Della 5° Domenica di Quaresima.
San Riccardo di
Chichester, Vescovo.
Prima Lettura
Ecco, io faccio una
cosa nuova e darò acqua per dissetare il mio popolo.
Dal libro di profeta
Isaia (43,16-21)
Così dice il Signore,
che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad
acque possenti, che
fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi
giacciono morti, mai
più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono
estinti: «Non ricordate
più le cose passate, non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una
cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel
deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa.
Mi glorificheranno le
bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito
acqua al deserto,
fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto.
Il popolo che io ho
plasmato per me celebrerà le mie lodi».
Parola di Dio.
Seconda Lettura
A motivo di Cristo,
ritengo che tutto sia una perdita,
facendomi conforme
alla sua morte.
Dalla lettera di san
Paolo apostolo ai Filippesi (3,8-14)
Fratelli, ritengo che
tutto sia una perdita a motivo della sublimità della
conoscenza di Cristo
Gesù, mio Signore.
Per lui ho lasciato
perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per
guadagnare Cristo ed
essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non
quella derivante dalla
Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la
giustizia che viene da
Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui,
la potenza della sua
risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi
conforme alla sua
morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.
Non ho certo raggiunto
la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo
di correre per
conquistarla, perché anch'io sono stato conquistato da Cristo Gesù.
Fratelli, io non
ritengo ancora di averla conquistata.
So soltanto questo:
dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò
che mi sta di fronte,
corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere
lassù, in Cristo Gesù.
Parola di Dio.
Vangelo
Chi di voi è senza
peccato, getti per primo la pietra contro di lei.
Dal Vangelo secondo
Giovanni (8,1-11) anno C.
In quel tempo, Gesù si
avviò verso il monte degli Ulivi.
Ma al mattino si recò
di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui.
Ed egli sedette e si
mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i
farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio,
la posero in mezzo e
gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa
in flagrante
adulterio.
Ora Mosè, nella Legge,
ci ha comandato di lapidare donne come questa.
Tu che ne dici?».
Dicevano questo per
metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si
mise a scrivere col dito per terra.
Tuttavia, poiché
insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di
voi è senza peccato,
getti per primo la pietra contro di lei».
E, chinatosi di nuovo,
scriveva per terra.
Quelli, udito ciò, se
ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e
la donna era là in mezzo.
Allora Gesù si alzò e
le disse: «Donna, dove sono?
Nessuno ti ha
condannata?».
Ed ella rispose:
«Nessuno, Signore».
E Gesù disse:
«Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».
Parola del Signore.
Riflessione personale
sul Vangelo di oggi.
Dio non ci punisce, non abbiamo
fatto nulla di male perché il Signore
ci mandi un lutto o una malattia.
Spesso l’origine del dolore siamo
noi, la nostra fragilità, le nostre scelte sbagliate.
Dio non è un concorrente alla nostra
felicità, non ce l’ha con noi, non
dobbiamo allontanarci da Lui per
realizzarci.
Dio non è un padre/padrone da
tenere buono con mille devozioni e mille preghiere.
Dio è un padre che ci aspetta,
che ci rispetta, che ci lascia fare i percorsi e le
esperienze della vita sperando di
non perderci.
Dio è un padre buono che dà del
pane al figlio che gliene chiede, che fa piovere
sui giusti e sui malvagi.
Ci basta per convertirci? Non
ancora?
Ascoltiamo la storia
dell’adultera, allora.
A Gesù viene intessuta una
trappola straordinaria, ammettiamolo.
Una donna (Non ha nome, gli
accusatori non la conoscono, è solo una poco di
buono) viene colta in flagrante
adulterio (E il fedifrago che era con lei?
Non c’è, ovvio.
Maschilismo assoluto venduto per
giustizia) ed è portata davanti al falegname
divenuto Rabbì.
Mosé (Mosé?) ha prescritto che
donne come “quella” vanno lapidate, in modo
che sia chiaro a tutti (alle
donne soprattutto) che è meglio restare fedeli.
Gesù, spiegaci, cosa dobbiamo
fare?
Trappola splendida, davvero.
È il Sinedrio che l’ha condannata
a morte, quando la pena di morte
è riservata ai romani.
Gesù si schiererà con
l’oppressore?
