sabato 24 giugno 2023

Il Vangelo di Domenica 25 Giugno 2023

 

Della 12° Domenica del Tempo Ordinario.

San Guglielmo da Vercelli, Abate.

Prima lettura.

Ha liberato la vita del povero

dalle mani dei malfattori.

Dal libro del profeta Geremìa (20,10-13)

Sentivo la calunnia di molti: «Terrore

all'intorno! Denunciatelo!

Sì, lo denunceremo».

Tutti i miei amici aspettavano la mia

caduta: «Forse si lascerà trarre in

inganno, così noi prevarremo su di lui,

ci prenderemo la nostra vendetta».

Ma il Signore è al mio fianco come un

prode valoroso, per questo i miei

persecutori vacilleranno e non potranno

prevalere; arrossiranno perché non

avranno successo, sarà una vergogna

eterna e incancellabile.

Signore degli eserciti, che provi il giusto,

che vedi il cuore e la mente, possa io

vedere la tua vendetta su di loro, poiché

a te ho affidato la mia causa!

Cantate inni al Signore, lodate il Signore,

perché ha liberato la vita del povero dalle

mani dei malfattori.

Parola di Dio.

 

Salmo Responsoriale dal Sal 68 (69)

Ripetiamo. Nella tua grande bontà rispondimi, o Dio.

 

Per te io sopporto l'insulto e la vergogna

mi copre la faccia; sono diventato un

estraneo ai miei fratelli, uno straniero

per i figli di mia madre.

Perché mi divora lo zelo per la tua casa, gli

insulti di chi ti insulta ricadono su di me. R.

 

Ma io rivolgo a te la mia preghiera,

Signore, nel tempo della benevolenza.

O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi,

nella fedeltà della tua salvezza.

Rispondimi, Signore, perché buono è il tuo

amore; volgiti a me nella tua grande tenerezza. R.

 

Vedano i poveri e si rallegrino;

voi che cercate Dio, fatevi coraggio,

perché il Signore ascolta i miseri

non disprezza i suoi che sono prigionieri.

A lui cantino lode i cieli e la terra,

i mari e quanto brulica in essi. R.

 

Seconda Lettura

Il dono di grazia non è come la caduta.

Dalla lettera di San Paolo

apostolo ai Romani (5,12-15)

Fratelli, come a causa di un solo uomo

il peccato è entrato nel mondo e, con il

peccato, la morte, così in tutti gli uomini

si è propagata la morte, poiché tutti

hanno peccato.

Fino alla Legge infatti c'era il peccato

nel mondo e, anche se il peccato non

può essere imputato quando manca la

Legge, la morte regnò da Adamo fino

a Mosè anche su quelli che non avevano

peccato a somiglianza della trasgressione

di Adamo, il quale è figura di colui che

doveva venire.

Ma il dono di grazia non è come la caduta:

se infatti per la caduta di uno solo tutti

morirono, molto di più la grazia di Dio,

e il dono concesso in grazia del solo

uomo Gesù Cristo, si sono riversati in

abbondanza su tutti.

Parola di Dio.

 

Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

 

Lo Spirito della verità darà testimonianza

di me, dice il Signore, e anche voi

date testimonianza. (Gv 15, 26b.27a)

 

Alleluia, alleluia.

 

Vangelo

Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo.

Dal Vangelo secondo Matteo (10,26-33) anno B.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:

«Non abbiate paura degli uomini, poiché

nulla vi è di nascosto che non sarà svelato

né di segreto che non sarà conosciuto.

Quello che io vi dico nelle tenebre voi

ditelo nella luce, e quello che ascoltate

all'orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.

E non abbiate paura di quelli che uccidono

il corpo, ma non hanno potere di uccidere

l'anima; abbiate paura piuttosto di colui

che ha il potere di far perire nella Geenna

e l'anima e il corpo.

Due passeri non si vendono forse per un soldo?

Eppure nemmeno uno di essi cadrà a

terra senza il volere del Padre vostro.

Perfino i capelli del vostro capo sono

tutti contati.

Non abbiate dunque paura: voi valete più

di molti passeri!

Perciò chiunque mi riconoscerà davanti

agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti

al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi

rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo

rinnegherò davanti al Padre mio

che è nei cieli».

Parola del Signore.

Meditazione personale sul Vangelo di oggi.

Matteo ha lasciato tutto per seguire il

Signore; nello sguardo del suo Maestro

ha visto l’infinita dolcezza di Dio, il

perdono, la compassione, la misericordia.

Quello stesso sguardo, ora, Matteo è

chiamato a rivolgerlo ai fratelli cui è mandato.

Quel burlone di Dio, vedendo la fragilità

degli esseri umani, sentendo compassione

di tutti noi, vedendoci vagare come

pecore senza pastore, ha pensato bene

di inventare la Chiesa.

Chiesa che è una improbabile comunità di

persone del tutto diverse tra di loro, unite

solo dall’incontro con lo sguardo di Dio,

unite solo dalla passione infinita verso

il Maestro Gesù.

È questo il compito della Chiesa, comunità

di perdonati, non di perfetti; annunciare

ad ogni uomo la tenerezza di Dio.

In un mondo lacerato, confuso, indurito,

sfinito, noi discepoli, uguali e partecipi

delle miserie, diversi perché

misteriosamente riempiti, siamo chiamati

a gridare Dio all’uomo.

