lunedì 24 dicembre 2018

Il Vangelo del Martedì 25 Dicembre 2018


Natale del Signore.
1° Lettura dal libro del profeta Isaìa (52,7-10)
2° Lettura Dalla lettera agli Ebrei (1,1-6)
Dal Vangelo secondo Giovanni (1,1-18) anno C.
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle
tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo
non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere
di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo
contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal
Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui
che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero
per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno
del Padre, è lui che lo ha rivelato.
Parola del Signore.
Riflessione personale sul Vangelo di oggi.
Miagola, pigola, vagisce con una flebile voce, come fanno i cuccioli
d’uomo appena nati.
Gli occhi socchiusi, le minuscole mani serrate a pugno, appoggia il viso
grinzoso all’acerbo seno della madre.
Per un istante spalanca gli occhi, come ad essere rassicurato, poi ripiomba
nel sonno.
La madre, inesperta, attinge il dito mignolo in una tazza di coccio e glielo
appoggia sulle piccola labbra che si dischiudono e si bagnano del latte di capra.
Maria gli aggiusta la coperta di lana che protegge il corpo nudo del neonato
dal freddo del deserto che lambisce le case di Betlemme.
Sorride, pensando a quando, poche ore prima, la levatrice lo aveva rudemente
pulito dalla placenta e dal sangue, incurante delle urla di protesta del piccolo.
Sorride, Maria, e guarda Giuseppe, seduto sulla paglia, esausto dal lungo
viaggio e dalle emozioni delle ultime ore.
Anch’io taccio, in un angolo della stalla, senza fare rumore, sospeso fra la
commozione e la stanchezza.
Ecco Dio, dunque.
Ecco Dio, Siamo tutti spiazzati, ancora.
Ecco Dio, ecco com’è veramente.
Che ha a che vedere, questo neonato, con l’idea che siamo fatti di Lui?
Che c’entra?
Guardo lungamente, ora anche Maria appoggia il capo alla parete di pietra,
cercando un improbabile sonno.
Ecco Dio, enorme inerme, possente fragile, debole per scelta.
Suscita tenerezza, viene voglia di prenderlo in mano di accarezzarlo.
Ecco l’uomo, Maria ha creduto nelle parole del principe degli angeli, ha messo
la sua vita nelle mani di Dio.
E ora è lì, con il mistero dell’Universo che stringe a sé.
Frastornata e meditabonda, con il suo cuore, immenso cuore di discepola,
altalenante fra il gioire dell’essere diventata madre e lo stupirsi nel tenere
Dio appeso al suo collo.
Prima fra i folli di Dio, prima fra i credenti, prima fra le donne, benedette
figlie di Eva che di Dio condividono il generare.
Giuseppe siede stanco.
Anche lui ha detto sì, ma il suo è stato sofferto, faticoso, strappato.
I suoi sogni ora sono il sogno di Dio, non ha più futuro, né spazio,
né ambizione, né comprensibile orgoglio di padre.
Il Padre lo ha reso padre, lui, ora dovrà accudire Dio e la sua madre,
proteggerli e lasciarli crescere, loro così abitati dal Mistero, lui così
consapevole che la vita non si misura dai risultati ma dalla fedeltà agli eventi.
Sulle colline intorno a Betlemme, i pastori, i bastardi di Dio, i perdenti,
gli zingari, gli arraffatori, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza
speranza, bestemmiano in cuor loro la sorte, ricacciando il dolore che
sale a soffocare la gola e a riempire gli occhi di lacrime.
Fine di un giorno uguale come i precedenti, uguale come i futuri,
senza scampo, senza tregua, senza luce.
E un angelo appare loro.
Per voi, dice.
Una mangiatoia, dice.
E vanno, e trovano Dio che abita una mangiatoia, come se fosse un trono,
e capiscono che anche una mangiatoia che odora di sterco di pecora può
diventare il trono del Dio degli sconfitti.
A est, lontano, un gruppo di curiosi accampati discutono, alzando il prezzo
della scommessa, chi sostiene che il segno nel cielo indica la nascita di un
re, altri dicono che, invece, prospetta una catastrofe, altri ancora che non
significa nulla.
E scherzano e ridono, mentre i servi portano la carne cotta al fuoco.
Andranno a dormire presto, domani ripartiranno verso la Giudea.
Sazi di denaro, sazi di cultura, sazi di beni.
Ma ancora curiosi, ancora si interrogano e cercano.
A Gerusalemme i Sommi Sacerdoti commentano la giornata, pianificano
il futuro del nuovo, splendido tempio.
Alla fine si congedano, pregano, invocano la venuta del Messia.
Qualcuno sorride, ci mancherebbe la venuta del Messia, ora.
Erode caccia la concubina dal suo letto, stenta a prendere sonno.
Si affaccia sulla terrazza del palazzo che domina la sua città.
No, la folla non lo ama, nonostante tutto, pazienza, se non sarà ricordato
per la sua gloria, sarà ricordato per il suo odio.
Noi, ecco Dio, mi ripeto nella penombra della chiesa.
Dio non si è ancora stancato di noi, se chiede di nascere.
Prego, ora, affidando tutti, però tutti, non riescono a stare nella
mia povera preghiera.
Penso a chi soffre, questa notte, perché nessun angelo gli ha ancora detto
che Dio nasce proprio per lui.
Prego per i tanti, che ho incontrato in questo anno così doloroso e intenso
per me, e a come Dio sia stupefacente nel disegnare nuove strade per chi
si affida a Lui.
Penso alla nostra Italia così litigiosa, così affaticata e delusa, che non ha più
speranza, che pensa di essere davvero mediocre come appare, e chiedo al
Signore un regalo, di ricordarci da dove proveniamo e verso chi andiamo, tutti.
Vedo il bambino, nella penombra della chiesa.
E mi dico in che cavolo di guaio mi sono messo, seguendo un Dio che, invece
di risolvermi i problemi, me ne crea a bizzeffe.
Vorrei stringerlo fra le mie braccia, riempirlo di baci questo Dio, dire che lo
amo, proprio perché così imprevedibile, perché così misteriosamente
incontrabile e banale.
Maria guarda Gesù e pensa; questo Dio è mio figlio.
È Dio. E mi assomiglia.
Un Dio bambino che si può prendere fra le braccia e coprire di baci.
Un Dio caldo che sorride e respira.
Un Dio che si può toccare e che respira, un Dio che si può toccare e ride.
È in uno di questi momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore.
Buon Natale, cercatori di Dio.
Lasciamoci e lasciatevi trovare, perché, con immensa gioia vi annuncio
che Dio è quì ancora con noi, Fausto.


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