O riconoscerà il giudizio
illegittimo del Sinedrio?
È Mosè che ha prescritto la
condanna a morte; oserà contraddire una legge
divina l’anarchico falegname?
La condannerà, come dice Mosè, e
il padre misericordioso si ritirerà in buon
ordine per lasciar spazio al Dio
giudice?
Una trappola splendida, non c’è che
dire.
Gesù si china e riflette.
Fa ciò che loro non vogliono
fare, compie ciò che ogni legge, ogni giudizio
(anche religioso) deve fare;
chinarsi, cioè piegarsi nell’umiltà e riflettere,
mettere una distanza prima di
esprimere un giudizio.
Scrive, ora, il Nazareno.
Scrive sul selciato del Tempio,
sulla pietra.
La legge scritta nella pietra con
le parole stesse di Dio, incise a fuoco e
consegnata a Mosè è stata
tradita, svilita, asservita a costumi e tradizioni
solo umane, piccine e meschine.
Sì, questa donna ha tradito il
marito.
Ma il popolo di Israele ha tradito
lo spirito autentico della Legge.
Richiama all’essenziale, il
figlio di Dio, riscrive sulla pietra la legge che gli
uomini hanno adattato e
stravolto.
Tutti tacciono, ora.
Gesù, la Parola, parla :”Avete
ragione; ha sbagliato”.
Fate bene ad ucciderla, occorre
essere inflessibili per salvare la Legge.
Nessuno di voi sbaglia, tutti
siete migliori, a nessuno di voi capiterà di fare lo
stesso sbaglio.
Bravi. Ma il primo che non ha
sbagliato lanci per primo la pietra».
Tutti tacciono,
Gesù riprende a scrivere la
Legge.
E ora la legge si incide nei
cuori.
Già, ha ragione il Rabbì.
Se ragioniamo sempre col codice
in mano chi si salva?
Se ci accusiamo gli uni gli
altri, chi sopravvive?
Tutti se ne vanno, ad uno ad uno.
Le pietre restano in terra.
Gesù, ora, è fintamente stupito.
Dove sono tutti?
Lui, l’unico senza peccato,
l’unico che potrebbe a ragione scagliare la pietra, non lo fa.
Chiede solo alla donna di
guardarsi dentro, di recuperare dignità, di volersi più bene.
Gesù non giustifica, né condanna,
invita ad alzare lo sguardo, ad andare oltre,
a guardare col cuore la fragilità
dell’altro e scoprirvi-riflessa-la propria.
No, Dio non giudica.
Ci giudicano la vita, la società,
il datore di lavoro, noi stessi.
Tutti ci giudicano, Dio no. Dio
ama, e basta.
E questa donna viene liberata.
Salvata dalla lapidazione, è ora
salvata dalla sua fragilità. “Non peccare più”
ammonisce Gesù.
Chiesa, amata Chiesa, fatta di
perdonati, non di giusti.
Chiesa abitata da gente che sa
perdonare perché perdonata, che giudica con
amore, senza ferire, guardando
avanti, che indica una strada, non un tribunale.
Quando vivremo del perdono che ci
riempie il cuore, diventeremo trasparenza
di Dio per l’uomo contemporaneo
che cerca, nel suo profondo, amore e luce in una
società che ama solo i bravi e i
giusti e dimentica la verità della nostra fragilità.
In un’Italia orrendamente rissosa
e divisa, in una Chiesa in affanno.
È un fiume in piena l’incontro
con Dio, che fa guardare avanti, come profetizza
il profeta Isaia.
Senza guardare indietro, i
deportati di Babilonia sono invitati a guardare avanti.
Profezia per la Chiesa ripiegata
su se stessa, intenta a difendere privilegi e
posizioni, sempre impegnata a
proteggersi dal mondo esterno invece che a
lasciarsi scuotere dallo Spirito!
Profezia per l’uomo che cerca e
che è ferito dalla vita, invito a guardare avanti,
a credere in una vita diversa,
come fa la povera donna adultera che incontra
l’infinito sguardo di Dio.
Tutto il resto, ci provoca Paolo,
è spazzatura, perdita, di fronte alla conoscenza
di Cristo. Ci basta?
Spero proprio di si,
amici, Santa Domenica del perdono, Fausto.
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