donna dell’attesa.
La vera tristezza non è quando,
la sera,
non sei atteso da nessuno al tuo
rientro
a casa, ma quando tu non attendi
più
nulla dalla vita.
E la solitudine più nera, la
soffri non
quando trovi il focolare spento,
ma
quando non lo vuoi accendere più;
neppure per un eventuale ospite
di passaggio.
Quando pensi, insomma, che per te
la musica è finita.
E ormai i giochi sono fatti.
E nessun’anima viva verrà a bussare
alla tua parta.
E non ci saranno più né
soprassalti di
gioia per una buona notizia, né
trasalimenti di stupore per una
improvvisata.
E neppure fremiti di dolore per
una tragedia
umana; tanto, non ti resta più
nessuno
per il quale tu debba temere.
La vita allora, scorre piatta
verso un
epilogo che non arriva mai, come
un
disco che ha finito troppo presto
una
canzone, e si ferma
inesorabilmente,
senza dire più nulla, verso il
suo
ultimo stacco.
Attendere; ovvero, sperimentare
il
gusto di vivere.
Hanno detto addirittura, che la
santità
di una persona, si misura allo
spessore
delle sue attese.
Forse è vero.
Se è così, bisogna concludere che
Maria
è la più santa delle creature,
proprio
perché, tutta la sua vita appare
cadenzata
dai ritmi gaudiosi di chi aspetta
qualcuno.
Già il contrassegno iniziale, con
cui il
pennello di Luca la identifica, è
carico
di attese: “Promessa sposa di un
uomo
della casa di Davide”.
Fidanzata, cioè.
A nessuno sfugge a quale pozzo di
speranza
e di batticuori faccia allusione
quella parola,
che ogni donna sperimenta come
preludio
di misteriose tenerezze.
Prima ancora che nel Vangelo
venga
pronunciato il suo nome, di Maria
si dice
che era fidanzata.
Vergine in attesa.
In attesa di Giuseppe.
In ascolto del fruscio dei suoi
sandali, sul
far della sera, quando, profumato
di legni
e di vernici, egli sarebbe venuto
a parlare
dei suoi sogni.
Ma anche nell’ultimo fotogramma
con cui
Maria si congeda dalle Scritture,
essa viene
colta dall’obbiettivo
nell’atteggiamento dell’attesa.
Lì, nel Cenacolo, al piano
superiore, in
compagnia dei discepoli, in
attesa dello Spirito.
In ascolto del frusciare della
sua ala, sul
fare del giorno, quando,
profumato di
unzioni e di santità, egli
sarebbe disceso
sulla Chiesa, per additarle la
sua missione
di salvezza.
Vergine in attesa, all’inizio.
Madre in attesa, alla fine.
E nell’arcata sorretta da queste
due
trepidazioni, una così umana e
l’altra
così divina, cento altre attese
struggenti.
L’attesa di Lui, per nove
lunghissimi mesi.
L’attea di adempimenti legali
festeggiati
con umile povertà.
L’attesa del giorno, l’unico che
lei avrebbe
voluto di volta in volta
rimandare, in cui
suo figlio, sarebbe uscito di
casa senza
farvi ritorno mai più.
L’attesa dell’(ora); l’unica per
la quale non
avrebbe saputo frenare
l’impazienza e di cui,
prima del tempo, avrebbe fatto
traboccare il
carico di grazia sulla mensa
degli uomini.
L’attesa dell’ultimo rantolo
dell’Unigenito
inchiodato sul legno.
L’attesa del terzo giorno,
vissuta in veglia
solitaria, davanti alla roccia.
Attendere; infinito del verbo
amare.
Anzi, nel vocabolario di Maria,
amare all’infinito.
Santa Maria, vergine dell’attesa,
donaci del
tuo olio perché le nostre lampade
si spengono.
Vedi; le riserve si sono
consumate.
Non ci mandare ad altri
venditori.
Riaccendi nelle nostre anime, gli
antichi
fervori che vi bruciavano dentro,
quando
bastava un nonnulla per farci
trasalire di
gioia; l’arrivo di un amico
lontano, il
rosso di sera dopo un temporale,
il
crepitare del ceppo che d’inverno
sorvegliava i rientri in casa, le
campane a
stormo nei giorni di festa, il
sopraggiungere
delle rondini in primavera,
l’acre odore
che si sprigionava dalla stretta
dei frantoi,
le cantilene autunnali che
giungevano dai
filari alla raccolta dell’uva,
l’incurvarsi
tenero e misterioso del grembo
materno,
il profumo dell’ansia che
irrompeva
quando si preparava una culla.
Se oggi non sappiamo attendere
più,
è perché siamo a corto di
speranza.
Se ne sono disseccate le
sorgenti.
Soffriamo una profonda crisi di
desiderio.
E, ormai paghi dei mille
surrogati che ci
assediano, rischiamo di non
aspettare più
nulla, neppure da quelle promesse
ultraterrene che sono state
firmate col
sangue dal Dio dell’alleanza.
Santa Maria, donna dell’attesa,
conforta
il dolore delle madri per i loro
figli che,
usciti un giorno di casa, non ci
son tornati
mai più, perché uccisi da un
incidente
stradale o perché sedotti dai
richiami
della giungla.
Perché, dispersi dalla furia
della guerra o
perché risucchiati dal turbine
delle passioni.
Perché, travolti dalla tempesta
del mare o
perché travolti dalle tempeste
della vita.
Riempi i nostri silenzi
nell’attesa perenne.
Santa Maria, vergine dell’attesa,
donaci
un’anima vigile.
Giunti nel terzo millennio, ci
sentiamo
purtroppo più figli del
crepuscolo che
profeti dell’avvento.
Sentinella del mattino, ridestaci
nel cuore
la passione di giovani annunci da
portare
al mondo che si sente già vecchi
e alla deriva.
Portaci, finalmente, arpa e
cetra, perché con
te mattiniera possiamo svegliare
l’aurora.
Di fronte ai cambi che scuotono
la storia,
donaci di sentire sulla pelle i
brividi dei
nostri cominciamenti.
Facci capire che non basta
accogliere;
bisogna attendere.
Accogliere talvolta è segno di
rassegnazione.
Attendere è sempre segno di
speranza.
Rendici, perciò, ministri
dell’attesa.
E il Signore che viene, Vergine
dell’Avvento,
ci sorprenda, anche per la tua
materna
complicità, con la lampada in
mano.
Buona attesa, amici, Fausto.
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