sabato 23 ottobre 2021

Il Vangelo di Domenica 24 Ottobre 2021

 

Della 30° Domenica del Tempo Ordinario.

Sant' Antonio Maria Claret, Vescovo.

Prima Lettura

Riporterò tra le consolazioni il cieco e lo zoppo.

Dal libro del profeta Geremìa (31,7-9)

Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima

delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: "Il Signore ha salvato il suo popolo,

il resto d'Israele".

Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra;

fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno

qui in gran folla.

Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi


ricchi d'acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono

un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito».

Parola di Dio.

Seconda Lettura

Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchìsedek.

Dalla lettera agli Ebrei (5,1-6)

Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito

tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.

Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza

e nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza.

A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso,

come fa per il popolo.

Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio,

come Aronne.

Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote,

ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì

come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo

l'ordine di Melchìsedek».

Parola di Dio.

Vangelo

Rabbunì, che io veda di nuovo!

Dal Vangelo secondo Marco (10,46-52) anno B.

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta

folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.

Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide,

Gesù, abbi pietà di me!».

Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più

forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!».

Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».

Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.

Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?».

E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».

E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato».

E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Parola del Signore.

Meditazione personale sul Vangelo di oggi.

Gesù sta per salire a Gerusalemme.

Meno di trenta chilometri lo separano dalla sua morte.

L’ultima tappa, Gerico, conclude la parte centrale del Vangelo di Marco.

Nelle ultime settimane abbiamo letto i tanti discorsi che Gesù ha fatto ai suoi

discepoli, temi centrali quali il matrimonio, la sequela, la povertà.

Ma i discepoli, ancora domenica scorsa, sembrano proprio non capire.

Gerico è l’ultima tappa per i pellegrini che stanno salendo a Gerusalemme;

perciò, all’uscita della città, decine di mendicanti si accalcano sperando di

ottenere qualche spicciolo dai passanti bendisposti.

Fra i tanti Bartimèo, che diventa modello del discepolo.

Il racconto della guarigione del cieco è una folgorante metafora del cammino

del discepolo.

Del vero discepolo.

Non come gli apostoli che sono davvero ciechi, illudendosi ancora di fondare

un regno terreno, minimizzando le profezie di Gesù riguardanti la sua morte.

Bartimèo è fermo ai lati della strada, non può far altro che aspettare come molte

persone che incontro oggi, rassegnate dalla situazione economica, dallo sconforto

esistenziale, da una prospettiva limitata e asfittica della vita.

Come noi, Bartimèo vive solo di elemosina.

Finché sente parlare di Gesù.

Non lo conosce, ma qualcuno gliene parla.

Il desiderio, la curiosità, ora, prendono il sopravvento.

Prima sussurra, poi grida. Chiede pietà.

Pietà; non ha luce nel cuore.

Pietà; è paralizzato dalla paura.

Pietà; non sa come fare.

Come quell’urlo ancestrale che sale dal nostro profondo quando la vita ci

bastona e non ci rassegniamo.

Come quel desiderio che sembra impazzire in noi quando ci poniamo il

senso della vita.

Come la presa di consapevolezza di essere mendicanti, di non avere in noi

stessi le risposte.

Silenzio! Bartimèo viene cortesemente invitato a tacere.

Dagli amici del bar, da quelli che considerano idiozia la scoperta dell’interiorità,

da quelli che, senza avere cercato, impediscono agli altri di partire.

Ma anche dai credenti che pongono paletti e limiti, che pongono condizioni,

che guardano dall’alto delle loro certezze di fede chi elemosina senso.

Meglio tacere, amici miei, rassegnarsi.

Dio non è e, se è, non è certo per quelli come noi.

Invece Bartimèo grida, urla.

Urla la propria angoscia ma per liberarsene.

E Gesù ascolta e manda qualcuno.

Gesù sceglie di raggiungerci attraverso il volto di un fratello cui stiamo a

cuore, anche se non ci conosce.

E parla. Coraggio!

Qualcuno, un discepolo, un amico, un evento, ci ripete: “Coraggio! Alzati, ti chiama”.

Ci fidiamo (i fratelli che ci invitano ad avere coraggio lo fanno con amore e

disinteresse!), ci alziamo dalle nostre paralisi, abbandoniamo le nostre

incommensurabili paure, gettiamo il mantello della lamentela e siamo

raggiunti dal Signore.

Getta il mantello, Bartimèo.

L’unico vestito del povero.

Fa ciò che il giovane ricco non è stato capace di fare.

Il mantello ripiegato e posto sulle gambe per raccogliere i pochi spiccioli, vola via.

Balza, il cieco.

Ha intuito, ha capito, ma prima deve liberarsi.

Spesso gridiamo il nostro dolore a Dio ma non siamo disposti a fidarci di Lui,

a corrergli intorno, a liberarci del mantello.

Il dialogo fra il cieco e Gesù mette i brividi.

Cosa vuoi che ti faccia?

Il Signore, oggi e sempre, ci chiede cosa vogliamo da Lui.

Potremmo chiedere mille cose; fortuna, denaro, affetto, carriera.

Chiediamone una sola; la luce.

Luce; che importa avere fortuna se non sappiamo riconoscere chi ce l’ha donata?

Luce; quanto denaro serve per colmare il cuore incolmabile di desiderio?

Luce; quante volte l’affetto diventa oppressione e dolore?

Luce; che ci importa diventare qualcuno se restiamo tenebra?

E accade; il Signore ci ridà luce agli occhi e al cuore.

Ora, illuminati, come Bartimèo, possiamo diventare discepoli.

Bartimèo è rimasto lo stesso, la sua vita non cambia ma, ora, ci vede, ora sa

dove andare, ora si mette a seguire Gesù.

Lo segue lungo la strada.

Il cristiano vive le difficoltà e i problemi di tutti, non è diverso, né migliore,

solo ci vede alla luce del Vangelo.

E le cose non fanno più paura, il buio è sopportabile, il Signore ci cambia la vita.

Ecco cosa dobbiamo annunciare; c’è qualcuno che ti ridona luce, che ti

permette di vederci chiaro, e questo qualcuno è Dio.

I discepoli di Gesù, nei primi anni, venivano chiamati in diversi modi;

i “Nazareni”, “coloro che seguono la via” e, ancora, gli “illuminati”.

Non dobbiamo portare una nostra luce, solo restare accesi, abbracciare stretti

il Vangelo e il Maestro per ricevere da Lui luce e pace.

Nelle tenebre fitte del dolore diventiamo capaci di comunicare luce, non la

nostra ma quella del Maestro.

Il cristiano diventa, come Bartimèo, colui che grida che Gesù, il Figlio di Davide,

lo ha guarito, incurante dei rimproveri di chi gli sta intorno.

Il cristiano racconta, narra, le opere di guarigione interiore che ha avuto, attento

più a testimoniare la straordinaria generosità di Cristo che a soffermarsi sulle

proprie povertà.

Il cristiano è attento alle mille cecità, ai mille mendicanti di senso e di felicità

che incontra sulla strada.

Questa luce, in questo nuovo anno liturgico, dobbiamo imparare a raccontare,

con la nostra vita e la nostra esperienza, Santa Domenica Fausto.

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