Quando leggerete questa pagina, io sarò già in viaggio, destinazione
Santuario dell'Amore Misericordioso a Collevalenza (PG).
Faremo due giornate immersi nell'Amore, nella pace e nella Misericordia
del Signore, il Santuario è il luogo ideale per riordinare il nostro
cuore e la nostra mente, per prepararci al meglio al prossimo Natale.
Sicuramente, pregheremo, mediteremo, ci confronteremo, ma sopratutto
faremo l'immersione in quell'acqua benedetta che il Signore ha voluto
regalarci attraverso la Beata Madre Speranza,
a martedì amici, quando ritorneremo.
Della 32° Domenica del
Tempo Ordinario.
1° Lettura dal secondo
libro dei Maccabèi (7,1-2.9-14)
In quei giorni, ci fu
il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre,
furono costretti dal
re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Uno di loro, facendosi
interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi?
Siamo pronti a morire
piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il secondo,] giunto
all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini
dalla vita presente,
ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue
leggi, ci risusciterà
a vita nuova ed eterna».
Dopo costui fu
torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente
la lingua e stese con
coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho
queste membra e per le
sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo».
Lo stesso re e i suoi
dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane,
che non teneva in
nessun conto le torture.
Fatto morire anche
questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti.
Ridotto in fin di
vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini,
quando da Dio si ha la
speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te
non ci sarà davvero
risurrezione per la vita».
Parola di Dio.
2° Lettura dalla
seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicèsi (2,16-3,5)
Fratelli, lo stesso
Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati
e ci ha dato, per sua
grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti
i vostri cuori e li
confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il resto,
fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia
glorificata, come lo è
anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi.
La fede infatti non è
di tutti.
Ma il Signore è
fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a voi,
abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo
già lo facciate e
continuerete a farlo.
Il Signore guidi i
vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo
Luca (20,27-38) anno C.
In quel tempo, si
avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi–i quali dicono che non
c’è risurrezione– e
gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto:
"Se muore il
fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello
prenda la moglie e dia
una discendenza al proprio fratello".
C’erano dunque sette
fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
Allora la prese il
secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.
Da ultimo morì anche
la donna.
La donna dunque, alla
risurrezione, di chi sarà moglie?
Poiché tutti e sette
l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I
figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;
ma quelli che sono
giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti,
non prendono né moglie
né marito: infatti non possono più morire, perché sono
uguali agli angeli e,
poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti
risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto,
quando dice: "Il
Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe".
Dio non è dei morti,
ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Parola del Signore.
Riflessione personale
sul Vangelo di oggi.
Il Levirato è una norma mosaica
difficile da capire nella nostra sensibilità contemporanea.
Talmente forte era il senso di
appartenenza al clan famigliare, in Israele, che un
cognato era tenuto a dare un
figlio alla vedova del proprio fratello, se questi era
morto senza lasciare discendenza.
Il figlio nato dall’unione
avrebbe preso il nome del defunto, garantendo una
discendenza alla famiglia.
Questa norma, ancora praticata in
ambienti ultraortodossi in Israele, dà
l’occasione ai sadducei di
mettere in difficoltà Gesù.
L’occasione-che novità-nasce da
una discussione (benedette discussioni!
Sciacquarsi la bocca per
ascoltare il proprio ego mentre si parla e fare sfoggio
di cultura, senza veramente
mettersi in gioco, oggi come allora!) tra Gesù e
i sadducei che, a differenza dei
farisei, rappresentavano l’ala aristocratica e
conservatrice d’Israele e che
consideravano la dottrina della resurrezione dei
morti, cresciuta lentamente nella
riflessione del popolo e definitivamente
formulata solo al tempo della
rivolta Maccabaica, di cui si parla nella prima
lettura, un’inutile aggiunta alla
dottrina di Mosé.
Così, incrociando la non
condivisa teoria della resurrezione con la consuetudine
del Levirato pongono a Gesù un
caso paradossale, la famosa storia della vedova
“ammazzamariti”.
Il caso è ridicolo; una donna
resta vedova sette volte, viene data in moglie a
sette fratelli (sembra un
musical!) ma non ottiene discendenza; una volta risorta,
di chi sarà moglie?
Gesù sposta la questione su di un
altro piano, invita gli uditori ad alzare lo
sguardo da una visione che
proietta nell’oltre morte, di fatto, le ansie e le attese
della vita terrena.
È una nuova dimensione quella che
Gesù propone; la resurrezione, in cui Gesù
crede, non è la continuazione dei
rapporti terreni, ma una nuova dimensione,
una pienezza iniziata e mai
conclusa, che non annienta gli affetti (nel regno ci
riconosceremo, ma saremo tutti
nel Tutto!), che contraddice la visione attuale
della reincarnazione (siamo unici
davanti a Dio, non riciclabili, e la vita non è
una punizione da cui fuggire, ma
un’opportunità in cui riconoscerci!), e ci spinge
ad avere fiducia in un Dio
dinamico e vivo, non imbalsamato!
