Della 30° Domenica del Tempo Ordinario.
Sant' Antonio Maria
Claret, Vescovo.
Prima Lettura
Riporterò tra le
consolazioni il cieco e lo zoppo.
Dal libro del profeta
Geremìa (31,7-9)
Così dice il Signore:
«Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima
delle nazioni, fate
udire la vostra lode e dite: "Il Signore ha salvato il suo popolo,
il resto
d'Israele".
Ecco, li riconduco
dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra;
fra loro sono il cieco
e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno
qui in gran folla.
Erano partiti nel
pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi
ricchi d'acqua per una
strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono
un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».
Parola di Dio.
Seconda Lettura
Tu sei sacerdote
per sempre, secondo l'ordine di Melchìsedek.
Dalla lettera agli
Ebrei (5,1-6)
Ogni sommo sacerdote è
scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito
tale nelle cose che
riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
Egli è in grado di
sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza
e nell'errore, essendo
anche lui rivestito di debolezza.
A causa di questa egli
deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso,
come fa per il popolo.
Nessuno attribuisce a
se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio,
come Aronne.
Nello stesso modo
Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote,
ma colui che gli
disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì
come è detto in un
altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo
l'ordine di
Melchìsedek».
Parola di Dio.
Vangelo
Rabbunì, che io
veda di nuovo!
Dal Vangelo secondo
Marco (10,46-52) anno B.
In quel tempo, mentre
Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta
folla, il figlio di
Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.
Sentendo che era Gesù
Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide,
Gesù, abbi pietà di
me!».
Molti lo
rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più
forte: «Figlio di
Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse:
«Chiamatelo!».
Chiamarono il cieco,
dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».
Egli, gettato via il
suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse:
«Che cosa vuoi che io faccia per te?».
E il cieco gli
rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».
E Gesù gli disse:
«Va', la tua fede ti ha salvato».
E subito vide di nuovo
e lo seguiva lungo la strada.
Parola del Signore.
Meditazione personale
sul Vangelo di oggi.
Gesù sta per salire a
Gerusalemme.
Meno di trenta chilometri lo
separano dalla sua morte.
L’ultima tappa, Gerico, conclude
la parte centrale del Vangelo di Marco.
Nelle ultime settimane abbiamo
letto i tanti discorsi che Gesù ha fatto ai suoi
discepoli, temi centrali quali il
matrimonio, la sequela, la povertà.
Ma i discepoli, ancora domenica
scorsa, sembrano proprio non capire.
Gerico è l’ultima tappa per i
pellegrini che stanno salendo a Gerusalemme;
perciò, all’uscita della città,
decine di mendicanti si accalcano sperando di
ottenere qualche spicciolo dai
passanti bendisposti.
Fra i tanti Bartimèo, che diventa
modello del discepolo.
Il racconto della guarigione del
cieco è una folgorante metafora del cammino
del discepolo.
Del vero discepolo.
Non come gli apostoli che sono
davvero ciechi, illudendosi ancora di fondare
un regno terreno, minimizzando le
profezie di Gesù riguardanti la sua morte.
Bartimèo è fermo ai lati della
strada, non può far altro che aspettare come molte
persone che incontro oggi,
rassegnate dalla situazione economica, dallo sconforto
esistenziale, da una prospettiva
limitata e asfittica della vita.
Come noi, Bartimèo vive solo di
elemosina.
Finché sente parlare di Gesù.
Non lo conosce, ma qualcuno
gliene parla.
Il desiderio, la curiosità, ora,
prendono il sopravvento.
Prima sussurra, poi grida. Chiede
pietà.
Pietà; non ha luce nel cuore.
Pietà; è paralizzato dalla paura.
Pietà; non sa come fare.
Come quell’urlo ancestrale che
sale dal nostro profondo quando la vita ci
bastona e non ci rassegniamo.
Come quel desiderio che sembra
impazzire in noi quando ci poniamo il
senso della vita.
Come la presa di consapevolezza
di essere mendicanti, di non avere in noi
stessi le risposte.
Silenzio! Bartimèo viene
cortesemente invitato a tacere.
