sabato 14 settembre 2019

Il Vangelo di Domenica 15 Settembre 2019


Della 24° Domenica del Tempo Ordinario.
1° Lettura dal libro dell’Esodo (32,7-11.13-14)
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo,
che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito.
Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato!
Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli
hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha
fatto uscire dalla terra d’Egitto”».
Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un
popolo dalla dura cervice.
Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori.
Di te invece farò una grande nazione».
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà
la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande
forza e con mano potente?
Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te
stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo,
e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno
per sempre”».
Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.
Parola di Dio.
2° Lettura dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (1,12-17)
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore
nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me,
che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.
Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla
fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede
e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto
nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io.
Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto
in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di
esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei
secoli dei secoli. Amen.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca (15,1-32) anno C.
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo.
I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori
e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde
una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta,
finché non la trova?
Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama
gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia
pecora, quella che si era perduta”.
Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte,
più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la
lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova?
E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con
me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.
Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore
che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli.
Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio
che mi spetta”.
Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per
un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.
Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed
egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che
lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci.
Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno
gli dava nulla.
Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in
abbondanza e io qui muoio di fame!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e
davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.
Trattami come uno dei tuoi salariati”.
Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono
più degno di essere chiamato tuo figlio”.
Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo
indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi.
Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché
questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi.
Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei
servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo.
Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello
grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”.
Egli si indignò, e non voleva entrare.
Suo padre allora uscì a supplicarlo.
Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai
disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far
festa con i miei amici.
Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze
con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”.
Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;
ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore.
Riflessione personale sul Vangelo di oggi.
Fatevi bene i conti in tasca, amici, Gesù pretende di essere più grande della
più grande e intensa gioia che umanamente siamo in grado di provare.
Così, al discepolo che, ascoltando l’immensa sete di infinto che pulsa nel
cuore, e la nostalgia pungente del Tutto, Gesù propone un cammino verso
una scoperta inattesa; il vero volto di Dio.
Tutti abbiamo un’idea di Dio, per credergli o per rifiutarlo.
Tutti abbiamo una spontanea, inconscia, sorgiva idea di Dio, una specie di
religiosità connaturale nel nostro interiore.
Un’idea di Dio in cui credere. O non credere.
Mediamente, però, l’idea di Dio che abbiamo è approssimativa, e neppure
troppo simpatica.
Dio esiste, certo, per carità, è anche potente, ma incomprensibile nelle sue
discutibili scelte, secondo la nostra logica umana.
Quante volte il Vangelo ci mette in crisi?
Io, tante volte amici.
Andiamo, amici, siate onesti; non avete mai pensato di fronte all’idiozia degli
