domenica 12 aprile 2020

Buongiorno amici, voglio condividere con voi in questa giornata una riflessione sulla Resurrezione di Cristo, per capire meglio cos'è e a cosa serve, buona lettura.


La Resurrezione.
Ora amici, cercheremo di capire con l’aiuto degli Evangelisti, cosa è accaduto
dopo il famoso sabato, in cui Gesù è rimasto rinchiuso nel sepolcro, i racconti
si differenziano tra di loro, per questo ve li propongo tutti e quattro,
commentandoli in modo da capire il loro stato d’animo, e magari anche il nostro.
Il dolore d superare.
(leggete il brano di Luca 24,1-12).
Perché cercate tra i morti il vivente?
Vero, troppe persone pensano a Dio come a un cadavere, troppi cristiani si
avvicinano alla fede come si entra in un cimitero; con gran rispetto e in
silenzio, lo sguardo raccolto e meditabondo, ma col desiderio di uscirne il
più in fretta possibile.
L’angelo è visibilmente irritato da quell’atteggiamento, come vedremo
anche in Matteo.
Gesù è vivo, inutile cercarlo nella tomba; Gesù ormai ha superato ogni
dolore, Egli è altrove e presente.
La sua morte dolorosa e violenta è alle spalle, non solo superata, ma dimenticata.
Perché Gesù è morto?
Conosco molte persone devote a Gesù in croce; la meditazione della passione,
nei secoli, ha suscitato grandi conversioni, profonde riflessioni, anch’io quest’anno
come spero avrete letto, ho voluto fare le mie riflessioni; nella croce troviamo la
rivelazione definitiva e inequivocabile del vero volto di Dio.
Il cuore della riflessione è; perché mai Gesù è morto?
Qual’è la ragione ultima della morte di Gesù?
I nostri peccati? Una congiura politica?
Una tragica incomprensione?
Intorno a questa domanda ruota tutta la nostra fede.
Gesù viene a svelare il vero volto di Dio, il volto del Padre.
Questo evento è l’ultimo tassello di un’entusiasmante e originale storia
d’amore fra Dio e il suo popolo, storia vissuta in prima persona da Israele,
tra alti e bassi.
Un Dio che si racconta, che entra in relazione, che ama, che sostituisce
quell’immagine innata e oscura della divinità che portiamo nell’inconscio.
Questa relazione vive momenti esaltanti (da Abramo, attraverso Mosè e Davide,
fino ai profeti), e momenti deprimenti, caratterizzati dalla fatica dell’uomo
a restare fedele all’immagine che Dio svela di sé attraverso i profeti.
Stanco di questo, Dio diventa uomo.
Gesù è il vero volto di Dio, il raccontatore del Padre.
Lo racconta con la sua vita, la sua serena parola, le sue vibranti provocazioni.
Gesù sceglie, all’inizio della sua missione, nel deserto di Giuda, quale
Messia diventare.
Il demonio, con arguto buon senso, lo invita a usare la forza, lo stupore,
il miracolo, l’alleanza col potere, per essere efficace (Matteo 4,1).
Ha ragione, in fondo; se Gesù avesse galleggiato nel vuoto sorretto da angeli,
non sarebbe forse stato riconosciuto come Messia?
Invece no, Gesù sceglie di essere un Messia di basso profilo, un Dio sottotono, mediocre.
Non userà la forza, né compirà prodigi eclatanti, non userà le armi della
seduzione, rifiuterà i trucchi del politico.
Perché Dio vuole essere amato per ciò che è, perché “è”, e non per ciò che dà.
Gesù difende il Padre contro la visione meschina e approssimativa che ne abbiamo.
Ma non bastano i miracoli (ambigui), né la tenerezza (fragile), né la
predicazione (controversa) degli anni di vita pubblica.
Gesù arriva alla fine dei suoi intensi tre anni con un pugno di mosce in mano,
l’umanità non ha capito.
I suoi discepoli, preziosi e amati, sono fermi alla contraddizione del potere e
della gloria e, inchiodati al proprio (evidente) limite; i capi religiosi ne avvertono
la forza destabilizzante; la folla segue il vento della moda.
Gesù non ha alcuna possibilità di farcela, la sua scommessa è persa.
Non è servito, non è bastato, non è sufficiente tutto l’amore che ha donato.
Forse aveva ragione l’avversario, là nel deserto; troppo ingenuo questo
modo di operare.
