Della 6° Domenica di
Pasqua.
1° Lettura dagli Atti
degli Apostoli (15,1-2.22-29)
2° Lettura dal libro
dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo (21,10-14.22-23)
Dal Vangelo secondo
Giovanni (14,23-29) anno C.
In quel tempo, Gesù
disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà
la mia parola e il
Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo
dimora presso di lui.
Chi non mi ama, non
osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate
non è mia, ma del
Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste
cose mentre sono ancora presso di voi.
Ma il Paràclito, lo
Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi
insegnerà ogni cosa e
vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi
do la mia pace.
Non come la dà il
mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il
vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho
detto: “Vado e tornerò da voi”.
Se mi amaste, vi
rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre
è più grande di me.
Ve l’ho detto ora,
prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Parola del Signore.
Riflessione personale
sul Vangelo di oggi.
Giuda e Pietro sono travolti
dalle tenebre; Giuda dal male, Pietro dal “bene”.
Gesù li salverà entrambi; Egli è
il Pastore che cerca proprio la pecora perduta,
che non è venuto per i sani ma
per i malati, che manifesta la sua gloria proprio
perché tradito e continua ad
amare.
Siamo ormai nel cuore del tempo
Pasquale, all’orizzonte già vediamo la Pentecoste.
Oggi il Signore, durante il lungo
discorso che fa dopo l’ultima Cena nel
Vangelo di Giovanni, ci chiede di
dimorare in Lui, di custodire e vivere le
sue parole, di sperimentare la
pace del cuore che proviene dallo Spirito.
La prima comunità deve affrontare
problemi contingenti molto seri, restando
fedele al mandato del Signore,
sarà proprio lo Spirito ad aiutarli a
decidere, discutendo.
Domenica scorsa Giovanni
sostituiva il sacramento della Cena col sacramento
dell’amore nella comunità.
Siamo riconosciuti dall’amore che
abbiamo gli uni per gli altri, amore che non
è il frutto delle nostre simpatie
ma dell’accoglienza dell’amore di Cristo.
Possiamo amarci gli uni gli altri
con l’amore che Cristo ci ha donato.
Siamo fatti capaci di amare,
donando noi stessi nella concretezza.
Gesù è molto concreto, l’amore
verso di Lui significa vivere le sue parole,
i suoi insegnamenti, la sua
dottrina.
Quanta scollatura vedo in me tra
la fede che proclamo e la fede che vivo!
Quanta abissale lontananza tra la
nostra appartenenza al cattolicesimo
e la nostra vita poco evangelica.
Osserviamo la sua Parola,
meditiamola, mettiamola al centro, nel cuore,
perché diventi essenziale nella
nostra vita, che possa essere la bussola della
nostra navigazione.
Senza interpretare la Parola
riducendola ad una cosa vaga, non piegandola
ad una asfittica visione
socio-culturale ma accogliendola con la forza
sferzante, con l’energia potente
che emana l’incontro con Cristo.
Lasciamo che il Vangelo contagi
le nostre scelte, le nostre città, le nostre
economie, il nostro invivibile
mondo del lavoro.
La prima comunità affronta un
dilemma grave, occorre essere ebrei per
diventare cristiani?
Giacomo e la comunità di
Gerusalemme spingono in questa direzione, Paolo
e Barnaba, al contrario affermano
che Gesù è venuto per ogni uomo, e lo
dimostra il fatto di vedere la
Parola convertire il cuore dei pagani.
Lo scontro è duro, ma leale, a
Gerusalemme gli apostoli discutono rudemente
e, alla fine, danno ragione a
Paolo.
Questo è lo stile dell’essere
Chiesa, decidere insieme nel rispetto dei propri
ministeri e carismi, ascoltando
il suggerimento dello Spirito.
Questo è lo stile delle nostre
comunità che prendono a cuore i problemi e
cercano le soluzioni non a
partire dall’emozione o dalle proprie opinioni,
ma alla continua ricerca della
volontà del Maestro.
