sabato 8 ottobre 2022

Il Vangelo di Domenica 9 Ottobre 2022

 

Della 28° Domenica del Tempo Ordinario.

San Dionigi e compagni, vescovo e martiri.

Prima Lettura

Tornato Naamàn dall'uomo di Dio, confessò il Signore.

Dal secondo libro dei Re (5,14-17)

In quei giorni, Naamàn [, il comandante dell'esercito del re di Aram,] scese

e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di

Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era

purificato [dalla sua lebbra].

Tornò con tutto il seguito  da [Elisèo,] l’uomo di Dio; entrò e stette davanti

a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele.

Adesso accetta un dono dal tuo servo».

Quello disse: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò».

L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò.

Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare

qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non

intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore».

Parola di Dio.

Seconda Lettura

Se perseveriamo, con lui anche regneremo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (2,8-13)

Figlio mio, ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide,

come io annuncio nel mio vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene

come un malfattore.

Ma la parola di Dio non è incatenata!

Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi

raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.

Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;

se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci

rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare

se stesso.

Parola di Dio

Vangelo

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio,

all’infuori di questo straniero.

Dal Vangelo secondo Luca (17.11-19) anno C.

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono

a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».

Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».

E mentre essi andavano, furono purificati.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si

prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo.

Era un Samaritano.

Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci?

E gli altri nove dove sono?

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio,

all’infuori di questo straniero?».

E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Parola del Signore.

Meditazione personale sul Vangelo di oggi.

Gesù sta salendo verso Gerusalemme, col volto indurito, deciso di rendere

testimonianza al Padre, costi quel che costi.

Non lo sanno, gli apostoli, che il Rabbì già intuisce la deriva della sua

missione e che questa sensazione, invece di abbatterlo, non fa che motivarlo

e spingerlo al dono totale di sé.

Sulla strada gli si fanno incontro dieci lebbrosi che urlano a distanza.

La lebbra è una malattia terribile e devastante, che marcisce il corpo,

lo spirito e le relazioni.

I rabbini dicevano che un lebbroso era come un morto e poteva solo

contaminare chi lo toccava.

E che la lebbra era la massima punizione che Dio infliggeva al peccatore.

Sono dieci.

Dieci sono le dita di una mano, il numero dieci indica, in Israele, la totalità.

Siamo tutti malati, tutti lebbrosi, tutti bisognosi.

Dei dieci uno è straniero, nemico, un samaritano.

Ma la malattia e il dolore accomunano ogni uomo, senza distinzioni

di religione o di etnia.

La sofferenza è e resta l’esperienza più comune del vagare umano.

Urlano il loro dolore, il loro abbandono, il loro lento ed inesorabile imputridire.

Chiedono pietà, la compassione che nessuno offre loro.

E, forse, sperano un un’elemosina.

Gesù chiede loro di andare dai sacerdoti per essere guariti.

A volte Gesù ci guarisce a rate, ci chiede di metterci in cammino per vedere dei risultati.

A volte Gesù, simpaticone, ci chiede di andare da un prete per essere guariti.

È un retaggio dell’antico Israele, quando il sacerdote fungeva anche da ufficiale

medico; solo lui poteva attestare la guarigione e il reinserimento di un lebbroso.

Questa richiesta, da parte di Gesù, indica il suo profondo rispetto per il passato

di Israele, Egli non è venuto a cambiare uno iota o un segno, ma a dare compimento,

a riportare alla propria origine il progetto di Dio.

La guarigione non è istantanea, richiede un cammino, un fidarsi; Dio non ama

i miracoli eclatanti, chiede sempre consapevolezza, cammino, fiducia, mediazione.

Ci vuole tutta la vita per guarire dalla lebbra del peccato e della solitudine.

I dieci vanno e, mentre camminano, si accorgono di essere guariti.

Anche a molti di noi accade di guarire per strada, quando la smettiamo di

porre condizioni a Dio e a noi stessi.

Stupiti, straniti, sconvolti, i lebbrosi guariti adempiono la richiesta di Gesù

e vanno dal sacerdote.

Eccetto uno, colui che non ha tempio, che non ha sacerdoti, non ha religioni ufficiale.