Davvero Dio pensava di trattare gli uomini alla pari?
Di aprire il loro cuore col sorriso?
Di presentarsi vulnerabile?
La scelta da fare, ormai, è una sola; andarsene, rinunciare, gettare la spugna.
Occuparsi-chissà-di un altro mondo.  Oppure!
Oppure lasciarsi travolgere, sparire, morire.
Lasciare che le tenebre vincano, lasciare che le cose prendano la loro piega, osare.
Osare fino a morire appeso a una croce, fino all’eccesso.
Altro è dire: “Dio vi ama!” altro è morire.
Altro dire: “Il Padre vi perdona!”, altro pendere, nudo, da un palo.
Una cosa parlare, un’altra morire. Urlando.
Una cosa predicare, un’altra vivere fino in fondo ciò che si è predicato.
Capiranno gli uomini?
O Dio sarà uno dei tanti sconfitti della storia, dimenticati?
La posta in gioco è immensa; l’esistenza stessa di Dio.
Quanti crocifissi sono morti nella storia antica?  Tantissimi!
Di quanti di loro ricordiamo il nome e la vita?  Di nessuno.
Il rischio che Dio corre in quell’ultimo gesto, è quello di scomparire per sempre.
L’uomo avrebbe continuato a immaginarsi Dio con un volto identico ai
propri desideri e alle proprie paure.
Gesù accetta, rischia, si dona.
Forse sarà tutto inutile, come insinua l’avversario nell’orto degli ulivi. Forse.
L’agonia di Gesù, nell’orto degli ulivi, l’agonia che lo fa sudare sangue,
è tutta lì, in quella scelta.
Non nel dolore che Gesù deve affrontare, non nel senso di abbandono
da parte dei suoi, no.
Francamente, conosco persone che hanno sofferto molto più a lungo di Gesù.
Io credo che il dolore, inaudito, che Gesù prova, nasca dal dubbio
dell’inutilità della sua scelta definitiva.
L’avversario, che torna adesso che è giunta l’ora, cerca di scoraggiarlo: “Tutto inutile”.
Inutile; non vedi che ti stanno venendo a prendere per arrestarti?
Inutile; i tuoi stanno dormendo, non hanno capito la gravità della situazione.
Inutile; l’uomo non cambierà mai.
Gesù accetta, corre il rischio, si dona. Morirà.
Lì, appeso alla croce, Dio è evidente, inequivocabile, non vi è alcuna
possibilità di ambiguità.
Il cuore della passione di Cristo è l’amore, non la violenza.
Gesù muore affidando al Padre il proprio cuore, e donando a noi il suo Spirito.
Dio è evidente; osteso, mostrato, nudo.
Dio è così, amici; arreso.
A noi, ora, la prossima mossa.
Ma Gesù, è ancora morto?
Risorto, Gesù è vivo, le donne sprecano il loro tempo nel cercare Gesù
per imbalsamarlo.
Meditare la passione può davvero suscitare la fede.
La meditazione sull’amore che ne emerge, sul volto di un Dio che muore
per amore, ha convertito più di un cuore.
Ma, ahimè, non è questa la sola ragione della nostra devozione al crocifisso.
Amiamo il crocifisso, ne siamo coinvolti, turbati, perché tutti abbiamo una
ragione per essere tristi, tutti abbiamo una sofferenza da condividere.
Ma condividere la gioia è un altro paio di maniche!
Quando incontro qualcuno per strada e mi chiede: “Come va?”, se dico: “Non
molto bene, ho avuto una brutta influenza, sono stato dieci giorni a letto”,
abitualmente la risposta è: “Anche a me è successo! Sapessi!”.
Se invece rispondo: “Benissimo, è un periodo fantastico”, ricevo come risposta
un affrettato sorriso.
È più difficile gioire per la gioia di un altro, che soffrire per la sua sofferenza.
Perciò, molte volte, la nostra devozione al Crocifisso è, in realtà, una devozione
alla nostra sofferenza proiettata su Dio.
Non ce l’ho con gli ammalati, ci mancherebbe, rispetto il loro dolore.
Parlo per tutti noi, di tutti gli altri, di tutti coloro che si ostinano a cercare un
crocifisso, non il Risorto!
Se cerchiamo Gesù morto, amici, sbagliamo indirizzo clamorosamente.
Mi chiedo se l’assenza di Dio, che troppe volte lamentiamo, non sia legata
al fatto che cerchiamo un Dio morto e non un vivente.
