Risurrezione del
Signore.
1° Lettura dagli Atti
degli Apostoli (10,34a.37-43)
2° Lettura dalla
lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi (3,1-4)
Dal Vangelo secondo
Giovanni (20,1-9) anno C.
Il primo giorno della
settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di
mattino, quando era
ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da
Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù
amava, e disse loro: «Hanno
portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo
dove l'hanno posto!».
Pietro allora uscì
insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme
tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro
e giunse per primo al
sepolcro.
Si chinò, vide i teli
posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche
Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e
osservò i teli posati
là, e il sudario-che era stato sul suo capo-non posato là
con i teli, ma avvolto
in un luogo a parte.
Allora entrò anche
l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro,
e vide e credette.
Infatti non avevano
ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva
risorgere dai morti.
Parola del Signore.
Riflessione personale
sul Vangelo di oggi.
Pietro e Giovanni corrono nel
silenzio della città ancora immersa nel sonno.
I mercanti tirano fuori le
mercanzie per la giornata dopo il sabato di riposo.
Il sole si sta alzando e inonda
di luce la pietra che riveste le abitazioni
di Gerusalemme.
Tra gli stretti vicoli della
città, calpestando il selciato appena rifatto dal
grande re Erode, il fiato corto,
i due escono dalla città.
Corrono lasciando al loro fianco
la cava di pietra in disuso riutilizzata dai romani.
I pali verticali, come alberi
rinsecchiti, svettano in alto, aspettando nuovi condannati.
Il sangue rappreso tinge di rosso
il legno scuro.
Corrono, ancora, il fiato manca,
la tunica impaccia la corsa.
Pietro, meno giovane, si attarda;
scendono rapidamente oltre la cava.
I soldati romani di guardia sono
spariti, la tomba di Giuseppe di Arimatea è
aperta, la pesante pietra che ne
bloccava l’ingresso ribaltata.
Giovanni aspetta, le tempie
pulsano, ansima.
Ripensa al volto sconvolto di
Maria che, dieci minuti prima, lo aveva tirato
giù dal letto parlando del furto
del corpo Gesù.
Arriva Pietro.
Giovanni lo guarda lungamente,
poi abbassano la testa ed entrano.
Nulla.
Gesù è scomparso.
Nulla, solo il lenzuolo, come
sgonfiato, afflosciato e la mentoniera al
proprio posto, come se Gesù si
fosse dissolto.
Nulla, Gesù è scomparso.
Tutto è iniziato da quella corsa.
Quella tomba vuota, ultimo
drammatico regalo fatto a Gesù da parte del
discepolo Giuseppe di Arimatea,
ricco e potente, che non aveva potuto
salvare dalla morte il suo
Maestro, è rimasta lì, vuota, a Gerusalemme,
muta testimone della
resurrezione.
Adriano, l’imperatore, l’aveva
fatta riempire di terra, ed era diventata,
insieme alla cava in disuso, il
terrapieno che sosteneva–ironia della sorte–il
tempio pagano di Giove.
Aelia Capitolina, era stata
ribattezzata la ribelle Gerusalemme, e, col nuovo
assetto urbano da città romana,
l’imperatore voleva spazzare via ogni
memoria dei giudei e delle loro
incomprensibili dispute.
Tre secoli dopo la tomba fu
riportata alla luce dalla devota regina Elena,
madre del primo imperatore
cristiano Costantino.
La tomba è ancora lì; vi hanno
costruito sopra un’immensa basilica, è stata
oggetto di pellegrinaggio per un
millennio e mezzo, tentarono di distruggerla,
pezzo per pezzo, a causa della
furia di un sultano che–evidentemente–non
conosceva il Corano.
Ora è ricoperta di marmi, la
tomba, divisa e contesa (fragilità degli uomini)
tra mille confessioni cristiane
che ne rivendicano la proprietà.
Poco importa.
È lì, quella tomba, esattamente
lì dove la trovarono Pietro e Giovanni.
Ed è ancora vuota.
Egli è risorto
Tutta la nostra fede è basata
sull’assenza di un cadavere.
La morte è stata sconfitta.
Il Dio nudo, appeso, osteso, evidente,
il Dio sconfitto e straziato, il Dio
deposto sulla fredda pietra non è
più qui, è risorto.
Risorto.
Non rianimato, non ripresosi, non
vivo nel nostro ricordo o cavolate simili.
Gesù è davvero vivo, risorto,
presente per sempre.
Non è facile credere a questa
notizia, lo so bene.
Incontreremo, in questi cinquanta
giorni, la fatica che hanno fatto gli apostoli,
che è la nostra, a convertire il
cuore a questa sconcertante novità.
Ci vuole fede per superare il
proprio dolore.
Tutti abbiamo una qualche ragione
per sentire vicino Gesù crocifisso.
Tutti ci commuoviamo davanti a
tale strazio, tutti sappiamo condividere
il dolore che è esperienza comune
di ogni uomo.
Ma gioire no, è un altro paio di
maniche, gioire significa uscire dal proprio
dolore, non amarlo, superarlo,
abbandonandolo.
Corriamo anche noi, oggi.
Pasqua, al di là delle uova di
cioccolato e delle campane in festa è la
vittoria dell’amore, la pienezza
della vita.
La scommessa, terribile, di un
Dio abbandonato alla nostra volontà è vinta.
A noi, ora, di credere, di vivere
da risorti, di vedere i teli di lino e di
credere, come Giovanni e Pietro.
A noi, discepoli affannati nella
corsa, sempre in ritardo rispetto alla forza
dirompente di Dio, resta solo la
sfida della fede.
Gesù è risorto; smettiamola di
cercare il crocefisso, smettiamola di
piangerci addosso e di lamentare
un Dio assente.
Gesù è risorto.
Buona Pasqua a tutti, amici.
Buona Pasqua a chi sa che è l’ultima
prima che il cancro lo sconfigga,
buona Pasqua a chi sta tirando su
un figlio o due e conserva il buonumore,
a chi ostinatamente ama senza
risultati.
Buona Pasqua ai tanti cercatori
di Dio, così diversi eppure tutti toccati
dalla Parola che ci cambia.
Buona Pasqua a chi è in lutto, a
chi sente di avere sbagliato tutto, come Gesù.
Buona Pasqua, fragili discepoli
del Maestro, Gesù è davvero risorto.
Perciò, almeno per
questo giorno il vostro cuore sia pieno di gioia amici, Fausto.
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