giovedì 7 dicembre 2023

Maria Immacolata, donna dell'attesa

 
Maria Immacolata,

donna dell’attesa.

La vera tristezza non è quando, la sera,

non sei atteso da nessuno al tuo rientro

a casa, ma quando tu non attendi più

nulla dalla vita.

E la solitudine più nera, la soffri non

quando trovi il focolare spento, ma

quando non lo vuoi accendere più;

neppure per un eventuale ospite

di passaggio.

Quando pensi, insomma, che per te

la musica è finita.

E ormai i giochi sono fatti.

E nessun’anima viva verrà a bussare

alla tua parta.

E non ci saranno più né soprassalti di

gioia per una buona notizia, né

trasalimenti di stupore per una improvvisata.

E neppure fremiti di dolore per una tragedia

umana; tanto, non ti resta più nessuno

per il quale tu debba temere.

La vita allora, scorre piatta verso un

epilogo che non arriva mai, come un

disco che ha finito troppo presto una

canzone, e si ferma inesorabilmente,

senza dire più nulla, verso il suo

ultimo stacco.

Attendere; ovvero, sperimentare il

gusto di vivere.

Hanno detto addirittura, che la santità

di una persona, si misura allo spessore

delle sue attese.

Forse è vero.

Se è così, bisogna concludere che Maria

è la più santa delle creature, proprio

perché, tutta la sua vita appare cadenzata

dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno.

Già il contrassegno iniziale, con cui il

pennello di Luca la identifica, è carico

di attese: “Promessa sposa di un uomo

della casa di Davide”.

Fidanzata, cioè.

A nessuno sfugge a quale pozzo di speranza

e di batticuori faccia allusione quella parola,

che ogni donna sperimenta come preludio

di misteriose tenerezze.

Prima ancora che nel Vangelo venga

pronunciato il suo nome, di Maria si dice

che era fidanzata.

Vergine in attesa.

In attesa di Giuseppe.

In ascolto del fruscio dei suoi sandali, sul

far della sera, quando, profumato di legni

e di vernici, egli sarebbe venuto a parlare

dei suoi sogni.

Ma anche nell’ultimo fotogramma con cui

Maria si congeda dalle Scritture, essa viene

colta dall’obbiettivo nell’atteggiamento dell’attesa.

Lì, nel Cenacolo, al piano superiore, in

compagnia dei discepoli, in attesa dello Spirito.

In ascolto del frusciare della sua ala, sul

fare del giorno, quando, profumato di

unzioni e di santità, egli sarebbe disceso

sulla Chiesa, per additarle la sua missione

di salvezza.

Vergine in attesa, all’inizio.

Madre in attesa, alla fine.

E nell’arcata sorretta da queste due

trepidazioni, una così umana e l’altra

così divina, cento altre attese struggenti.

L’attesa di Lui, per nove lunghissimi mesi.

L’attea di adempimenti legali festeggiati

con umile povertà.

L’attesa del giorno, l’unico che lei avrebbe

voluto di volta in volta rimandare, in cui

suo figlio, sarebbe uscito di casa senza

farvi ritorno mai più.

L’attesa dell’(ora); l’unica per la quale non

avrebbe saputo frenare l’impazienza e di cui,

prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il

carico di grazia sulla mensa degli uomini.

L’attesa dell’ultimo rantolo dell’Unigenito

inchiodato sul legno.

L’attesa del terzo giorno, vissuta in veglia

solitaria, davanti alla roccia.

Attendere; infinito del verbo amare.

Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito.

Santa Maria, vergine dell’attesa, donaci del

tuo olio perché le nostre lampade si spengono.

Vedi; le riserve si sono consumate.

Non ci mandare ad altri venditori.

Riaccendi nelle nostre anime, gli antichi

fervori che vi bruciavano dentro, quando

bastava un nonnulla per farci trasalire di

gioia; l’arrivo di un amico lontano, il

rosso di sera dopo un temporale, il

crepitare del ceppo che d’inverno

sorvegliava i rientri in casa, le campane a

stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere

delle rondini in primavera, l’acre odore

che si sprigionava dalla stretta dei frantoi,

le cantilene autunnali che giungevano dai

filari alla raccolta dell’uva, l’incurvarsi

tenero e misterioso del grembo materno,

il profumo dell’ansia che irrompeva

quando si preparava una culla.

Se oggi non sappiamo attendere più,

è perché siamo a corto di speranza.

Se ne sono disseccate le sorgenti.

Soffriamo una profonda crisi di desiderio.

E, ormai paghi dei mille surrogati che ci

assediano, rischiamo di non aspettare più

nulla, neppure da quelle promesse

ultraterrene che sono state firmate col

sangue dal Dio dell’alleanza.

Santa Maria, donna dell’attesa, conforta

il dolore delle madri per i loro figli che,

usciti un giorno di casa, non ci son tornati

mai più, perché uccisi da un incidente

stradale o perché sedotti dai richiami

della giungla.

Perché, dispersi dalla furia della guerra o

perché risucchiati dal turbine delle passioni.

Perché, travolti dalla tempesta del mare o

perché travolti dalle tempeste della vita.

Riempi i nostri silenzi nell’attesa perenne.

Santa Maria, vergine dell’attesa, donaci

un’anima vigile.

Giunti nel terzo millennio, ci sentiamo

purtroppo più figli del crepuscolo che

profeti dell’avvento.

Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore

la passione di giovani annunci da portare

al mondo che si sente già vecchi e alla deriva.

Portaci, finalmente, arpa e cetra, perché con

te mattiniera possiamo svegliare l’aurora.

Di fronte ai cambi che scuotono la storia,

donaci di sentire sulla pelle i brividi dei

nostri cominciamenti.

Facci capire che non basta accogliere;

bisogna attendere.

Accogliere talvolta è segno di rassegnazione.

Attendere è sempre segno di speranza.

Rendici, perciò, ministri dell’attesa.

E il Signore che viene, Vergine dell’Avvento,

ci sorprenda, anche per la tua materna

complicità, con la lampada in mano.

Buona attesa, amici, Fausto.    

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