sabato 8 dicembre 2018

Il Vangelo di Domenica 9 Dicembre 2018



Della 2° settimana di Avvento.                                                                                                               1° Lettura dal libro del profeta Baruc (5,1-9)                                                                                         2° Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (1,4-6.8-11)                                                Dal Vangelo secondo Luca (3,1-6) anno C.                                                                                Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato                                      era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello,                              tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell'Abilène, sotto 
i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio                                         di Zaccarìa, nel deserto.                                                                                                                      Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di                                      conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli                                      del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore,                      raddrizzate i suoi sentieri!                                                                                                                 Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie                                tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate                                                                    Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».                                                                                          Parola del Signore.                                                                                                                 Riflessione personale sul Vangelo di oggi.                                                                                 Possiamo celebrare cento natali, senza che mai Dio nasca nei nostri cuori.
Perciò abbiamo bisogno di un tempo di interiorità, perché possiamo, infine
accogliere la luce del Signore.
Affinché il giorno della venuta del Signore non ci piombi addosso
all’improvviso e ci trovi impreparati.
Sarebbe tragicomico passare la vita ad invocare la venuta del Signore,
e non esserci nel momento della sua venuta interiore!
Certo, non è facile e tutto ci rema contro; la crisi economica, il clima
dolciastro, lo scippo natalizio perpetrato dal mercato che fa leva sui buoni
sentimenti, le difficoltà della vita di tutti i giorni.
Non è facile, ma è possibile; Cristo ci chiede di alzare lo sguardo, invece
di lamentarci, di guardare oltre, altrove, al di là.
L’importante è arrivare al Natale, a quello vero, con il cuore, leggero,
senza lasciarlo appesantire dalla dissipazione, dallo stordimento, dalle
preoccupazioni della vita.
Dio viene, Lui prende l’iniziativa, è suo il primo passo.
La Scrittura ci rivela il volto di un Dio che intesse relazioni, che cerca
l’uomo, che lo corteggia.
La storia, splendida e drammatica, fra Israele e il suo Dio non è sempre
stata fortunata e feconda.
Ora Dio viene per spiegarsi, per raccontarsi, per dirsi.
Dio viene a rivelarsi.
La solenne predicazione sul Battista conferma l’intento di Luca di raccontare
eventi storici, non edificanti racconti da pie devote.
Luca, discepolo di Paolo, non ha mai visto Gesù in vita sua.
Come noi è stato affascinato e sedotto dalla predicazione di Paolo e dal
fuoco della sua parola.
Luca, antiocheno, greco, colto e raffinato, ha scritto il suo vangelo dopo
Marco, in contemporanea con Matteo.
Ci tiene, Luca, a dimostrare (già allora!) che non è corso dietro a delle favole
ma che l’annuncio si fonda su solide basi.
La descrizione della situazione geo-politica del tempo della predicazione
del Battista ci lascia stupiti, e ci dice ancora e ancora che non corriamo
dietro a delle favole (anche se certi cristiani si comportano come personaggi
da operetta!) ma che la nostra fede appoggia su solide basi.
C’è la storia dietro queste parole, non il mito.
Volesse Dio che Luca ci facesse almeno un poco vergognare della nostra
impressionante ignoranza evangelica!
Luca, però, vuole dire anche altre cose.
Tutti i personaggi elencati, chi più, chi meno, detengono in mano il potere
assoluto, sanno di potere decidere i destini dei popoli, si sentono e sono grandi.
La Parola di Dio dribbla elegantemente tutti i signori dell’epoca e si posa su
un macerato trentenne consumato dal vento del deserto e dal digiuno, un folle
di Dio scontroso e rabbioso che si consuma sulle rive del Giordano,
Giovanni il battezzatore.
Già Baruc, segretario di Geremia, nella prima lettura si rivolge al popolo disperso
in Babilonia e vede un ritorno in grande stile nella Gerusalemme dei padri.
Parla a degli straccioni senza speranza, a dei deportati che si trascinano come
schiavi in attesa di morire. E sogna.
Così è, amici, la Storia di Dio si sovrappone alla piccola e violenta storia
degli uomini e la trasfigura.
Nessuno di noi conoscerebbe Erode se non avesse ucciso il Battista.
Il procuratore Pilato viene nominato ogni domenica nella professione di
fede non per la sua audacia politica e militare, ma per aver ucciso un
falegname esaltato che si prese per Dio.
E che lo era.
E noi, a che storia vogliamo appartenere?
Le energie, i sogni, l’audacia che mettiamo per chi o cosa la mettiamo?
Per la fragile storia degli uomini?
O per quella di Dio?
Entrare nella storia altra significa, anzitutto, aprirsi allo stupore di Dio,
attenderlo ed accoglierlo per ciò che egli è, non per ciò che vorremmo
che fosse.
L’avvento non aggiunge degli impegni alla nostra scarsa fede e alla nostra
poca disponibilità alla preghiera, ma un tempo in cui ci è chiesto di
accorgerci, di preparare la strada, di spalancare il cuore.
Citando Isaia, Giovanni è molto preciso sulle cose da fare; raddrizzare
i sentieri, riempire i burroni, spianare le montagne.
Raddrizzare i sentieri, cioè avere un pensiero semplice, lineare, senza
troppi giri di testa.
La fede è esperienza personale che nasce nella fiducia, che diventa abbandono.
La fede va interrogata, nutrita, è intelleggibile e ragionevole.
Ma ad un certo punto diventa salto, ragionevole salto tra le braccia di questo Dio.
Abbiamo bisogno di pensieri veri nella nostra vita, di pensieri positivi e buoni
per poter accogliere la luce.
Riempire i burroni delle nostre fragilità.
Tutti noi portiamo nel cuore dei crateri più o meno grandi, più o meno insidiosi,
delle fatiche più o meno superate.
Ebbene; occorre stare attenti a non lasciarci travolgere dalle nostre fragilità
o, peggio, mascherarle.
Ognuno di noi porta delle tenebre nel cuore; l’importante è che non ci parlino,
l’importante è non dar loro retta.
Spianare le montagne.
In un mondo basato sull’immagine conta più l’apparenza della sostanza.
Bene il fitnses, ottimo il body-building per stare in forma.
È bene curare il proprio modo di vestire.
Ma occorre aprire qualche palestra di spirit-building, qualche estetista
del cuore e dell’anima!
Essenzialità, verità, desiderio; questi gli strumenti per trovare un
sentiero verso Dio.
E questo già ci procura gioia, l’attesa già ci scuote dentro, ci apre lo stupore.
Gioia come quella che san Paolo prova per la sua comunità greca di Filippi,
come quella che il salmista descrive per il ritorno dei prigionieri da
Babilonia a Gerusalemme.
Allora, amici resistenti, carbonari dello spirito, discepoli del Rabbì, su di
noi piccoli e fragili e dispersi Dio fa scendere la sua Parola.
Alziamo lo sguardo, per carità.
Animo, mano ai badili spirituali e ai picconi interiori, aiutandoci con la
preghiera; c’è da fare in settimana.
Buona seconda Domenica di Avvento, amici, da Fausto.



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