Ci rivolgiamo a Dio, nella stragrande maggioranza delle volte, in caso
di necessità dolorose.
Quasi mai ascolto come preghiera un: “Senti Dio, ho capito che la vita è un
tuo dono, mi sono innamorato di Te, vedo tutto rosa, oggi mi sento finalmente
bene, vuoi gioire con me?”.
Troppo spesso il Gesù in cui crediamo è morto, e noi pensiamo di fargli un
piacere portandogli degli unguenti per imbalsamarlo!
Gesù è morto quando lo teniamo fuori dalla nostra vita, morto se resta chiuso
nei Tabernacoli delle Chiese senza uscire in strada con noi, morto se la sua
Parola non spacca il mare di ghiaccio che soffoca il nostro cuore.
Morto e sepolto quando la nostra diventa una religione senza fede, un quieto
appartenere alla cultura cristiana senza che il fuoco della sua presenza contagi
la nostra e l’altrui vita; morto se la fede non cambia la economia, la nostra
politica; morto quando ci arrocchiamo nelle nostre posizioni di “cattolici”
scordando il nostro essere uomini.
Morto, amici, morto.
No, Gesù non è morto.  È vivo.
Non “rianimato”, non “vivo nel nostro pensiero”, no, veramente risuscitato
e presente, che ci crediamo o no, che ce ne accorgiamo o no.
Da questa consapevolezza nasce la gioia cristiana.
La conversione alla gioia.
La conversione al Risorto è difficile, difficilissima.
Occorre allontanarsi dal proprio dolore.
Condividere la gioia cristiana significa superare il dolore che ci rende tristi.
Non c’è che un modo per superare il dolore; non amarlo, non affezionarvisi.
La gioia cristiana è una tristezza superata.
Ma, resistenze, dubbi, mancanza di fede pesano sul nostro cuore.
Un’esperienza dolorosa nell’infanzia, una serie di eventi che ci hanno
deluso, possono davvero impedirci di entrare nella gioia cristiana, che
non è un’emozione, ma una scelta consapevole.
Le donne, tornate dagli apostoli, non sono credute, e le loro parole “parvero
ad essi come una allucinazione”!
Siamo in buona compagnia, allora, se anche gli apostoli hanno dovuto
convertirsi alla gioia!
Anche gli Apostoli hanno una fatica immensa, per staccarsi definitivamente
dal loro dolore e dalla tragica esperienza della croce e del loro fallimento!
E pensare che, per loro, Gesù si farà vedere e li incoraggerà continuamente!
Se hanno tribolato loro, così avvantaggiati!
Animo, cercatori di Dio, la più difficile conversione (dopo quella dal Dio
che abbiamo nella testa al Dio di Gesù) è proprio quella da una visione
crocifissa della fede a una risorta!
Gli apostoli dubitano; solo Pietro va a verificare; guarda, stupito,
e torna a casa meravigliato, ma non convinto.
Il verbo usato nella lingua originale, indica insieme stupore e domanda.
È già qualcosa, ma non è ancora fede; non bastano, un sepolcro vuoto
e le bende per suscitare la fede.
Occorre un’esperienza personale del Risorto.
E Pietro ne sa qualcosa!
La pietra che ci impedisce di gioire. (leggete il brano di Matteo 28,1-8).
Il protagonista della scena di Matteo, l’unico Evangelista che si mette a
descrivere (maldestramente) l’indescrivibile con tanto di terremoto e l’angelo.
Adoro quest’angelo, è troppo forte!
Come ve lo immaginate quest’angelo amici?
Scende, ribalta la pietra che chiude il sepolcro, si stende a prendere il sole
sulla pietra, esegue la sua commissione, poi, con fare da prendere per il sedere,
dice: “io ve l’ho detto”; come a dire: “Non venite a lamentarvi con me, questo
dovevo dirvi e questo vi ho detto, ora sono affari vostri!”.
Sperando di non far vacillare la fede di nessuno, se vi dico che m’immagino
questo angelo diverso dalle rappresentazioni della storia dell’arte.
Ma me lo vedo in jeans e giubbotto di pelle, con un paio di occhiali da sole.
L’angelo con gli occhiali da sole.