Ecco: “Vi do la mia pace, non
come la dà il mondo”, il confine del male e del
bene è nel nostro cuore, il
nemico è dentro di noi, non fuori, e la prima autentica
pacificazione deve avvenire nel
nostro intimo con noi stessi, la nostra violenza
e la nostra rabbia, la parte
oscura che i discepoli chiamano “peccato”.
I cristiani, spesso, quando
parlano di pace, pensano al cimitero!
Una scorretta e parziale visione
di fede, là dove il cristianesimo è fiacca e
svogliata appartenenza ad una
serie di credenze e di gesti rituali, parla di pace
il primo novembre, pensando ai
nostri defunti che riposano “in pace” (e che
devono fare, ballare la samba?).
La pace, secondo la Parola di
Gesù, è il primo dono che egli fa, risorto,
apparendo agli impauriti
discepoli.
Un cuore pacificato è un cuore
saldo, irremovibile, che ha colto il suo posto
nel mondo, che non si spaventa
nelle avversità, non si dispera nel dolore,
non si scoraggia nella fatica.
La scoperta di Dio, nella propria
vita, l’incontro gioioso con Lui, la percezione
della sua bellezza, la
conversione al Signore Gesù riconosciuto come Dio,
suscita nel cuore delle persone
una gioia profonda, sconosciuta e diversa da
ogni altra gioia.
È la gioia del sapersi
conosciuti, amati e preziosi.
E la scoperta dell’amore di Dio
mi apre a scenari nuovi, inattesi, il mondo
ha un destino di bene, un
amorevole disegno che, malgrado la fatica della
storia e dell’umanità, confluisce
verso Dio.
E in questo progetto io, se
voglio, ho un ruolo determinante.
Sono una tessera di un mosaico
immenso, grandioso, luminoso, sono parte
di un tutto che realizzo amando e
lasciandomi amare.
Scoprire il proprio destino, la
propria chiamata intima, la propria vocazione,
mi mette le ali, mi cambia
l’umore.
Malgrado i miei limiti, le mie
fragilità, le mie paure, posso amare e, amando,
cambia il mondo intorno a me.
Ecco, questa è la pace, sapersi
nel cuore di una volontà benefica e salvifica,
scoprirsi dentro il mistero
nascosto del mondo.
Credere in questo, adesione alla
fede quasi sempre tormentata e sofferta,
non immediata e leggera, dona la
pace del cuore.
Io sono amato, voi amici, siamo
amati.
Insieme a Dio, se vogliamo,
possiamo cambiare il mondo.
Questa pace è pace profonda, pace
salda, pace irremovibile, ben diversa dalla
pace del mondo, pace che viene
venduta come assenza di guerra o, peggio,
guerra che viene ritenuta
necessaria per imporre la pace.
Pace del sapersi amati che
permette di affrontare con serenità anche le paure.
Paura del futuro, della malattia,
del lavoro precario, del non sapersi amati, paura.
La pace del cuore, dono e
conquista, fiamma da alimentare continuamente
alla fiamma del Risorto, aiuta ad
affrontare la paura con fiducia, a non avere
il cuore turbato.
Alla fine di questi splendidi
giorni di Pasqua, invochiamo il Consolatore,
donato dal Padre, per affrontare
la nostra quotidianità con la certezza della
presenza del Signore, giorno dopo
giorno, passo dopo passo.
Ma tutto questo è un già e un non
ancora, il mondo che vediamo fiorire
porterà frutto solo nel dopo,
nell’altrove.
Giovanni guarda alla Chiesa e
vede una sposa radiosa e luminosa, adorna,
pronta per il suo sposo, Cristo.
Non perdiamo mai di vista il
fatto che tutto ciò che viviamo, vive un senso
di incompletezza, una tensione
verso una pienezza che ancora non vediamo,
ma che siamo in grado di
incarnare, di sognare, di inseguire, di realizzare
come caparra del Regno.
Perciò, seguiamo la Chiesa, in
essa troveremo Cristo e la sua vera pace.
Santa Domenica di pace,
amici Fausto.