sabato 25 aprile 2020

Il Vangelo di Domenica 26 Aprile 2020


Della 3° Domenica del Tempo di Pasqua.
Prima lettura dagli Atti degli Apostoli (2,14a.22-33)
[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta
parlò così: «Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret-uomo
accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio
stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene-, consegnato a voi
secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani,
l'avete crocifisso e l'avete ucciso.
Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era
possibile che questa lo tenesse in suo potere.
Dice infatti Davide a suo riguardo: Contemplavo sempre il Signore innanzi a me;
egli sta alla mia destra, perché io non vacilli.
Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne
riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né
permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione.
Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza.
Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide,
che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi.
Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far
sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne
parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione.
Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.
Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo
promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».
Parola di Dio.
Seconda lettura dalla prima lettera di san Pietro apostolo (1,17-21)
Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno
secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete
quaggiù come stranieri.
Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati
dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo,
agnello senza difetti e senza macchia.
Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi
si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato
dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza
siano rivolte a Dio.
Parola di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca (24,13-35) anno A.
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli]
erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici
chilometri da Gerusalemme,
e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò
e camminava con loro.
Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi
lungo il cammino?».
Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu
sei forestiero a Gerusalemme!
Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?».
Domandò loro: «Che cosa?».
Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere
e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre
autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.
Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò,
sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino
alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver
avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto
le donne, ma lui non l'hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!
Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò
che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse
andare più lontano.
Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto».
Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
Ma egli sparì dalla loro vista.
Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre
egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti
gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore
è risorto ed è apparso a Simone!».
Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto
nello spezzare il pane.
Parola del Signore.
Meditazione personale sul Vangelo di oggi.
Sanno che Gesù è risorto; glielo hanno detto alcune discepole.
Ma, si sa, sono donne, emotivamente instabili, facilmente suggestionabili.
E la notizia dell’assenza del cadavere del Maestro è stata confermata da alcuni apostoli.
Ma, si sa, loro sono stati talmente travolti dagli eventi che, probabilmente,
vedono lucciole per lanterne.
Tornano ai loro affari, i due discepoli.
Alle loro occupazioni; hanno pensato che il Nazareno fosse il Messia, quello
che avrebbe regnato per mille anni su Israele sbaragliando i suoi nemici.
Invece è morto, nel peggiore dei modi.
Si allontanano dalla comunità, come fanno molti di noi, delusi da Dio.
Di uno di loro sappiamo il nome, Cleopa, un personaggio conosciuto nella
primitiva comunità.
L’altro, invece, non ha nome; ognuno metta il suo.
Sono tristi, i discepoli, e parlano delle loro disgrazie.
Tristi, e si caricano a vicenda, facendo a gara a chi si butta più giù, come
si fa, a volte, fra persone scoraggiate.
Come se ci fosse un premio da vincere; lo sfortunato del mese.
Il loro cammino è di reciproca lamentazione, di progressivo affossamento.
Sconcertante.
È terribile avere a che fare con persone che, quando vedono che sei afflitto,
invece di incoraggiarti iniziano anch’esse a fare l’elenco delle loro disgrazie.
Mal comune non fa mai mezzo gaudio.
Spesso, fa doppia tristezza.
Gesù si avvicina e cammina con loro.
Non se ne accorgono, come potrebbero?
Non alzano lo sguardo da loro stessi per incrociare lo sguardo del Signore.
Sono talmente pieni del loro santo dolore da non accorgersi che la ragione
della loro sofferenza non esiste più!
Sono incapaci di uscire dalla gabbia che si sono creati.
E li prende per il naso.
Perché quella faccia? Maleducato!
Sono offesi, ora, i discepoli.
Da dove viene questo buzzurro?
Non si vede a sufficienza che sono tristi?
Non hanno il volto sufficientemente disperato?
Come si permette questo sciocco straniero di interrompere le loro lamentazioni?
Non sa della situazione mondiale? Del coronavirus? Della crisi economica?
Ci rassicura, il dolore, ci dona identità, ci identifica.
A volte, purtroppo, in un percorso insalubre e folle, finiamo col coltivare questa identità.
Finiamo col coltivare il dolore.
Ho perso un figlio. Sono un esodato.
Mio marito mi ha lasciata.
Ho avuto un’infanzia terribile.
Diventiamo il nostro dolore.
Questo diventa il nostro segno di riconoscimento; così ci presentiamo,
così vogliamo che ci riconoscano, sperando, magari, in un cenno di
benevolenza, in un gesto di compassione. Illusi.
Quando capiremo che la gente fugge il dolore come la peste?
È da abbandonare, il sepolcro, da superare, non da usare come segno di riconoscimento.
Sono offesi, i discepoli restati orfani.
Cosa è successo? Chiede il Risorto.
Parlano della sua croce, e Gesù nemmeno se ne ricorda.
E pronunciano la frase più triste dell’intero Vangelo.
Noi speravamo. Che tristezza!
La speranza è sempre rivolta al futuro.
Declinarla al passato significa ammetterne il totale fallimento.
È difficile accettare il fallimento di un progetto, di un’azienda, di un gruppo parrocchiale.
Il fallimento della speranza porta alla morte interiore.
Noi speravamo; che sciocchi siamo stati a seguire il Nazareno, a credere
che fosse lui il Messia! Che ingenui!
Noi speravamo; ci siamo illusi, siamo stati degli idioti abissali, non abbiamo giustificazioni!
La speranza è morta su quella maledetta croce.
È morta e sepolta con Gesù, nel sepolcro regalato da Giuseppe di Arimatea.
Quanti ne conosco di discepoli così, tristi e rassegnati, purtroppo!
Noi speravamo, dicono i discepoli.
E intanto il Signore che credono morto cammina con loro.
Descrivono con dovizia di particolari le vicende che riguardano il Maestro,
i discepoli restati orfani.
Si aspettano comprensione e compassione.
Ottengono uno schiaffo in pieno volto.
Sciocchi e tardi, dice loro lo straniero.
La sua provocazione li scuote, li costringe ad alzare lo sguardo.
Cosa sta dicendo questo maleducato? Come si permette?
Sciocchi a tardi nel credere, insiste.
Gesù spiega il senso di quella sofferenza, della sua sofferenza, e li aiuta a
rileggere tutti gli eventi in una chiave diversa, più ampia, a leggere il dolore
alla luce del grande disegno di Dio.
Sono fermi alla croce, i discepoli del Risorto.
Possiamo continuare a fissare il bruco, senza accorgerci che sta per diventare una farfalla.
Non sempre chi ti dà una carezza ti vuole bene.
Non sempre chi ti dà uno schiaffo ti vuole del male.
A volte una bella scrollata ci distoglie dal dolore e ci aiuta a vedere le cose
in maniera diversa.
Arde, ora, il cuore dei discepoli.
Il loro dolore inutile, paradossalmente gratificante, è spazzato via dalla Parola
che riscalda e illumina.
Tutto acquista senso, una dimensione nuova.
La loro vita, riletta alla luce del grande progetto di Dio, assume un colore
completamente diverso.
Vero amici, andiamocene dal sepolcro per favore, il Signore non è più lì, ma
presente nella nostra vita quotidiana e nell’Eucaristia, nella speranza che ci
permettano presto di celebrarla, Santa Domenica Fausto.


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