Questa trovata è uscita da una bambina, che si stava preparando alla prima
comunione, una Domenica al Santuario dell’Amore Misericordioso, erano
bambini di una parrocchia vicino a Roma con il loro parroco, io dovevo
spiegargli il perché Gesù è sulla croce, secondo Madre Speranza.
Poi andiamo a visitare il presepe, e davanti alla Crocifissione, sepoltura e
Resurrezione di Gesù, chiedo che qualcuno mi dia un’idea, di quello che
stavamo osservando.
Questa bimba mi spiega; vedo una grande luce che emana Gesù dalla Croce,
non lo vedo disperato e moribondo, ma vivo.
Ma una grande luce esce anche dal sepolcro vuoto; è il segno che Gesù non
è più li dentro, perché la pietra era stata ribaltata, altrimenti come faceva ad
uscire da solo Gesù, con tutte quelle bende che gli avevano messo addosso.
E sulla pietra c’è un angelo, lo vedo con i jeans e gli occhiali da sole.
Poi mi dice: “Quì hanno sbagliato qualcosa, perché l’angelo per forza doveva
avere gli occhiali da sole”.
Sono rimasto perplesso; e lei fattasi seria mi dice: “Comunque è vero,
gli occhiali da sole servivano.
Perché c’era un sacco di luce! Insomma, un angelo scanzonato.
Non serve che vi dica che, l’ho presa in braccio e l’ho stretta forte
con gli occhi lucidi.
Lo so, siamo abituati a vedere gli angeli dei nostri grandi artisti, ma ci sono
anche gli angeli rapper, per capirci, quelli che vanno in discoteca; (credo lo
sappiate che ognuno di noi ha il suo angelo, compresi i nostri ragazzi, e allora
quando loro vanno in discoteca gli angeli se ne stanno fuori al freddo?
No, entrano anche loro per seguirli da vicino.
Osservate bene la scena.
Gli altri evangelisti ci raccontano che la ragione dell’ansia delle donne è la
grossa pietra posta a sigillo del sepolcro.
Come spostarla?
Una pietra grande, posta proprio per evitare che Gesù uscisse.
Molti di noi abbiamo una pietra che impedisce a Gesù di risuscitare, una pietra
che non riusciamo proprio a spostare, un ostacolo insormontabile, una
considerazione che ci impedisce di gioire, di convertirci alla gioia.
Qual è la tua pietra, qual è la vostra pietra?
Quale il vostro dolore nascosto?
Forse un trauma subito da piccoli, forse due genitori che non ti hanno amato
abbastanza, o troppo, forse lo scontro con il tuo limite, una delusione
amorosa, un difetto insormontabile!
Insomma, quella cosa in cui passate il tempo a dire: “Se fosse diverso, allora
sarei felice”, e che vi vela di tristezza anche la gioia più autentica.
Guardatela bene la vostra pietra, misuratene il peso, ammettete che rimuoverla
è al di sopra delle vostre forze.
Insomma, non facciamo come questo mondo idiota in cui viviamo, che ci fa
credere che la pietra non esiste, o ce la fa colorare o decorare coi fiocchi;
praticamente ce la nasconde, o ci vende la soluzione del problema.
Non cercate, come viene istintivo, di nascondervi agli altri, di mettervi davanti
qualche ficus benjamin per coprirvi.
No, amici, dobbiamo avere il coraggio di chiamare per nome e cognome
l’origine della nostra insoddisfazione.
Nella fede occorre sempre partire dal reale, dal concreto, anche quando è
difficile da accogliere e da accettare.
La pietra, dunque, è quella situazione che ti sta sullo stomaco, quella fatica
che ti impedisce di gioire, quell’ostacolo (reale), che reputi insormontabile.
Bene; l’angelo la ribalta e ci si stende sopra a prendere il sole.
Non è fantastico?  No, per niente! Scanzonato di un angelo!
Arrivo lì, con faccia da venerdì santo di circostanza, consapevole del mio limite,
triste da far paura; e lui si abbronza disteso proprio sulla mia pietra.
E mi dice: “Scusa, qual’era il problema che t’impediva di gioire?
Quella roba che ti bloccava e ti faceva disperare?
Quella cosa che ti aveva per sempre rovinato la vita?
Questa qui sotto? Sto sasso? Ma dai!”.
Cos’è amici; che vi devo dire; anch’io ho la mia pietra e sono sempre in perenne
conflitto con il mio angelo e, lui cosa fa; se ne sta sempre seduto sulla mia pietra!