uomini, che voi avreste fatto meglio nel governare il mondo?
Che Dio dovrebbe almeno fermare le guerre?
Proteggere i deboli?
Che quella madre di famiglia divorata dal cancro è una clamorosa stupidaggine divina?
Che, insomma, se Dio c’è perlomeno è pigro o incomprensibile?
Questi sono i miei punti deboli, purtroppo.
Quanta strada l’uomo ha fatto per convertire il proprio cuore!
La storia di Israele è la scoperta del vero volto di Dio, della misericordia,
il cuore stesso di Dio.
Nella splendida pagina dell’Esodo che abbiamo letto, Dio si accorge di essere
stato troppo fiducioso nei confronti di questo popolo di schiavi, e decide di
rinunciare e di ricominciare.
Mosè lo sfida e rifiuta di seguirlo; tra Dio e il popolo, Mosè sceglie il popolo.
E Dio si stupisce a cambia idea.
Già il primo testamento intuisce ed elabora l’inaudito; Dio si confronta con gli
uomini, cambia idea, impara qualcosa dall’esperienza.
(Lo so, sono concetti teologicamente inesatti e fragili, ma che provengono
direttamente dalla Bibbia e rivelano la potenza del Dio di Israele).
Ma, alla fine del percorso di Israele, nonostante tutto, l’uomo-ahimè-ancora
non capisce.
E Dio decide di venire a spiegarsi. Definitivamente.
Luca, dei quattro evangelisti, è quello che maggiormente ha dovuto fare un
balzo dalla propria visione di Dio a quella di Gesù.
Lui, greco di Antiochia, è abituato ad una religiosità legata a dèi capricciosi
e simili in tutto a noi uomini.
Quale tuffo nel cuore deve avere provato quando ha sentito quel tale di Tarso
parlare di Dio in maniera assolutamente innovativa!
Dio, diceva Paolo, è un Padre pieno di ogni tenerezza, lontano anni luce
dalle nostre fobie e dai nostri timori.
Luca ha creduto al Dio di Paolo, ha ricevuto il Battesimo e si è messo
a seguire il Maestro Gesù, l’ebreo.
Poi, dopo molti viaggi, dopo molta gioia, dopo una vita passata a informarsi,
ci restituisce, in tre parabole che sono come tre perle preziose, la sintesi
del volto di Dio.
Il Dio di Gesù, questo ci ha fatto conoscere Luca.
Dio è misericordia dice Luca; Dio è misericordia anticipa il suo maestro Paolo
nella seconda lettura.
La misericordia esprime l’onnipotenza di Dio, l’amore infinito, tenero ed adulto,
carezzevole ed esigente, è il volto di Dio.
Ma allora perché continuiamo a pensare a Dio come a un vigile, un giudice,
un severo preside?
Perché ci ostiniamo a tenerlo ben lontano dalle nostre vite relegandolo nelle
Chiese e nei ritagli di tempo che dedichiamo alla religione?
La nostra triste fede pensa alla vita in Cristo come ad un pegno da pagare
all’onnipotenza di Dio, non come ad un incontro di pienezza e di festa!
Occorre convertirci alla tenerezza di Dio, occorre osare e pensare ciò che
Lui è venuto a testimoniarci.
Le parabole ascoltate gettano una spallata definitiva alla nostra mediocre
visione di Dio per spalancare la nostra fede alla dimensione del cuore di Dio.
Convertirsi significa passare dalla nostra prospettiva a quella inaudita di Dio
e questo significa fare come Lui.
Noi diciamo: “Ti amo perché sei amabile, te lo meriti, perché sei buono”.
Dio dice: “Ti amo con ostinazione e senza scoraggiarmi perché so che il
mio amore ti renderà buono”.
C'è una bella differenza! Vero, amici.
In fondo in fondo costruiamo una vita di fede orientata intorno ai nostri meriti.
Ma, nessuno si merita l'amore di Dio.
Il suo amore è assolutamente gratuito, libero, pieno.
Dio non ci ama perché siamo buoni, ma amandoci senza misura ci rende
buoni, aprendoci alla speranza.
La cura meticolosa con cui il pastore insegue la pecora lontana, è il segno
di questo amore di Dio per chi sperimenta di essersi “perso”.
L'esperienza del peccato, che è questo “perdersi”, diventa occasione per
un incontro più duraturo e autentico con questo Dio che ci perseguita
con il suo amore.
Ben lontano dall’avere una visione poetica o approssimativa del peccato,
Luca sa che l’esperienza di sofferenza interiore che è il peccato, questo
smarrimento, questa lontananza da Dio e da noi stessi, può diventare un
incontro che salva, che ci aiuta a ripartire con maggiore autenticità e coraggio.
La nostra fede non si fonda sulle nostre capacità, sulle nostre devozioni, sui
nostri sforzi, ma sull’ostinazione di Dio che ci cerca.
Prendere coscienza di questo significa aprirsi alla festa, partecipare, come la donna
che ritrova la moneta perduta, alla festa che Dio fa per chi si lascia incontrare.
I giusti, quelli che si sentono a posto, col notes dei meriti completo, non potranno
mai, purtroppo, sperimentare la gioia di essere caricati sulle spalle del Pastore.
Come il figlio maggiore della parabola del Figliol Prodigo “non entrano” in
questa prospettiva, in questa mentalità.
Chiusi nelle loro poche certezze, non possono allargare il cuore nella gioia del Padre.
Quando, finalmente, le nostre comunità capiranno il Vangelo della misericordia e,
con semplicità, lo faranno diventare metro di giudizio del loro agire, la Chiesa
tornerà a diventare faro che illumina il cammino degli uomini.
Diventiamo tutti figlioli prodighi, amici e, il Padre ci abbraccerà, uno per uno.
Che il Dio della misericordia ci aiuti, Santa Domenica Misericordiosa a tutti, Fausto!


Nessun commento:

Posta un commento