sabato 20 aprile 2019

Il Vangelo di Domenica 21 Aprile 2019


Risurrezione del Signore.
1° Lettura dagli Atti degli Apostoli (10,34a.37-43)
2° Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi (3,1-4)
Dal Vangelo secondo Giovanni (20,1-9) anno C.
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di
mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù
amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo
dove l'hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro
e giunse per primo al sepolcro.
Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e
osservò i teli posati là, e il sudario-che era stato sul suo capo-non posato là
con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro,
e vide e credette.
Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva
risorgere dai morti.
Parola del Signore.
Riflessione personale sul Vangelo di oggi.
Pietro e Giovanni corrono nel silenzio della città ancora immersa nel sonno.
I mercanti tirano fuori le mercanzie per la giornata dopo il sabato di riposo.
Il sole si sta alzando e inonda di luce la pietra che riveste le abitazioni
di Gerusalemme.
Tra gli stretti vicoli della città, calpestando il selciato appena rifatto dal
grande re Erode, il fiato corto, i due escono dalla città.
Corrono lasciando al loro fianco la cava di pietra in disuso riutilizzata dai romani.
I pali verticali, come alberi rinsecchiti, svettano in alto, aspettando nuovi condannati.
Il sangue rappreso tinge di rosso il legno scuro.
Corrono, ancora, il fiato manca, la tunica impaccia la corsa.
Pietro, meno giovane, si attarda; scendono rapidamente oltre la cava.
I soldati romani di guardia sono spariti, la tomba di Giuseppe di Arimatea è
aperta, la pesante pietra che ne bloccava l’ingresso ribaltata.
Giovanni aspetta, le tempie pulsano, ansima.
Ripensa al volto sconvolto di Maria che, dieci minuti prima, lo aveva tirato
giù dal letto parlando del furto del corpo Gesù.
Arriva Pietro.
Giovanni lo guarda lungamente, poi abbassano la testa ed entrano.
Nulla.
Gesù è scomparso.
Nulla, solo il lenzuolo, come sgonfiato, afflosciato e la mentoniera al
proprio posto, come se Gesù si fosse dissolto.
Nulla, Gesù è scomparso.
Tutto è iniziato da quella corsa.
Quella tomba vuota, ultimo drammatico regalo fatto a Gesù da parte del
discepolo Giuseppe di Arimatea, ricco e potente, che non aveva potuto
salvare dalla morte il suo Maestro, è rimasta lì, vuota, a Gerusalemme,
muta testimone della resurrezione.
Adriano, l’imperatore, l’aveva fatta riempire di terra, ed era diventata,
insieme alla cava in disuso, il terrapieno che sosteneva–ironia della sorte–il
tempio pagano di Giove.
Aelia Capitolina, era stata ribattezzata la ribelle Gerusalemme, e, col nuovo
assetto urbano da città romana, l’imperatore voleva spazzare via ogni
memoria dei giudei e delle loro incomprensibili dispute.
Tre secoli dopo la tomba fu riportata alla luce dalla devota regina Elena,
madre del primo imperatore cristiano Costantino.
La tomba è ancora lì; vi hanno costruito sopra un’immensa basilica, è stata
oggetto di pellegrinaggio per un millennio e mezzo, tentarono di distruggerla,
pezzo per pezzo, a causa della furia di un sultano che–evidentemente–non
conosceva il Corano.
Ora è ricoperta di marmi, la tomba, divisa e contesa (fragilità degli uomini)
tra mille confessioni cristiane che ne rivendicano la proprietà.
Poco importa.
È lì, quella tomba, esattamente lì dove la trovarono Pietro e Giovanni.
Ed è ancora vuota.
Egli è risorto
Tutta la nostra fede è basata sull’assenza di un cadavere.
La morte è stata sconfitta.
Il Dio nudo, appeso, osteso, evidente, il Dio sconfitto e straziato, il Dio
deposto sulla fredda pietra non è più qui, è risorto.
Risorto.
Non rianimato, non ripresosi, non vivo nel nostro ricordo o cavolate simili.
Gesù è davvero vivo, risorto, presente per sempre.
Non è facile credere a questa notizia, lo so bene.
Incontreremo, in questi cinquanta giorni, la fatica che hanno fatto gli apostoli,
che è la nostra, a convertire il cuore a questa sconcertante novità.
Ci vuole fede per superare il proprio dolore.
Tutti abbiamo una qualche ragione per sentire vicino Gesù crocifisso.
Tutti ci commuoviamo davanti a tale strazio, tutti sappiamo condividere
il dolore che è esperienza comune di ogni uomo.
Ma gioire no, è un altro paio di maniche, gioire significa uscire dal proprio
dolore, non amarlo, superarlo, abbandonandolo.
Corriamo anche noi, oggi.
Pasqua, al di là delle uova di cioccolato e delle campane in festa è la
vittoria dell’amore, la pienezza della vita.
La scommessa, terribile, di un Dio abbandonato alla nostra volontà è vinta.
A noi, ora, di credere, di vivere da risorti, di vedere i teli di lino e di
credere, come Giovanni e Pietro.
A noi, discepoli affannati nella corsa, sempre in ritardo rispetto alla forza
dirompente di Dio, resta solo la sfida della fede.
Gesù è risorto; smettiamola di cercare il crocefisso, smettiamola di
piangerci addosso e di lamentare un Dio assente.
Gesù è risorto.
Buona Pasqua a tutti, amici.
Buona Pasqua a chi sa che è l’ultima prima che il cancro lo sconfigga,
buona Pasqua a chi sta tirando su un figlio o due e conserva il buonumore,
a chi ostinatamente ama senza risultati.
Buona Pasqua ai tanti cercatori di Dio, così diversi eppure tutti toccati
dalla Parola che ci cambia.
Buona Pasqua a chi è in lutto, a chi sente di avere sbagliato tutto, come Gesù.
Buona Pasqua, fragili discepoli del Maestro, Gesù è davvero risorto.
Perciò, almeno per questo giorno il vostro cuore sia pieno di gioia amici, Fausto.


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