Ho visto fratelli e sorelle portarsi nel cuore delle ferite insanabili, dei crateri;
ho visto fantasmi orribili girovagare nel loro inconscio; ho visto fratelli e sorelle
incapaci di guarire e di gioire, persi nel delirio dell’eroina o della violenza; e poi
li ho visti ribaltati, loro e le loro pietre. E rinascere.
Non è facile; per rinascere bisogna muoversi, salire al sepolcro delle proprie
paure e del proprio passato, senza illusioni, sapendo che, comunque,
le cicatrici della paura resteranno appiccicate all’anima.
Ma rinascere è possibile.
È possibile perchè la potenza della risurrezione può davvero contagiare
e guarire una vita.
La tua, la mia, la vostra. Se volete. Io ve l’ho detto!
Il messaggio dell’angelo è analogo agli altri evangelisti: “Gesù è vivo,
piantatela di piangere, riferite agli altri di darsi una sveglia”.
Poi la conclusione: “Io ve l’ho detto”.
Probabilmente, Dio Padre ha mandato per quest’annuncio uno degli angeli
più esperti del mestiere; perciò l’angelo è così pessimista!
Frequentare gli umani provoca, negli angeli, una reazione nervosa, suscitata dalla
risposta ottusa e dal dubbio di noi uomini, atteggiamenti che fanno fatica a capire.
Solo per restare nell’ambito del Vangelo, pensate al povero Zaccaria, papà di
Giovanni Battista, che a causa di un leggerissimo ritardo nella risposta (andatevi
a leggere Luca 1,5-25), si è ritrovato muto per nove mesi.
Quindi, se vi capitasse di incrociare un angelo nella vita, imparate da
Maria (Luca 1,26-38), per non correre il rischio di fare brutte figure, e per
non suscitare una rispostaccia da parte dell’angelo.
Dicevamo; l’angelo è abbastanza abituato ad avere a che fare con noi umani,
conosce i nostri limiti, la mancanza di fede, il dubbio e le lentezze nella risposta.
Perciò, dopo avere fatto la sua bella commissione, l’angelo declina ogni
responsabilità riguardo all’atteggiamento delle donne.
Questo spesso accade, nella vita, a me per primo!
Dio ci indica la strada, condivide i suoi sogni, ci mette a parte dei suoi progetti
e noi niente, nulla, encefalo piatto, incredulità a mille!
Insomma; anche Dio fa quel che può.
Avendo avuto la geniale e discutibile idea di crearci liberi, Egli si trova il più
delle volte, di fronte ad una risposta contorta e dubbiosa.
Che sia questo malfunzionamento della comunicazione all’origine di tante
incomprensioni con Dio?
Se le donne fossero state zitte (poco probabile) o i destinatari del messaggio,
emeriti maschilisti (come dice due volte Luca), non avessero dato loro retta,
che cosa avrebbe potuto fare di più, Dio?
Scoop giornalistico! (andate a leggere il brano di Matteo 28,9-15).
Ovvio, scontato, dovuto.
Figuriamoci se non dovevano intorbidire le acque già così torbide.
Gesù vivo?   Ma siete scemi?
Andiamo, uomini del luminoso ventunesimo secolo, che andate massicciamente
dai cartomanti e leggete l’oroscopo, ma considerate pie leggende tutto ciò
che riguarda Dio!
Gesù non è risorto. Nooo?
Rianimato (il freddo della roccia pare), rubato dagli apostoli (può essere; se li
beccano li ammazzano, sono tutti dei conigli, li vedete combattere coi soldati
per riprendersi un cadavere?, io sinceramente no, ripresosi e andato in giro in
India a fare il guru, visto l’aria che tira in Palestina, vivo, sì, ma nei nostri
ricordi e nelle nostre nostalgie.
Insomma; se volete smontare il cristianesimo, negate la risurrezione.
Potete farlo, lo fanno in molti, lo hanno fatto un quarto d’ora dopo la risurrezione.
Matteo, che scrive questa pagina forse trent’anni dopo gli eventi, dice che
quella diceria si era diffusa fino a quei tempi.
Tenerissimo, Matteo!
La diceria si è diffusa fino ad oggi, e lo resterà nei secoli!
Perché la risurrezione è questione di fede, non è evidente, mettiamocelo in testa.
Se credete, credete alla testimonianza degli apostoli, delle donne, di chi c’era
e ha trovato una tomba vuota, nulla di più.
