi, Gesù rivolge la Parola. Bruciante.

“Convertitevi perché il Regno si è fatto vicino”.

Sì, così scrive Matteo; è il Regno ad essersi

avvicinato, è Lui, Dio, che prende l’iniziativa,

è suo il primo passo.

A noi chiede di accorgerci, di girare lo

sguardo (convertirsi, appunto).

Dio non esordisce con qualche reprimenda morale,

con qualche sensato discorso teso a suscitare

pentimento e cambiamento di condotta.

Lui, Lui per primo si offre, si dona, rischia.

Dice: “Io ti sono vicino, non te ne accorgi?”.

Accorgersi significa davvero mollare tutto,

lasciar andare i molti affari, le molte cose,

per recuperare l’essenziale, come Pietro, come

Andrea, che diventano-finalmente-pescatori di uomini.

Il Regno è la consapevolezza della presenza

entusiasmante e sorridente di Dio.

Il Regno è là dove Dio regna, dove Lui è al centro.

E la Chiesa, comunità di chiamati e di discepoli

appartiene al regno anche se non lo esaurisce.

A Zabulon e Neftali siamo chiamati a dire: “Dio ti è vicino”.

Non hai nessun merito perché ciò accada;

è iniziativa libera di Dio, tu, allarga il cuore.

Rilassatevi, discepoli che prestate un difficile

servizio ecclesiale con i ragazzi o con le coppie,

tranquilli, amici che vi giocate nel sociale, là dove

l’uomo è meno uomo e dove il dolore domina;

il Regno, Lui si avvicina.

Non dobbiamo salvare il mondo, è già salvo!

È che non lo sa di essere salvo.

E vive nella disperazione.

A noi di renderlo presente, questo Regno, a noi

di vivere da salvati, a noi di diventare

uomini-sandwich del Regno, farne pubblicità,

vivere nella luce della fede in mezzo alle tenebre

che avvolgono Neftali e Zabulon.

Per annunciare che il Regno è vicino, Dio ha

bisogno di noi, proprio là dove siamo.

Chiamati a fare esperienza di fraternità (la

parola “fratello” viene ripetuta quattro volte

in tre versetti!), possiamo lasciare le reti che

ci trattengono (paure, affari, logica mondana),

dobbiamo abbandonare il padre, cioè i legami

del clan, della tradizione, dell’identità di gruppo.

per diventare pescatori di uomini e di umanità.

Siamo chiamati a tirar fuori da noi stessi e dagli altri

tutta l’umanità che Dio ha seminato nei nostri cuori.

Per Israele il mare è luogo oscuro; tirare fuori

i pesci dal mare significa salvarli.

I cristiani non sono a parte, non migliori, né diversi;

hanno lasciato uscire dal loro cuore l’aspetto più

autentico dell’uomo.

E ogni uomo è chiamato a fare un’esperienza di

comunione e di autentica umanità.

Capiamo allora l’energica protesta di Paolo (e poi

ci lamentiamo del brutto carattere di certi cristiani!),

che ammonisce le sue comunità a non diventare

degli ultras da stadio.

Ogni esperienza (movimento, parrocchia, spiritualità)

è strumento e non esaurisce il Regno, il Regno è oltre,

cominciamo a farne parte che va già bene.

Lasciamo le reti che ci trattengono, i pregiudizi

e le paure che ci tengono legati, le incomprensioni

che ci impediscono di essere e raccontare il Regno,

abbiamo ben di meglio da fare!

Lasciamoci guidare, amici, dalla Parola del Signore,

senza paura ma con la consapevolezza che tutto quello

che facciamo è un progetto di Dio, buona Domenica Fausto.