venerdì 3 aprile 2020

Ecco amici come promesso, proseguiamo le mie meditazioni, oggi vi porto in montagna insieme a Gesù, non una semplice montagna, ma una speciale montagna, quella che scandisce la nostra quotidianità in tempo di crisi per colpa del virus; il nostro Tabor.


Col cuore al Tabor.
Sul Tabor c’è sempre un’aria particolare che sembra voler voltare pagine e pagine
di storia davanti al nostro sguardo attraverso le scritture.
Poco tempo dopo il discorso delle Beatitudine, Gesù sale con Pietro, Giacomo
e Giovanni sul Tabor per pregare.
E quì il velo dell’umanità di Cristo si solleva per lasciare intravedere la sua
Divinità; la voce del Padre uscendo dalla nube luminosa, mette il suo sigillo sulla
persona e sulla legge di Gesù: “Ecco il mio Figlio diletto ascoltatelo”.
Sul Tabor, l’umile Rabbì di Nazareth è solennemente conformato dal Padre come
Figlio di Dio, come Messia, il Messia atteso dalla legge dei Profeti.
Cristo è il punto di convergenza di tutta la legge ebraica e di tutta la profezia ebraica.
La legge e la profezia che sono raffigurate nei due personaggi che affiancano il
Signore; Mosè, il depositario dei Comandamenti; Elia, il più grande dei Profeti
hanno il loro centro in Cristo.
Tutta l’antica alleanza punta a Cristo, trova il suo appoggio in Lui, modello
abbagliante per una nuova umanità, via meravigliosa per giungere alla salvezza.
Ascoltatelo!                                                                                                              
È il verdetto che il Padre consegna agli apostoli.
Per noi credenti dunque, l’ascolto di Cristo non è un’opzione; è un comandamento.
L’ascolto di Cristo è alla base di ogni cammino di fede dei cristiani; senza ascolto
non si conosce Gesù, non si entra in comunione con Lui, non si celebra l’Amore.
Il Comandamento che questa montagna riecheggerà per sempre, noi lo vogliamo
riascoltare, lo vogliamo reincidere nei nostri cuori: “Questi è il Figlio mio
diletto, ascoltatelo!”.
“Circa otto giorni dopo i discorsi delle Beatitudini, prese con se Pietro, Giovanni
e Giacomo e salì sul monte a pregare.
E mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne
candida e sfolgorante”.  (Luca 9.28-29)
Il tema della Trasfigurazione è un tema affascinante, ricco di splendore, ricco di
bellezza, ricco di colori e di gloria.
Pensiamo, come mai la liturgia inserisce questa pagina nel corso della Quaresima?
Anzi, proprio all’inizio del cammino quaresimale?
Come mai questo brano di bellezza e di gioia è stato collocato qui, come un
preludio alla passione di Cristo?
È una collocazione che sembra strana, illogica; ma se riflettiamo su alcuni particolari
del racconto evangelico, allora ne comprendiamo la sapienza.
Gli evangelisti ci dicono difatti che Gesù, circa otto giorni dopo aver predetto ai
discepoli che Egli avrebbe dovuto soffrire ed essere condannato a morte, prese
con se Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul Tabor per pregare.
E mentre pregava, il suo volto si trasfigurò e la sua veste divenne candida e sfolgorante.
Ecco amici cos’è la preghiera, una trasformazione sfolgorante del nostro cuore.
Ed ecco due uomini parlavano con Lui; erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria;
e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme.
Gerusalemme, cioè il luogo della passione e del Golgota.
Dunque, anche Cristo ha vissuto la sua trasfigurazione come preludio al suo Sacrificio.
E la voce del Padre, che conferma Gesù quale Figlio diletto, cioè Messia, appare
come sigillo di divinità impresso su profezie di sofferenza e di morte.
Per questo, la Chiesa e la liturgia inseriscono la garanzia della trasfigurazione
nel tempo di Quaresima, quando siamo impegnati a rivivere la passione di Cristo;
la trasfigurazione gloriosa di Gesù sul Tabor deve essere una consolazione e una
preparazione alla Trasfigurazione dolorosa di Gesù nel Getsemani.