Non sa dove andare il samaritano e torna sui suoi passi.

Il suo tempio, sul monte Garizim, è stato distrutto da un secolo proprio dagli ebrei.

Non ha un tempio dove andare.

Torna al Tempio.

Uno solo torna a ringraziare, pieno di fede.

Gesù, sconfortato, constata che dieci sono stati sanati, ma uno solo salvato.

Una volta guariti, le differenze tornano (mistero dell’umana fragilità!); nove

vanno al tempio e il samaritano, di nuovo solo, senza un tempio in cui essere

accolto, corre dal Tempio della gloria di Dio che è Gesù.

Il samaritano torna indietro lodando Dio a gran voce, non può tacere, urla la

sua gioia, la sua solitudine e la sua emarginazione sono finalmente finiti.

E gli altri? Chiede Gesù.

Nulla, spariti, scomparsi.

Guarire gli uomini dalla loro ingratitudine è ben più difficile che guarirli

dalle loro malattie.

La gratitudine, la festa, lo stupore, sono atteggiamenti connaturali all’uomo,

eppure troppo poco spesso manifestati nella nostra vita.

Siamo tutti molto lamentosi, sempre pronti a sottolineare il negativo che

pesa come un macigno nelle nostre bilance.

Diamo tutto per scontato; è normale esistere, vivere, respirare, amare;

normale e dovuto nutrirsi, lavarsi, abitare, lavorare.

Il nostro sguardo, un pò assuefatto dalle cose scontate e dovute, non sa più

aprirsi alla gratitudine.

Come vorrei vedere uscire dalle chiese-almeno ogni tanto!-qualcuno che

torna a casa lodando Dio a gran voce.

Invece, a Messa la domenica, vedi persone che scappano fuori dalla Chiesa,

frettolosamente, che il sacerdote sta ancora dando la benedizione, che tristezza.

Come vorrei vedere più sorrisi sulle labbra dei cristiani, più lode nelle loro

preghiere, più gratitudine nei gesti di coloro che, guariti dalle loro solitudini

interiori e dalla lebbra che è il peccato, sono anche salvati e fatti Figli di Dio!

Come vorrei, io, peccatore, vedere più le meraviglie di Dio che i miei limiti!

Attenti all’ingratitudine, incontentabili discepoli del Signore.

Essere guariti non significa essere salvati.

I nove ingrati sono la perfetta icona di un cristianesimo molto diffuso, che

ricorre a Dio come ad un potente guaritore da invocare nei momenti di difficoltà.

Che triste immagine di Dio si fabbricano coloro che a Lui ricorrono solo quando

c’è bisogno, che lasciano Dio ben lontano dalle loro scelte, dalla loro famiglia,

salvo poi arrabbiarsi e tirarlo in ballo quando qualcosa va storto nei loro (badate,

non nei suoi) progetti.

I nove sono guariti; hanno ottenuto ciò che chiedevano, ma non sono salvati.

Rimasti chiusi nella loro parziale e distorta visione di Dio, guariti dalla lebbra

sulla pelle, non vedono neppure la lebbra che hanno nel cuore.

Il Dio che hanno invocato è il Dio dei rimedi impossibili, non il Tempio in cui

abitare, il Potente da corrompere e convincere, non il Dio che, nella guarigione,

testimonia che è arrivato il tempo messianico.

Basta la salute?

Basta la salute, certo, la salute è bene prezioso, e va conservato, con uno stile di

vita salubre ed armonioso, ricordandoci che la pace del cuore di chi incontra Dio

e scopre il proprio progetto di vita, apporta anche benessere psicofisico profondo.

Ma non è vero, non basta la salute, ci necessita la felicità.

Gesù ci dice che la salute non è tutto, più della salute c’è la salvezza.

E la felicità consiste nell’aprire il cuore alla gratitudine di un Dio che ci guarisce

nel profondo da ogni solitudine, da ogni dolore.

Certo, amici, non serve a niente andare a Messa perché è un’abitudine, a Messa

dobbiamo andarci con la consapevolezza di incontrarci con il Padre e fare festa

con Lui, senza fretta, Santa Domenica della compassione, Fausto.

 

 

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