Dagli amici del bar, da quelli
che considerano idiozia la scoperta dell’interiorità,
da quelli che, senza avere
cercato, impediscono agli altri di partire.
Ma anche dai credenti che pongono
paletti e limiti, che pongono condizioni,
che guardano dall’alto delle loro
certezze di fede chi elemosina senso.
Meglio tacere, amici miei,
rassegnarsi.
Dio non è e, se è, non è certo
per quelli come noi.
Invece Bartimèo grida, urla.
Urla la propria angoscia ma per
liberarsene.
E Gesù ascolta e manda qualcuno.
Gesù sceglie di raggiungerci
attraverso il volto di un fratello cui stiamo a
cuore, anche se non ci conosce.
E parla. Coraggio!
Qualcuno, un discepolo, un amico,
un evento, ci ripete: “Coraggio! Alzati, ti chiama”.
Ci fidiamo (i fratelli che ci
invitano ad avere coraggio lo fanno con amore e
disinteresse!), ci alziamo dalle
nostre paralisi, abbandoniamo le nostre
incommensurabili paure, gettiamo
il mantello della lamentela e siamo
raggiunti dal Signore.
Getta il mantello, Bartimèo.
L’unico vestito del povero.
Fa ciò che il giovane ricco non è
stato capace di fare.
Il mantello ripiegato e posto
sulle gambe per raccogliere i pochi spiccioli, vola via.
Balza, il cieco.
Ha intuito, ha capito, ma prima
deve liberarsi.
Spesso gridiamo il nostro dolore
a Dio ma non siamo disposti a fidarci di Lui,
a corrergli intorno, a liberarci
del mantello.
Il dialogo fra il cieco e Gesù
mette i brividi.
Cosa vuoi che ti faccia?
Il Signore, oggi e sempre, ci
chiede cosa vogliamo da Lui.
Potremmo chiedere mille cose;
fortuna, denaro, affetto, carriera.
Chiediamone una sola; la luce.
Luce; che importa avere fortuna
se non sappiamo riconoscere chi ce l’ha donata?
Luce; quanto denaro serve per
colmare il cuore incolmabile di desiderio?
Luce; quante volte l’affetto
diventa oppressione e dolore?
Luce; che ci importa diventare
qualcuno se restiamo tenebra?
E accade; il Signore ci ridà luce
agli occhi e al cuore.
Ora, illuminati, come Bartimèo,
possiamo diventare discepoli.
Bartimèo è rimasto lo stesso, la
sua vita non cambia ma, ora, ci vede, ora sa
dove andare, ora si mette a
seguire Gesù.
Lo segue lungo la strada.
Il cristiano vive le difficoltà e
i problemi di tutti, non è diverso, né migliore,
solo ci vede alla luce del Vangelo.
E le cose non fanno più paura, il
buio è sopportabile, il Signore ci cambia la vita.
Ecco cosa dobbiamo annunciare;
c’è qualcuno che ti ridona luce, che ti
permette di vederci chiaro, e
questo qualcuno è Dio.
I discepoli di Gesù, nei primi
anni, venivano chiamati in diversi modi;
i “Nazareni”, “coloro che seguono
la via” e, ancora, gli “illuminati”.
Non dobbiamo portare una nostra
luce, solo restare accesi, abbracciare stretti
il Vangelo e il Maestro per
ricevere da Lui luce e pace.
Nelle tenebre fitte del dolore
diventiamo capaci di comunicare luce, non la
nostra ma quella del Maestro.
Il cristiano diventa, come Bartimèo,
colui che grida che Gesù, il Figlio di Davide,
lo ha guarito, incurante dei
rimproveri di chi gli sta intorno.
Il cristiano racconta, narra, le
opere di guarigione interiore che ha avuto, attento
più a testimoniare la
straordinaria generosità di Cristo che a soffermarsi sulle
proprie povertà.
Il cristiano è attento
alle mille cecità, ai mille mendicanti di senso e di felicità
che incontra sulla
strada.
Questa luce, in questo nuovo
anno liturgico, dobbiamo imparare a raccontare,
con la nostra vita e la
nostra esperienza, Santa Domenica Fausto.
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