Gli stupendi attimi vissuti sul Tabor, avrebbero dovuto essere di sostegno agli
apostoli per l’ora della prova, l’ora della delusione e dello sconforto.
Ma in quell’ora purtroppo quegli apostoli privilegiati e, noi con loro, hanno sentito
il peso della loro umanità, non hanno saputo aggrapparsi alla garanzia del Tabor,
non hanno vegliato con Cristo, non hanno consolato la sua agonia.
Anche noi, nonostante certi attimi di esaltazione e di rapimento, corriamo il rischio
di dormire là, sotto gli ulivi, corriamo il rischio di sentire la stanchezza, l’aridità,
il dubbio; corriamo il rischio di non contemplare Cristo, di non rispondere ai suoi
inviti, alle sue attese, anche noi dopo la pagina del Tabor, siamo incapaci di
accettare la pagina della croce.
Aggrappiamoci allora di più al messaggio della trasfigurazione; prendiamo coraggio da lì.
Ricordiamo, nei momenti gioiosi, che verranno anche momenti di tenebra.
E nei momenti di tenebra, siamo certi che ritornerà la luce a redimere la nostra
sfiducia, la nostra incredulità, la nostra aridità.
Quando siamo tentati di perdere la speranza, pensiamo a questo stupendo flash
del Tabor, che è anticipo, pegno e certezza della gloria che ci attende.
E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti
Divennero candide come la luce.  (Matteo 17.2)
Cerchiamo il tuo volto, Signore!
Ecco, si può dire che abbiamo chiesto veramente ciò che è essenziale al nostro
cammino di credenti; ciò che è essenziale al cammino religioso di ogni uomo.
Ogni uomo cerca il volto di Dio; cerca la sua presenza.
Anche Pietro, quando vide Gesù trasfigurato fu preso da entusiasmo, non ebbe
altro pensiero che quello di aver trovato il volto che cercava, il volto di Dio.
E sperò di costruire una tenda per non perderlo più, per non separarsene più.
Ma Cristo non vuole che noi gli facciamo una tenda, che lo limitiamo ad un luogo.
Cristo sa che la sua strada e il suo posto non sono sul Tabor; sono nel cammino
feriale e quotidiano di ogni giorno, nel grigiore dell’esistenza umana.
Non si è capito il Tabor se non si capisce la discesa dal Tabor, la discesa di Gesù
sui ciotoli della nostra via dolorosa.
Povero Pietro, non comprendesti neppure tu e noi con te.
Quando il bagliore scompare e il Cristo ordinario ridiscese con te sull’asfalto quotidiano,
tu dimenticasti l’esistenza di quel volto luminoso, dimenticasti la sua divinità.
E più tardi tu non vedesti, nonostante la luce della luna che inondava l’orto del
Getsemani, tu non vedesti che quel volto bagnato dal sudore di sangue, era lo stesso
volto del Tabor; non riuscisti a riconoscere lo splendore di quella nuova trasfigurazione.
Riportiamoci sul monte della trasfigurazione amici e, poi discendiamo nell’orto
dell’agonia; il volto che brilla come il sole sul Tabor e il volto che brilla per le
gocce di sangue nel Getsemani è sempre il volto di un Dio che brucia d’amore per
gli uomini, fino a immolarsi per loro.
Cristo è venuto nel tempo per darci il bagliore della sua luce.
Che tempo magnifico è questo tempo della nuova alleanza, il tempo in cui la luce
è data da Cristo che arde d’amore per noi!
Noi cerchiamo il tuo volto Signore!
Ora sappiamo con quale luce d’amore Tu illumini il nostro cammino di cristiani.
Mostraci il tuo volto Signore e, donaci la tua salvezza.
Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui,
facciamo tre tende, una per Te, una per Mosè e una per Elia!”.
Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.
Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi
è il Figli mio prediletto ascoltatelo!” (Marco 9.5-7)
Siamo davanti all’avvenimento centrale della vita pubblica di Cristo; la sua
Trasfigurazione, è un avvenimento raccontato, oltre che da Matteo e da Luca,
anche dall’Evangelista Marco, che è stato lo scrivano di Pietro, il principale
testimone oculare della Trasfigurazione.