La scorsa settimana abbiamo
celebrato la memoria dei nostri cari defunti, ahimé
sovrapposta e confusa con la
splendida e gioiosa Solennità dei Santi.
Il nostro tempo tende a
dimenticare e a banalizzare la morte, ogni giorno ci
vengono proposte decine di morti,
vere o finte, dagli schermi televisivi ma,
in realtà, riflettiamo sulla
morte solo quando ci tocca sulla pelle.
La tradizione di Hallowen,
prepotentemente sbarcata in Europa e
diventata-ovviamente-fonte di
business, è una tradizione antecedente alla
cristianità e che la cristianità
ha “battezzato”, facendo coincidere la festa
celtica della fine dell’estate,
con la riflessione sulla fine della vita.
La demonizzazione di tale festa
non va esasperata, anche se il suo successo
rivela che la nostra catechesi e
predicazione sulla morte e sulla resurrezione
risulta inadeguata e povera di linguaggi
significativi e comprensibili.
Gesù crede fermamente nella
resurrezione dai morti.
La Scrittura ha lungamente
riflettuto sulla morte, giungendo alla dottrina
dell’immortalità.
Siamo stati creati immortali, il
nostro corpo, da custodire e preservare, conserva
una parte più spirituale,
interiore, che i cristiani chiamano “anima”.
L’anima è la sorgente del
pensiero, la custode dei sentimenti, la dimora della
mia e nostra identità e
diversità.
L’anima sopravvive alla morte e
raggiunge Dio, per presentarsi al suo cospetto.
Dio non ha che un desiderio; la
nostra felicità, la nostra pienezza.
Ma ci lascia liberi di scegliere.
Questa vita, che ci è data per
scoprire la nostra chiamata, per scovare il tesoro
nascosto nel campo, può essere
giocata nella consapevolezza e nell’amore di
Dio, o nella dimenticanza.
Di fronte a Dio, se vorremo, ci
verrà dato un tempo per imparare ad amare,
il purgatorio, o verremo
abbracciati e ricolmati dalla totalità di Dio, il paradiso,
o-Dio non voglia-saremo liberi di
rifiutare la luce, quello che noi chiamiamo
“inferno”, il luogo dove si tiene
lontano Dio.
Al ritorno del Messia, nella
pienezza dei tempi, ritroveremo i nostri corpi
trasfigurati, che ora conserviamo
con dignità in luoghi chiamati “dormitorio”,
in greco “cimiteri”.
L’eternità è già iniziata, posso
vivere e gioire di questa dignità, riconoscerla
e svilupparla, o mortificarla
sotto una coltre di polvere e preoccupazioni .
Siamo immortali, non aspettiamo
di tirare le cuoia per pensare all’eternità
che è già qui e ora!
Il Dio di Gesù è il Dio dei
viventi, non dei morti.
Io credo nel Dio dei vivi? E io,
sono vivo?
Credo nel Dio dei vivi solo se la
fede è ricerca, non stanca abitudine, doloroso
e irrequieto desiderio, non
noioso dovere, slancio e preghiera, non rito e superstizione.
È vivo-Dio-se mi lascio
incontrare come Zaccheo, convertire come Paolo, che,
dopo il suo incontro con Cristo,
ci dice che nulla è più come prima.
Credo in un Dio vivo se accolgo
la Parola che mi sconquassa, m’interroga,
mi dona risposte.
Credo nel Dio dei vivi se ascolto
quanti mi parlano (bene) di Lui, quanti-per Lui-amano.
Un sacco di gente crede al Dio
dei vivi e lavora e soffre perché tutti abbiano vita,
ovunque siano, chiunque siano.
Schiere di testimoni stanno
dietro e avanti a noi.
Come la madre della prima lettura
che incoraggia i figli al martirio piuttosto
che abiurare la propria fede,
come i tanti (troppi) martiri cristiani di oggi vittime
di false ideologie religiose (vediamo
le stragi di cristiani nei paesi islamici!),
come chi opera per la pace nel
quotidiano e nella fatica.
Sono vivo (lo sono?) se ho
imparato ad andare dentro, se non mi lascio ingannare
dalle sirene che mi promettono
ogni felicità se possiedo, appaio, recito, produco,
guadagno, seduco eccetera, se so
perdonare, se so cercare, se ho capito che questa
vita ha un trucco da scoprire, un
“di più” nascosto nelle pieghe della storia,
della mia storia, della nostra
storia.
Vogliamo anche noi diventare
discepoli di un Dio vivo?
Vogliamo-finalmente-vivere da
vivi?
Certamente amici,
vivere da vivi non è difficile, basta fidarci del Dio di Gesù,
santa Domenica, Fausto.
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