Siamo chiamati a gridare sui tetti che Dio

conta anche i capelli del nostro capo,

che Dio non è brutto e incomprensibile

come ce lo raffiguriamo, come troppi

cristiani ancora credono e dicono,

che Dio ama dall’eternità i passerotti

e ne conosce le pene, che Dio,

il Dio di Gesù, è splendido.

Gridarlo sui tetti che Dio è grande, che

Dio ci ama, che Dio è presente, come il

cuore dell’innamorato che, gonfio, vuole

comunicare a tutti la sua esperienza.

All’uomo indifferente e travolto dal caos

della vita, Gesù annuncia il tenero volto

di un Dio che cammina con noi.

Gridatelo sui tetti!, dice Gesù.

Troppe volte, invece, ci vergogniamo

di essere cristiani, ci affrettiamo a

precisare di credere, sì, ma con molte

parentesi, con molte obiezioni, per

non sfigurare davanti alla “modernità”.

Penso a tutte le volte che tentiamo di

fare i cristiani “politicamente corretti”,

quando cediamo ai compromessi per

essere accolti in questo ipocrita mondo

liberale che è liberale solo con chi la

pensa come lui.

Amare Cristo vuol dire amare la Chiesa

fino al sanguinamento, soffrire per le sue

infedeltà, che sono le mie, eternamente

in tensione fra una Chiesa da difendere

di fronte al mondo e un mondo da far

accogliere nel cuore dei discepoli.

È vero; ai giorni nostri, a causa della

globalizzazione, le religioni devono

sopportare il sospetto, terribile, di chi

si appella alla fede per commettere stragi.

Sono contrario, per temperamento e, spero,

per fedeltà al Vangelo, a brandire la fede

come arma per lo scontro di civiltà.

Ma qui, nel nostro indeciso occidente,

in questa Italia superficialmente devota,

in questo paese parzialmente cristiano,

il rischio è l’assenza della testimonianza,

non l’imposizione delle idee.

Abbiamo paura di ostentare la nostra fede,

crediamo di dover giustificare le nostre

convinzioni, temiamo che le nostre ragioni

vacillino davanti al pensiero contemporaneo.

L’idea che la fede sia una concessione

archeologica a soggetti particolarmente

fragili ed emotivi in fondo contagia anche noi.

Ma è così?

Abbiamo bisogno di approfondire la nostra

fede, di scrollarle di dosso la polvere

dell’abitudine e del tradizionalismo,

per riscoprire il volto straordinariamente

umano e compassionevole, credibile e

ragionevole del Dio di Gesù Cristo.

Gridatelo sui tetti!

Non nelle Chiese, non nelle sacrestie,

non al piccolo gregge, ma nella piazza,

al bar, in ufficio e sul lavoro.

La fede è stata a lungo nascosta nei

tabernacoli, senza avere il coraggio di

contagiare la nostra vita.

Non è forse questo il dramma della nostra fede?

Quello di essere timidamente rintanata

in angusti spazio dello Spirito?

Non è forse perché Dio è stato cacciato

dalla nostra economia, dalle nostre scelte,

dalle nostre famiglie, dalla nostra cultura,

per essere idolatrato nel tempo del sacro,

che molti uomini guardano con sospetto

al Vangelo, quasi fosse una rinuncia

alla piena umanità?

Gridiamolo sui tetti questo Vangelo,

facciamocene carico, entriamo nella

compagnia di chi prende sul serio

l’ansia di pienezza che inquieta il Signore.

Intendiamoci però; niente integralismi

in questi tempi di eccessi religiosi,

in cui si soffia sul mai sopito spettro

delle guerre di religione.

Vivere il Vangelo con serietà non porta in

alcun modo ad agire senza il rispetto

stabilito dalla carità.

I cristiani sperimentano il rispetto

assoluto delle idee e dell’esperienza

umana, certo, che convive accanto

all’esigenza di essere riconosciuti

cittadini a pieno titolo, con un’esperienza

forte e ristrutturante della società.

Se in lidi lontani, il rischio è quello di

brandire la fede come un’arma, il

nostro rischio è, invece, l’insignificanza.

Un cristianesimo ridotto ad etica o ad

aiuto sociale perde completamente di

vista l’esigenza di totalità e di

globalità che il Signore vuole da noi.

“L’amore ci spinge”, diceva san Paolo.

È l’amore per Dio e per l’uomo che fa

gridare sui tetti, è la percezione della

salvezza che può riempire i cuori che

ci fa uscire per indicare a chi vive nella

paura e nella solitudine che esiste una

pienezza e che questa pienezza ha il

volto e lo sguardo di Cristo.

Ma fare questo, credetemi, costa.

Costa in sguardi sospettosi, in battute

rispetto all’eccesso di proselitismo, in

giudizi, in manipolazioni (è di moda,

sul lavoro, affibbiare al cristiano molto

più lavoro, perché, pare, sia tenuto

a far favori), in scelte dolorose (in onestà,

rispetto, amore per la vita), in persecuzioni

(chiedetelo ai 25 milioni di cristiani uccisi

durante il luminoso ventesimo secolo!).

Essere cristiani sul serio, costa.

Amici; quanto vi costa essere cristiani?

Nulla? Brutto segno.

Nella fatica della testimonianza il Signore

ci assicura che siamo nel cuore di Dio,

nella pienezza della sua attenzione.

Se ci sentiamo Amati, allora saremo in

grado di gridare il Vangelo con la nostra

vita, per sentirci luce per gli altri,

buona Domenica della luce, Fausto.

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