Gesù è davvero risorto, che ce ne accorgiamo o no, che lo vogliamo o no,
che lo crediamo o no.
Il problema non è Lui. Siamo noi, e la nostra poca fede.
È un percorso, certo, e invito tutti a farlo.
Convertiti dall’evidenza?
D’altronde è l’evidenza che converte, non la prova, non il miracolo.
Gesù ha sempre usato con parsimonia il miracolo, conoscendone l’implicita
ambiguità, e quando lo ha usato era sempre come sigillo di una Parola detta,
come una conferma autorevole di una buona notizia o buona novella.
Ricordate la resurrezione di Lazzaro (Giovanni 11,1-44)?
Davanti all’evento strepitoso della resurrezione di un uomo palesemente morto
e un pò decomposto, davanti al miracolo dei miracoli, testimoniato da centinaia
di testimoni esterrefatti, alcuni si pigliano la briga di farsi quattro chilometri di
strada da Betania a Gerusalemme, per andare a denunciare Gesù.
No, non è vero che necessitiamo di prove, di evidenza.
La vita è solo in parte evidenza.
La vita è mistero.
Mistero l’amore, il dolore, la noia, la rabbia, mistero la gioia, l’amicizia, lo stupore.
Esiste sempre una dimensione che ci sfugge, pur possedendola.
Come se ci trovassimo a nuotare in un oceano; vi siamo immersi, ne siamo
attorniati, eppure ci sfugge nella sua immensità, nella sua pienezza!
È la fede, la porta di questa dimensione.
Perciò, a parte il tentativo maldestro di Matteo, i discepoli si guardano bene
dal descrivere l’evento della risurrezione.
C’è il dopo, fatto di segni, che coinvolgono l’intelligenza, che interrogano,
che suscitano la fede, ma che non sono evidenti.
Non è di prove che abbiamo bisogno, ma di fede, e di testimoni credibili,
che vivono quel Risorto, che-dicono-ha loro incendiato il cuore.
Siamo sinceri; il nostro approccio alla fede è nell’ordine dell’emotività,
se va bene, e il più delle volte del pregiudizio.
Occorre ribadirlo; la fede cristiana non è frutto della ragione, è e resta
esperienza misteriosa e personale.
Ma, è ragionevole.
Abituati alle soluzioni spicce, a prendere il riassunto dell’editorialista di turno,
non abbiamo più il coraggio della ricerca, la fatica dello scrutare, non abbiamo
più tempo per riflettere, indagare, leggere e ascoltare.
Dobbiamo produrre e consumare.
E così perdiamo la tenerezza di Dio.
Dio è accessibile, evidente, incontrabile.
Ma non è banale, non scontato, non infantile.
Incontrare Dio richiede intelligenza, fatica, disponibilità, ragionevolezza.
Ci vuole un cuore trasparente per poterlo vedere, un desiderio limpido per
poterne assaporare l’immensità.
Animo amici! Coraggio, cercatori di Dio.
Oggi essere discepolo richiede la fatica della ricerca, l’ardire della conoscenza.
Non accontentiamoci del “sentito dire”, non andiamo dietro alla massa
beota dei pregiudizi, informiamoci, chiediamo e leggiamo, dedichiamo tempo
ad approfondire l’aspetto storico e ragionevole della nostra fede; studiamoli
questi Vangeli, non con la curiosità del turista, ma con la passione dell’esploratore.
Il nostro mondo ha bisogno di cristiani motivati, preparati, uomini di fede e di
cultura che vadano al sepolcro di persona, senza dar retta ai soldati di ventura,
o ai profeti di sventura.
Certo amici, bisogna andare al sepolcro e sbattere la testa su quella pietra per
capire, come ho fatto io, poi mi sono anche incavolato, perché, il mio angelo
si è messo a sfottermi e, solo dopo tanto tempo ho capito che aveva ragione,
per questo sono qui oggi a scrivervi queste cose.
Scusate però, se infastidisco il vostro dolore, ma è l’unico modo pratico per
convertirsi alla gioia, anche in questi tempi di paura, di dolore e di dubbi,
convertiamoci alla gioia, perché tutto finirà e se avremo capito il segnale che
il Signore ci ha dato in questo tempo, ritorneremo a vivere serenamente, ad
abbracciarci e ad amarci più di prima, Santa Pasqua nel Signore Risorto Fausto.  
  


Nessun commento:

Posta un commento