Che cosa è stato, questo fatto eccezionale?
Si potrebbe dire che fu uno spiraglio, un flash, che è bastato a illuminare Pietro
sulla divinità di Cristo; tanto che nella sua umanità di uomo semplice e impulsivo
disse a Gesù: “È bello per noi stare qui. Facciamo tre tende”.
Ognuno di noi forse saremo tentati di dire; fortunato Pietro!
Fortunati quei tre apostoli che hanno potuto, sia pure per un istante, contemplare
il volto di Dio, la luce di Dio, il mistero di Dio!
Ma questa è davvero una tentazione: “Vedere Dio!”.
Come se fosse sufficiente per la nostra fede vedere Dio.
Tanto è sufficiente vedere Dio, che questi poveri apostoli testimoni fortunati sul
Tabor, sono gli stessi apostoli che dormiranno nella notte dell’agonia; sono proprio
quelli che deluderanno Gesù; loro, che avevano avuto il privilegio di vedere!
Allora è questo il messaggio del Tabor; dobbiamo ricordare ciò che il Padre dice
dalla nube che splende sopra Gesù; non dice; guardatelo, dice; ascoltatelo!
C’è una profonda differenza tra il vedere e l’ascoltare; il vedere Dio; non appartiene
alla sfera della nostra esperienza terrena, al nostro cammino quotidiano; il vedere Dio;
è il nostro futuro, è il nostro destino; è il domani, quando la nostra visione sarà
veramente una visione beatifica per tutta l’eternità.
Il cammino terreno dei cristiani non è un cammino di estasi, di visioni; è un cammino
di ascolto; perché la fede non è legata alla visione; la fede è legata alla Parola di Dio,
che non è per essere veduta ma è per essere ascoltata.
Capite amici, perché mi piace leggere il Vangelo e commentarlo!
Nei momenti di stanchezza, di mutismo dell’anima e del cuore, non saremo in grado
di emozionarci, di estasiarci, ma saremo sempre in grado di ascoltare la Parola di Gesù,
di osservarla, di realizzarla nella nostra fatica quotidiana.
L’ascolto può sempre essere strumento per la trasfigurazione di questo nostro tempo,
di questa nostra esistenza che scorre veloce, ora per ora, giorno per giorno.
Non fermiamo la nostra nostalgia sui momenti emotivi, sui momenti di entusiasmo,
simili all’entusiasmo di Pietro sul Tabor.
La nostra salvezza, la nostra missione, il nostro compito sulla terra, non è quello di
vedere, ma di “vivere” la trasfigurazione, la nostra trasfigurazione.
E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo. (Marco 9.8).
È un episodio fra i più belli del Vangelo, la Trasfigurazione del Signore.
Ma sul Tabor Gesù si trasfigura solo per il bagliore di pochi istanti, poi,
lo splendore si spegne.
Lo splendore di un attimo doveva insegnare agli apostoli, e quindi a noi, che la
nostra strada non è fatta di festività, di poesia, ma di ferialità e di quotidianità.
La fede non si misura sui momenti di eroismo, ma sull’eroismo di tutti i momenti,
come quello che stiamo vivendo in questo momento.
Si è credenti non perché si va in Chiesa e alla Messa.
Si è credenti quando si vive la Messa.                                                                 
Nei nodi cruciali e nel cuore del nostro vivere quotidiano, c’è una tentazione che
si infiltra, che si insinua in tutti noi; quella di illuderci che la nostra fede possa
respirare soltanto nell’emotività, nell’astrattezza; che possa occupare soltanto un
momento della nostra giornata o della nostra settimana.
Vi dico che, non è così.
La fede è concretezza di ogni istante, è concretezza dura, difficile, che impegna
tutta la nostra capacità di coerenza.
Se di fronte a valori come la fedeltà, la lealtà, la giustizia, il sacrificio, l’onestà,
noi cerchiamo compromessi, magari a costo di macchiarci la coscienza,
allora la nostra non è vera fede.
Ognuno di noi è ateo se non mette Dio sempre al primo posto; perché Dio
deve essere il Primo, l’Assoluto.
La nostra fede ha da misurarsi con la fede di Abramo, che mette Dio al primo
posto, anche quando Dio lo conduce al martirio, lo prova fino al martirio di padre,
richiedendogli il figlio che gli ha donato.
Sulla vetta del Tabor, gli apostoli hanno avuto il dono di scoprire il volto della
divinità di Gesù; di contemplarlo glorioso e splendente tra Mosè ed Elia; hanno
sentito che era bello stare lì, estasiati in quella luce.
Ma poi, improvvisamente, si sono trovati con Gesù solo, il Gesù di tutti i giorni,
con i piedi impolverati come i loro.
E mentre scendevano giù dal monte, Gesù parlava loro della sua Passione
e della sua Morte.
La nube splendente è stata uno sprazzo, un lampo; e subito è ricominciato il
grigiore di una strada dura e difficile,  che portava al Golgota e al Calvario.
Anche il nostro cammino deve prevedere la via dolorosa.
Non è una cosa facile per noi accettare il nostro calvario; ma non basta recitare
il Credo la Domenica e dire con le labbra: “Credo in Dio Padre Onnipotente”.
È nella lotta quotidiana, nelle scelte feriali, nelle croci immancabili, e io ne ho avute
tante, che dobbiamo saper dire: “Credo in Dio, il Primo, l’Unico, l’Assoluto”.
Il Signore ci aiuti ad esaminare la nostra fede e a trasfigurare i nostri istanti.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che
avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti.
Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire
risuscitare dai morti. (Marco 9.9-10)
Nella Trasfigurazione del Tabor, vi sono raffigurate quattro trasfigurazioni del
Signore; la trasfigurazione della sua Incarnazione, la trasfigurazione della sua
Morte, la trasfigurazione della sua Risurrezione, la trasfigurazione dell’Eucaristia.
Ma per completare il quadro manca la trasfigurazione dei cristiani, quella di noi tutti.
Perciò diamoci da fare, completiamo il quadro, facciamo della nostra vita tutta
una trasfigurazione e al termine della nostra esistenza, quando avverrà la nostra
ultima trasfigurazione ci ricorderemo del Tabor; perché allora ognuno di noi dovrà
rispondere alla chiamata, alla trasfigurazione per l’eternità.
Sono certo che tutti noi ci animeremo per una trasfigurazione, o almeno lo spero,
non è possibile ricalcare le orme di Cristo, senza ritornare trasformati.
Dal pellegrinaggio spirituale sul Tabor, dobbiamo scendere trasfigurati.
Sarebbe bello che ciascuno di noi nel leggere questa meditazione sentisse la voce
del Padre che ci chiama ad ascoltare ancora più intensamente.
Perché quando torneremo nella nostra quotidianità, possiamo dire a tutti che
l’abbiamo trovato, “il Signore”, che l’abbiamo incontrato, che l’abbiamo ascoltato.
Scendendo dal Tabor, Gesù proibì agli apostoli di parlare del fatto straordinario
di cui erano stati testimoni.
Ma a noi, a più di duemila anni di distanza, a noi come battezzati, a noi come credenti
nella Risurrezione, noi: “Non possiamo tacere!”.
Quando un cristiano tace, è perché non è trasfigurato.
È per questo amici, che non riescono a farmi tacere, magari criticare, ma tacere no.
Se crede nella trasfigurazione di Cristo, il cristiano è un testimone di Cristo, che
comunica Cristo, è un cristiano che parla, con la voce, con l’esempio, con la vita.
Questo è l’impegno che ci proponiamo, se abbiamo capito tutto questo,
ci prendiamo l’impegno di parlarne a tutti!
Ecco amici, ora il nostro Tabor è qui nelle nostre case, dove per colpa del virus
siamo costretti a restare chiusi, dove possiamo trovare Dio e dialogare con Lui in
un dialogo fraterno, come hanno fatto gli Apostoli, come faccio io tutti i giorni.
Buon dialogo e buona lettura a tutti Fausto.  
    
    







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